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Los Colonos, un western spietato sul colonialismo

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7 minuti di lettura

Los Colonos, primo lungometraggio di Felipe Gàlvez Haberle, è una cronaca spietata di una pagina dimenticata della Storia del Cile dai toni cupi e dissacratori. Il film ha già raccolto molti pareri positivi e in tanti ne hanno elogiato lo stile del racconto e l’ambientazione western per descrivere una storia controversa e quasi sconosciuta al pubblico. Los Colonos ha vinto il premio FIPRESCI a Cannes 2023, è stato presentato al Torino Film Festival 2023 ed è stato scelto per rappresentare il Cile nella categoria di Miglior Film Internazionale agli Oscar 2024. È riuscito ad arrivare in Italia grazie a MUBI, che lo ha inserito in catalogo sulla propria piattaforma.

los colonos, un uomo con un fucile in braccio, circondato da altri uomini, in mezzo alle praterie

Portare il western sullo schermo ai tempi nostri è un’impresa difficile: il problema è quello di far incontrare i vecchi stilemi del passato con il gusto di oggi. Negli USA, autori come Taylor Sheridan – che ha lavorato sulla Serie TV Yellowstone e sul film Hell or High Water (David Mackenzie, 2016) – riportano alla luce in maniera affascinante alcuni miti della frontiera con un retrogusto repubblicano e melanconico mentre nel resto del globo si rimane attaccati al citazionismo più sfrenato verso i maestri del genere come Ford, Leone, Houston e Peckinpah.

Pochi però riescono a rielaborare in maniera originale i vecchi tòpoi e a sovvertire il genere per raccontare la storia con un piglio più critico e cinico. Los Colonos appartiene a quelle pellicole western contemporanee che riescono a svelare storie mai raccontate e ad attualizzare il genere nel panorama cinematografico, raccontando come la violenza sia ancora perpetrata per dare vita a uno stato o a un governo, mettendo a nudo i crimini più scellerati della Storia.

Los Colonos, una storia di colonialismo ancora attuale

los colonos, un uomo seduto alla scrivania

Nei primi del Novecento José Menéndez, ricco commerciante di lana e proprietario terriero, affida a un soldato inglese, un mercenario texano e un meticcio una missione di delimitazione e messa in sicurezza dei propri territori. Alexander, Bill e Segundo viaggeranno fino alla Terra del Fuoco e metteranno in atto una vera e propria pulizia etnica della popolazione Selk’nam (conosciuta anche come Ona). Il popolo verrà quasi sterminato, finché il nuovo governo di Pedro Montt non comincerà a indagare sui territori di Menèndez e a censirne la popolazione.

Il cast internazionale scelto da Gàlvez per Los Colonos è ricco di talenti, non solo locali ma anche proveniente da oltreoceano. Nomi noti, come quello di Mark Stanley, già visto sulla Barriera in Il Trono di Spade, e Alfredo Castro, attore feticcio di Pablo Larrain, qui nei panni di Menéndez. Anche la troupe coinvolge maestranze estere, come Simone D’Arcangelo, il direttore della fotografia di Re Granchio, chiamato a occuparsi di questo western revisionista e pulp in 35 mm.

Lo spettatore segue i protagonisti di Los Colonos nella loro discesa nelle tenebre, nel massacro della popolazione Selk’nam. Vede tutto, ed è testimone dei loro difetti e pregiudizi: Segundo è impassibile, silenzioso e calcolatore, nonostante gli insulti dei suoi due compagni di viaggio, che trovano sempre un’occasione per punzecchiarsi e sfogare la loro bestialità attraverso lo stupro e il razzismo.

Lo stesso Segundo, spinto da una grossa ricompensa e dal desiderio di affrancarsi dalla sua condizione d’escluso, non si farà problemi a unirsi alla caccia agli Indios e a perpetrare inganni e massacri. Solo quando si sarà stabilito nella sua isola d’origine, pentito del suo passato, collaborerà con il governo per far luce sul massacro degli Ona.

Los Colonos è un western cupo e politico a tinte pulp

I giochi di luci non risparmiano nessun volto: ognuno di essi è tagliato da un’ombra che indica il lato oscuro dei protagonisti e accentua i profili degli stessi, segnandone l’indole sempre ambigua. D’Arcangelo sceglie una palette di luci vivide e calde, come a imitare l’estetica pulp di quei western sporchi e cattivi in cui non c’erano né salvezza né eroi: non a caso, Los Colonos ritrae una storia di colonizzatori senza scrupoli che non possono trovare assoluzione se non attraverso il racconto cinematografico e crudo dei loro crimini.

Il regista Galvèz cura anche la sceneggiatura e si diverte a immaginare una continua tensione tra gli spregevoli antieroi del suo film, tensione resa palpabile attraverso battute sporche e d’effetto che difficilmente si sono viste sullo schermo dai tempi di Bone Tomahawk, western pulp dalle tinte horror del geniale S. Craig Zahler.

Los Colonos è pervaso da un forte sottotesto politico che nell’ultima parte del film si concretizza attraverso gli scambi di battute tra magnate e funzionario governativo: il regista, oltre a rivelare la storia di un massacro nascosto e dimenticato, vuole mostrare l’ipocrisia, la violenza e l’omertà, che sono stati i tragici strumenti usati per la costruzione di un paese martoriato da forze straniere e interessi polito-economici.

Los Colonos cattura i toni polemici di Giù la testa (Sergio Leone, 1971) e li rielabora nella stessa chiave politica e sarcastica, diventando una delle più sorprendenti e graffianti pellicole del cinema latinoamericano.


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Dal 1995 inseguo sogni e mostri. Che siano di plastilina o di pixel. Quando mi fermo scrivo poesie, giro qualche video e se riesco mi riposo cucinando una torta di ciliegie con un buona tazza di caffè con il sottofondo di una colonna sonora sognante o il nuovo singolo delle KDA.

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