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Lynch/Oz, guida al viaggio onirico nel Mondo di Oz

12 minuti di lettura

Entrare nel mondo di David Lynch equivale a scendere nelle profondità della sua psiche, scavare in superficie per trovarsi in un mondo sotterraneo capovolto, attraversare la soglia e passare oltre lo specchio. L’incipit visivo più adatto per questo avvicinamento è ancora quello di Velluto blu in cui Lynch prima ci presenta l’aspetto più idilliaco e idealizzato dell’America, una provincia serena e rassicurante con staccionate bianche, prati perfetti e fiori dai colori sgargianti, ma poi scende sottoterra con la macchina da presa per mostrarci il marcio e lo sporco di quella stessa società, il suo lato più nascosto e oscuro.

Lynch ricorre sempre a questo metodo di rappresentazione, quello cioè di ricreare la realtà quotidiana, forse banale ma sempre rassicurante; e svelarne poi il suo opposto speculare, in cui tutto ciò che era monotono diventa sorprendente e ciò che era rassicurante diventa spaventoso.

Il dualismo finzione/realtà, sogno/incubo è una costante dell’opera di David Lynch, ne fa un’analisi singolare e approfondita il documentario Lynch/Oz di Alexandre O. Philippe, che si sofferma e indaga tutte le possibili comunanze tra il film di Victor Fleming e tutte le produzioni di David Lynch.

Lynch/Oz, un documentario surreale

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Alexandre O. Philippe è un regista svizzero che si è specializzato soprattutto nella realizzazione di documentari sempre particolari e originali: nel 2010, per esempio, realizza The People vs George Lucas in cui indaga l’ossessione e il fanatismo intorno al franchise di Star Wars e a George Lucas; oppure gira Doc of the Dead del 2014, attraverso cui studia il genere degli zombie; o ancora 78/52 incentrato interamente sulla celebre scena (di 3 minuti) della doccia di Psycho di Alfred Hitchcock.

In Lynch/Oz, attraverso 6 capitoli tematici, viene sviscerato il rapporto di dipendenza ossessiva che David Lynch intrattiene con Il mago di Oz. Il regista non ha mai fatto segreto della sua fissazione per il film che si costituisce come un enorme bacino di immagini, creazioni, topos a cui attingere, scegliere, pescare e reinventare. I sei capitoli si articolano come delle analisi tematiche realizzate da altrettanti autori, dove ognuno è un tassello attraverso cui l’intera opera di Lynch viene scandagliata e smontata.

In ordine, i capitoli sono: Il vento, di Amy Nicholson, Membrane di Rodney Ascher, il terzo è a opera di John Waters, dal titolo Affini, ed è il più autobiografico di tutti; il quarto, dal titolo enigmatico, Moltitudini è a firm di Karyn Kusama; il quinto di Justin Benson-Aaron Moorhead si intitola Judy; e infine, l’ultimo ma non ultimo: Scavare, di David Lowery.

Lynch/Oz è in sostanza un grande omaggio, prima che a David Lynch, al Mago di Oz, film cardine dell’intera storia cinematografica hollywoodiana di cui forse è opportuno tracciare una breve ricognizione prima di proseguire con l’approfondimento del documentario di Philippe.

Il Mago di Oz, un classico maledetto

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Il mago di Oz è un film del 1939 diretto da Victor Fleming (ma anche da Richard Thorpe, George Cukor, King Vidor) ispirato al romanzo Il meraviglioso mago di Oz del 1900. Protagonista del film è una giovanissima Judy Garland che interpreta Dorothy Gale.

Il film è uno dei classici hollywoodiani più visti di sempre e la storia è nota: Dorothy vive nel Kansas con il suo cane Toto e i suoi zii Henry ed Emma, ma sogna di lasciare casa sua per vivere un’avventura; a causa di un uragano si ritrova nel fantastico mondo di Oz dove conosce lo Spaventapasseri, l’Uomo di Latta e il Leone con cui inizia un viaggio per raggiungere il grande e potente Oz che vive nella Terra di Smeraldo.

La compagnia è però minacciata dalla Strega cattiva dell’Ovest che vuole vendicare la morte della sorella, la strega cattiva dell’Est morta sotto la casa di Dorothy quando è atterrata a Oz. La strega cattiva dell’Ovest vuole inoltre rubare le scarpette rosse appartenute alla sorella, ma che ora sono in possesso di Dorothy, grazie anche alla strega buona del Nord che aiuterà la bambina a recuperarle. Dorothy dopo mille peripezie riuscirà a tornare a casa ma il finale lascia nel dubbio lo spettatore: il viaggio di Dorothy è stato reale o era solo un sogno? La realtà è in Kansas o ad Oz? Veramente nessun posto è come casa?

Oltre alla storia e al mondo fantastico creato in Technicolor, un altro aspetto interessante del Mago di Oz è costituito dai retroscena della produzione e dalla stessa figura di Judy Garland. Il mago di Oz viene, infatti, definito spesso come un film maledetto a causa delle numerose vicissitudini e imprevisti riguardanti la produzione, ma anche a scelte adottate sul set alquanto discutibili che hanno riportato conseguenze molto gravi a diversi interpreti.

Famoso è il caso di Buddy Ebsen, l’attore che inizialmente era stato scelto per interpretare l’Uomo di Latta e che ha riscontrato seri problemi respiratori a causa del costume indossato, realizzato con una vernice a base di allumino. Ebsen si ammalò e non poté più completare il film, al suo posto venne ingaggiato Jack Haley. Oppure, altro imprevisto toccò all’attrice Margaret Hamilton, che interpretava la Strega Cattiva dell’Ovest. Anche lei ebbe problemi di salute a causa del trucco utilizzato per il personaggio, che era composto da una sostanza a base di rame e che le causò pesanti reazioni cutanee.

O ancora, scandoloso il fatto che gli attori nani che interpretavano i Munchkin venivano pagati meno del cane che vestiva i panni di Toto. Inoltre, sempre collegata a loro, aleggia la leggenda secondo cui uno di loro si sia suicidato sul set e che l’atto appaia addirittura in un fotogramma (ma quest’ultima storia, quella del fotogramma, è stata ormai smontata). O, infine, suscita inquietudine la testimonianza di Judy Garland stessa, che fu costretta a partecipare a feste sfrenate che la troupe teneva in hotel, dove giravano alcol e droga a volontà, e dove in più occasioni la Garland fu vittima di molestie.

Insomma, tanto il film Il mago di Oz viene percepito come una storia straordinaria in cui sogno e fantasia concorrono a creare un universo incredibile e sorprendente, tanto il suo set (e quindi la sua parte reale) si rivela orrenda, sporca e ambigua. Che sia questa dualità intrinseca ad aver attirato l’interesse di David Lynch? Nasce, quindi, in Lynch/Oz un bisogno impellente di conoscere l’attrazione fatale nei riguardi della pellicola.

Il dualismo in Lynch/Oz

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David Lynch in un’intervista ha detto “Io non so cos’è che mi attrae de Il Mago di Oz, ma credo che la chiave sia la ricerca della strada per tornare a casa”. Partendo da questa frase, infatti, possiamo vedere tutti i suoi film sotto un’altra luce: ognuno inizia in un momento sereno, di tranquillità quotidiana per i personaggi coinvolti, poi, inevitabilmente, succede qualcosa, un fatto strano o inaspettato che sconvolge la routine del mondo rappresentato e che costringe i personaggi ad affrontare situazioni al limite dell’assurdo. Fronteggiare minacce e pericoli per risolvere l’impasse surreale, tornare a una situazione di serena tranquillità, tornare a casa. Ecco, quindi, il valore intrinseco spiegato in Lynch/Oz.

All’interno di questa sovrastruttura generale, applicabile a praticamente tutti i film di Lynch, però, si trovano e si scoprono innumerevoli altri riferimenti ed easter eggs che riconducono al Mago di Oz, e a tutto il mondo che gli sta attorno. Alcuni esempi, anche ricordati in Lynch/Oz, sono: la pressoché costante presenza delle scarpette rosse, i tendaggi che si aprono a rivelare una dimensione altra, la riproposizione dei nomi, soprattutto Judy, Garland e Dorothy.

La stessa figura di Judy Garland, infatti, sembra esercitare un certo fascino su Lynch, essendo l’incarnazione di una sorta di dualità: da un lato la star acclamata e ammirata, dall’altro una personalità sofferente dipendente da alcol e psicofarmaci. Quello che sembra di più accomunare il mondo di Lynch e quello di Oz, infatti, è la tematica del dualismo. A ogni mondo ne corrisponde un altro contrario, e per ogni personaggio esiste la sua controparte. Ma, nell’universo Lynchiano, tutto è mischiato e tutto si confonde, l’unica cosa certa è il perenne mistero su quale sia la realtà e quale la finzione.

Lynch/Oz non risolve il nostro dilemma, non ci fornisce la soluzione agli enigmi surreali di Lynch, ma ci offre dei punti di vista nuovi, spesso imprevisti e non scontati. Anche per chi conosce molto bene i film di Lynch, il documentario si rivela estremamente interessante, mai scontato o banale e si configura quasi come una visita guidata all’interno della testa di Lynch, un viaggio curioso e appassionante.


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Chiara Cazzaniga, amante dell'arte in ogni sua forma, cinema, libri, musica, fotografia e di tutto ciò che racconta qualcosa e regala emozioni.
È in perenne conflitto con la provincia in cui vive, nel frattempo sogna il rumore della città e ferma immagini accompagnandole a parole confuse.
Ha difficoltà a parlare chiaramente di sé e nelle foto non sorride mai.

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