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Innamorati di Luca Guadagnino: guida alla filmografia

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20 minuti di lettura

Pochi autori riescono a restituire emozioni, sensazioni e tormenti dei propri personaggi come Luca Guadagnino. Personalità artistica a tutto tondo, ha rivestito nel tempo molteplici ruoli, da regista a produttore a sceneggiatore, e ha acquisito grande popolarità per i suoi ritratti precisi e mai banali del sentimentalismo e della sessualità, dipinti con tocco elegante, ibrido e personalissimo.

Guadagnino, di recente tornato sul grande schermo con Bones and All dopo l’esperimento seriale We Are Who We Are, sforna instancabilmente da oltre vent’anni video musicali, spot pubblicitari, corti, medio e lungometraggi. La guida che vogliamo proporvi serve a farsi strada in questa fitta produzione, indagandone i successi e le zone d’ombra e prestando particolare attenzione a quelle opere che crediamo possano farvi innamorare del regista italiano.

Luca Guadagnino, regista dei sogni

Luca Guadagnino set NPC Magazine
Luca Guadagnino sul set di Bones and All (2022)

Nato nel 1971 a Palermo da padre italiano e madre algerina, Luca Guadagnino passa i primi sei anni della sua vita in Etiopia, per poi tornare in Sicilia e restarci fino al conseguimento del diploma di maturità. Successivamente frequenta la Sapienza, a Roma, dove si laurea con una tesi di Storia e Critica del Cinema su Jonathan Demme. L’attrazione per la macchina da presa è forte e si traduce, in un primo momento, in una serie di lavori documentaristici o che hanno in qualche modo a che fare col genere: il suo lungometraggio d’esordio, The Protagonists (1999), è un mockumentary, mentre Mundo Civilizado (2002) e Cuoco Contadino (2004) sono documentari.

Dal 2000 dirige diversi video musicali, tra cui quello per Vamos a Bailar (Esta vida nueva) di Paola & Chiara e quello per Sconvolto così di Irene Grandi. È però con Elisa che il sodalizio è più forte: Guadagnino firma la regia del making of del suo album del 2003, Lotus, oltre che dei brani Luce (Tramonti a nord est), Broken, Asile’s World, Rainbow (Remix) e Swan, quest’ultimo scritto dalla cantautrice per il primo grande successo del cineasta, il travagliatissimo Melissa P. (2005). In questi anni realizza anche una trilogia documentaria, The Love Factory, incentrata sulle figure di Tilda Swinton, sua collaboratrice della prima ora, Arto Lindsay e Pippo Delbono.

Luca Guadagnino e Tilda Swinton

In seguito si dedica a Io sono l’amore (2009), di cui, a differenza del lavoro precedente, controlla largamente il processo creativo. Il film entra nei circuiti festivalieri europei – tra cui Venezia, del quale Guadagnino diventerà un habitué – e ottiene una candidatura agli Oscar per i migliori costumi. L’attenzione certosina del regista per gli straordinari abiti di Swinton anticipa i corti e mediometraggi diretti a partire da quegli anni per e con numerosi marchi di moda e oreficeria, tra cui Armani (One Plus One), Zara (O Night Divine, con Alex Wolff) e Valentino (The Staggering Girl, poco riuscito ma con un cast d’eccezione che include Julianne Moore e Alba Rohrwacher).

Tra il 2010 e il 2014 Guadagnino vive una nuova fase documentaristica con Inconscio Italiano (2011) e Bertolucci on Bertolucci (2013), partecipa in qualità di giurato e presidente di giuria nei festival cinematografici di tutto il mondo, tra cui Beirut e Locarno, e inizia a vestire anche i panni del produttore, in particolare dei lavori del suo ora ex compagno Fernando Cito Filomarino. Nel 2015 torna a Venezia, in competizione, con A Bigger Splash, nel quale ad affiancare Tilda Swinton c’è una nuova musa: Dakota Johnson.

Nel 2017 arriva la fama planetaria con Chiamami col tuo nome, che lancia la carriera di superstar di Timothée Chalamet e si aggiudica l‘Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. Nel 2018 esce invece Suspiria, remake del cult di Dario Argento che vede nuovamente Swinton e Johnson assieme e che, pur non sbancando al botteghino, diventa un piccolo gioiello a cui il pubblico si affeziona. È in questo periodo che il regista lascia la sua abitazione a Crema, dove si era intanto sistemato, per trasferirsi a Milano.

Luca Guadagnino al Festival del Cinema di Venezia dopo la vittoria del Leone d’Argento per Bones and All (2022)

Nel 2019 Guadagnino diviene membro dell’Academy e nel 2020 debutta nel mondo della serialità con We Are Who We Are. Dello stesso anno sono Fiori, Fiori, Fiori!, corto girato in Sicilia durante il lockdown, e il documentario Salvatore – Il calzolaio dei sogni, sulla vita e il lavoro di Salvatore Ferragamo. Nel 2021 realizza due video musicali, uno per Sufjan Stevens (Tell Me You Love Me) e l’altro per Colapesce, Dimartino e Ornella Vanoni (Toy Boy). Nel 2022 rilascia infine Bones and All, grazie al quale vince a Venezia il Leone d’Argento, mentre Taylor Russell riceve il Premio Mastroianni.

Nonostante la grande mole di progetti realizzati, la carriera di Guadagnino sembra ancora solo agli inizi: nel 2023 è in programma l’uscita di Challengers, che vede nel cast Mike Faist, Zendaya e Josh O’Connor, e prossimamente gli adattamenti de Il signore delle mosche di Golding e Ho lasciato entrare la tempesta con Jennifer Lawrence, un nuovo remake di Scarface scritto dai fratelli Coen, una seconda trasposizione seriale di Ritorno a Brideshed per la BBC, un biopic su Audrey Hepburn con Rooney Mara per Apple e uno su Scotty Bowers, noto gigolò a Hollywood. Sono inoltre in corso le trattative per la realizzazione di Aryan Papers, il film sull’olocausto mai realizzato da Stanley Kubrick.

Per il colpo di fulmine: A Bigger Splash

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Anno: 2015
Durata: 125′
Interpreti principali: Tilda Swinton, Matthias Schoenaerts, Ralph Fiennes, Dakota Johnson

L’estate afosa della Crema di Chiamami col tuo nome ha radici in quella temperata di Pantelleria. A Bigger Splash, remake de La Piscina (1969) di Jacques Deray, presenta un impianto narrativo piuttosto classico, con un doppio intreccio amoroso e un delitto finale, eppure è talmente ammaliante e coinvolgente che è impossibile staccare gli occhi dallo schermo. Il film emana familiarità, fa sentire sulla propria pelle il caldo, il sudore e le notti umide. Le interpretazioni dei quattro protagonisti sono eccellenti e poggiano quasi esclusivamente su gesti e sguardi – il personaggio di Marianne (Tilda Swinton) è addirittura senza voce.

Il montaggio del fedelissimo Walter Fasano genera un sottotesto frenetico sotto l’apparente quiete di superficie, sottolineando la pericolosa tensione, al contempo sanguinosa e sessuale, tra i personaggi. Le soluzioni registiche sono imprevedibili e ipnotiche e spostano costantemente l’attenzione tra microcosmi gestuali e paesaggi grandiosi, mentre la fotografia di Yorick Le Saux è a a dir poco spettacolare. La colonna sonora, per quanto meno preponderante rispetto ad altri lavori, propone una selezione validissima, comprendendo tra gli altri St. Vincent e i Rolling Stones.

In una recente intervista, Guadagnino ha annunciato una versione estesa del film della durata di ben 195 minuti, intitolata An Even Bigger Splash. Quale miglior occasione per recuperare il suo film più riuscito?

Per innamorarsi: We Are Who We Are

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Anno: 2020
Durata: 8 episodi, 49-75′
Interpreti principali: Jack Dylan Grazer, Jordan Kristine, Chloë Sevigny, Kid Cudi, Alice Braga, Spence Moore II, Francesca Scorsese, Benjamin L. Taylor II, Faith Alabi, Corey Knight, Tom Mercier

Uscita nell’autunno del 2020, We Are Who We Are segue le vicende di un gruppo di adolescenti in una base militare americana a Chioggia, e in particolare Fraser (Jack Dylan Grazer) e Caitlyn (Jordan Kristine Seamón). Entrambi provengono da famiglie particolari, se non disfunzionali, in cui le relazioni sono scandite da gelosie, segreti, mascolinità tossica e rapporti di potere.

Ciò che pensiamo possa farvi innamorare di We Are Who We Are è il suo completo rigetto delle convenzioni seriali. Non solo Guadagnino, che ha scritto la sceneggiatura con Paolo Giordano e Francesca Manieri, si prende i suoi lunghi tempi, ma non è neanche interessato a inseguire a tutti i costi una trama precisa. Si passa sostanzialmente da uno slice of life all’altro (non a caso gli episodi si intitolano tutti Qui e ora), e vengono privilegiati il fluire identitario dei personaggi e le loro sensazioni in risposta alle interazioni con gli altri o con l’ambiente circostante. Sono tante le analogie con Chiamami col tuo nome nell’indagine adolescenziale, e sia Timothée Chalamet che Armie Hammer hanno un breve cameo.

La regia e il montaggio si mantengono estremamente eclettici, con trovate eterogenee che funzionano tuttavia molto bene nel quadro d’insieme. Sembra quasi si portino alle estreme conseguenze intuizioni precedenti, come il maggior dinamismo acquisito in Suspiria. Le performance attoriali sono di qualità variabile, ma Grazer ruba la scena ogni volta che è sullo schermo, anche grazie ai suoi bellissimi ed eccentrici outfit. La colonna sonora è molto più presente che in A Bigger Splash, tanto da essere una componente essenziale della serie, e annovera brani di Blood Orange, David Bowie, Prince, i Radiohead, Cosmo, Ryuichi Sakamoto e tanti altri.

Per non spezzare l’incantesimo: Suspiria

Guadagnino

Anno: 2018
Durata: 152′
Interpreti principali: Dakota Johnson, Tilda Swinton, Mia Goth, Jessica Harper, Angela Winkler, Ingrid Caven, Chloë Grace Moretz, Elena Fokina, Sylvie Testud, Renée Soutendijk, Vanda Capriolo, Christine Leboutte, Marjolaine Uscotti, Alek Wek, Małgosia Bela

Guadagnino lo definisce un omaggio alle emozioni provate durante la visione dell’originale, Argento un tradimento dello spirito del suo film. Presentato a Venezia nel 2018, Suspiria ha fatto immediatamente parlare di sé per due ragioni principali: la prima è che non è esattamente come ce lo si aspettasse allora, la seconda che uno dei due attori protagonisti era assente dal festival. Ma andiamo con ordine.

Quando pensiamo al Suspiria del 1977, è impossibile non ricordare i suoi colori tanto accesi da risultare violenti. Del resto, è proprio questa peculiarità che lo ha reso il cult che è oggi, non di certo la sceneggiatura scivolosa e la recitazione opinabile. Il primo aspetto che salta all’occhio guardando il Suspiria del 2018 è l’apparente mancanza di questa grandiosità cromatica. In una lunga intervista per BadTaste, Guadagnino si difende molto bene affermando, com’è vero, che anche nel suo ci sia un’ampia palette, ma di grigi.

È insomma importante, approcciandosi a questo film, tener presente che non sia stato concepito per essere un remake nel senso più tradizionale del termine. Guadagnino non considera il Suspiria di Argento materiale da replicare ma da cui partire, e costruisce intorno alla sua essenza una più complessa struttura storico-politica e una trama più ricca. Vengono ripresi gli stilemi dell’originale, tra zoom e panoramiche a schiaffo, ma la violenza esplicita lascia spazio all’atmosfera ed esplode solo nell’ultimo atto. La potente colonna sonora curata da Thom Yorke è, assieme a una Dakota Johnson in stato di grazia, il punto focale della pellicola.

Ma, come si diceva, c’è un altro punto. La più importante modifica sul piano narrativo è l’aggiunta di un personaggio originale, il dottor Josef Kemplerer, interpretato da un certo Lutz Ebersdorf. Durante la conferenza stampa al festival, il cast ha affermato che l’uomo non avesse mai preso parte a un film, ma che desiderava particolarmente partecipare a Suspiria. Nessuna traccia di lui sul red carpet, nessun risultato facendo delle ricerche. Solo un mese dopo, Tilda Swinton ha rivelato di essere stata lei ad averlo interpretato e che ci fosse addirittura l’intenzione di dichiarare che Kemplerer fosse deceduto nel corso della post-produzione. Anche dietro la mostruosa Helena Markos si cela l’attrice britannica, che si è dunque divisa tra tre ruoli.

Purtroppo, Suspiria si è rivelato un disastro al botteghino. Guadagnino ha espresso il suo rammarico, aggiungendo che nel caso avesse avuto successo avrebbe realizzato un prequel su Markos. Lungi dall’essere un esperimento perfetto, questo take del classico di Dario Argento meritava decisamente più attenzione.

Per litigare: Chiamami col tuo nome

Guadagnino

Anno: 2017
Durata: 132′
Interpreti principali: Timothée Chalamet, Armie Hammer, Michael Stuhlbarg, Amira Casar, Esther Garrel, Victoire Du Bois

Presentato nel gennaio del 2017 al Sundance Film Festival, Chiamami col tuo nome chiude la cosiddetta trilogia del desiderio di Guadagnino, aperta con Io sono l’amore e proseguita con A Bigger Splash. Il film, ambientato a Crema nell’estate del 1983, traspone parzialmente l’omonimo romanzo di André Aciman ed è sceneggiato da James Ivory, regista del noto dramma gay in costume Maurice.

Non è difficile capire perché, tra tutti i lavori di Guadagnino, sia stato proprio Chiamami col tuo nome a fare il botto: regia come sempre ottima, montaggio e fotografia particolarmente curati, atmosfera patinata, colori vibranti, colonna sonora che, seppur meno controllata rispetto agli altri film, conta pezzi da novanta come Radio Varsavia di Battiato, oltre alle meravigliose Mystery of Love (nominata agli Oscar) e Visions of Gideon di Sufjan Stevens. C’è poi Timothée Chalamet, che traina la pellicola dal primo all’ultimo frame con una delle migliori interpretazioni dello scorso decennio.

Nonostante tutti i pregi elencati, però, è difficile digerire l’esplicita legittimazione di una dinamica relazionale, quella tra Elio e Oliver, evidentemente sbilanciata. Non può non sollevare qualche perplessità l’assoluta serenità con la quale i genitori del diciassettenne prendono il fatto che stia con un uomo più grande di sette anni, specie dopo che il film mostra quanta differenza legata prettamente all’età vi sia tra i due. E se Chalamet si impegna nel ricercare la passionalità, Armie Hammer, che dimostra anche più di 24 anni, appare molto più distaccato.

Insomma, vi consigliamo Chiamami col tuo nome perché ci trovate dentro tutto l’universo di Guadagnino, ma allo stesso tempo non ci sembra né un buon punto di partenza né uno dei suoi lavori più riusciti.

Per non disinnamorarsi: Melissa P.

Melissa P NPC Magazine

Anno: 2005
Durata: 100′
Interpreti principali: María Valverde, Letizia Ciampa, Primo Reggiani, Fabrizia Sacchi, Geraldine Chaplin, Claudio Santamaria, Elio Germano, Alba Rohrwacher, Giulio Berruti

Tratto da 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire, fortunato romanzo erotico di Melissa Panarello, Melissa P. è universalmente considerato il peggior film di Luca Guadagnino. Il progetto era inizialmente stato rifiutato da ogni casa di produzione italiana, finché la Sony non ci ha visto del potenziale e ne ha concesso la realizzazione. Quel che è accaduto in seguito, però, ha messo a rischio l’intera carriera del regista, di cui Melissa P. porta in realtà soltanto la firma.

Sempre nell’intervista sopracitata Guadagnino ha evidenziato come, nelle sue intenzioni, la sedicenne protagonista, interpretata da María Valverde, avrebbe dovuto avere pieno controllo della sua sessualità, ma l’idea è stata rigettata dai produttori senza interpellarlo. Il montaggio finale ricontestualizza i momenti erotici, presentando una Melissa totalmente sottomessa e umiliata dagli uomini che incontra. Anche le musiche sono state rimaneggiate, spazzando via la selezione precedente.

Se a tutto ciò aggiungiamo la recitazione scadente e l’approccio acerbo, è evidente come non venga fuori un’immagine pulita di Melissa P., nonostante il cast importante che include Elio Germano, Claudio Santamaria e Alba Rohrwacher. È un film difficile da guardare, e di certo non un Guadagnino di cui potersi innamorare.

Classe 1999, pugliese fuorisede a Bologna per studiare al DAMS. Cose che amo: l’estetica neon di Refn, la discografia di Britney Spears e i dipinti di Munch. Cose che odio: il fatto che ci siano ancora persone nel mondo che non hanno visto Mean Girls.

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