Los Colonos, primo lungometraggio di Felipe Gàlvez Haberle, è una cronaca spietata di una pagina dimenticata della Storia del Cile dai toni cupi e dissacratori. Il film ha già raccolto molti pareri positivi e in tanti ne hanno elogiato lo stile del racconto e l’ambientazione western per descrivere una storia controversa e quasi sconosciuta al pubblico. Los Colonos ha vinto il premio FIPRESCI a Cannes 2023, è stato presentato al Torino Film Festival 2023 ed è stato scelto per rappresentare il Cile nella categoria di Miglior Film Internazionale agli Oscar 2024. È riuscito ad arrivare in Italia grazie a MUBI, che lo ha inserito in catalogo sulla propria piattaforma.
Portare il western sullo schermo ai tempi nostri è un’impresa difficile: il problema è quello di far incontrare i vecchi stilemi del passato con il gusto di oggi. Negli USA, autori come Taylor Sheridan – che ha lavorato sulla Serie TV Yellowstone e sul film Hell or High Water (David Mackenzie, 2016) – riportano alla luce in maniera affascinante alcuni miti della frontiera con un retrogusto repubblicano e melanconico mentre nel resto del globo si rimane attaccati al citazionismo più sfrenato verso i maestri del genere come Ford, Leone, Houston e Peckinpah.
Pochi però riescono a rielaborare in maniera originale i vecchi tòpoi e a sovvertire il genere per raccontare la storia con un piglio più critico e cinico. Los Colonos appartiene a quelle pellicole western contemporanee che riescono a svelare storie mai raccontate e ad attualizzare il genere nel panorama cinematografico, raccontando come la violenza sia ancora perpetrata per dare vita a uno stato o a un governo, mettendo a nudo i crimini più scellerati della Storia.
Los Colonos, una storia di colonialismo ancora attuale
Nei primi del Novecento José Menéndez, ricco commerciante di lana e proprietario terriero, affida a un soldato inglese, un mercenario texano e un meticcio una missione di delimitazione e messa in sicurezza dei propri territori. Alexander, Bill e Segundo viaggeranno fino alla Terra del Fuoco e metteranno in atto una vera e propria pulizia etnica della popolazione Selk’nam (conosciuta anche come Ona). Il popolo verrà quasi sterminato, finché il nuovo governo di Pedro Montt non comincerà a indagare sui territori di Menèndez e a censirne la popolazione.
Il cast internazionale scelto da Gàlvez per Los Colonos è ricco di talenti, non solo locali ma anche proveniente da oltreoceano. Nomi noti, come quello di Mark Stanley, già visto sulla Barriera in Il Trono di Spade, e Alfredo Castro, attore feticcio di Pablo Larrain, qui nei panni di Menéndez. Anche la troupe coinvolge maestranze estere, come Simone D’Arcangelo, il direttore della fotografia di Re Granchio, chiamato a occuparsi di questo western revisionista e pulp in 35 mm.
Lo spettatore segue i protagonisti di Los Colonos nella loro discesa nelle tenebre, nel massacro della popolazione Selk’nam. Vede tutto, ed è testimone dei loro difetti e pregiudizi: Segundo è impassibile, silenzioso e calcolatore, nonostante gli insulti dei suoi due compagni di viaggio, che trovano sempre un’occasione per punzecchiarsi e sfogare la loro bestialità attraverso lo stupro e il razzismo.
Lo stesso Segundo, spinto da una grossa ricompensa e dal desiderio di affrancarsi dalla sua condizione d’escluso, non si farà problemi a unirsi alla caccia agli Indios e a perpetrare inganni e massacri. Solo quando si sarà stabilito nella sua isola d’origine, pentito del suo passato, collaborerà con il governo per far luce sul massacro degli Ona.
Los Colonos è un western cupo e politico a tinte pulp
I giochi di luci non risparmiano nessun volto: ognuno di essi è tagliato da un’ombra che indica il lato oscuro dei protagonisti e accentua i profili degli stessi, segnandone l’indole sempre ambigua. D’Arcangelo sceglie una palette di luci vivide e calde, come a imitare l’estetica pulp di quei western sporchi e cattivi in cui non c’erano né salvezza né eroi: non a caso, Los Colonos ritrae una storia di colonizzatori senza scrupoli che non possono trovare assoluzione se non attraverso il racconto cinematografico e crudo dei loro crimini.
Il regista Galvèz cura anche la sceneggiatura e si diverte a immaginare una continua tensione tra gli spregevoli antieroi del suo film, tensione resa palpabile attraverso battute sporche e d’effetto che difficilmente si sono viste sullo schermo dai tempi di Bone Tomahawk, western pulp dalle tinte horror del geniale S. Craig Zahler.
Los Colonos è pervaso da un forte sottotesto politico che nell’ultima parte del film si concretizza attraverso gli scambi di battute tra magnate e funzionario governativo: il regista, oltre a rivelare la storia di un massacro nascosto e dimenticato, vuole mostrare l’ipocrisia, la violenza e l’omertà, che sono stati i tragici strumenti usati per la costruzione di un paese martoriato da forze straniere e interessi polito-economici.
Los Colonos cattura i toni polemici di Giù la testa (Sergio Leone, 1971) e li rielabora nella stessa chiave politica e sarcastica, diventando una delle più sorprendenti e graffianti pellicole del cinema latinoamericano.
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