Sono 62 anni per Mario Martone, regista partenopeo innamorato del teatro che continua a nutrire di genuina poesia le sue opere filmiche. Ospite alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia, Martone ha illuminato le sale con Qui Rido Io, opera in concorso e ultima gemma del suo cinema, che ha recentemente vinto il Ciak D’Oro assegnato dal pubblico. Un’ode a Eduardo Scarpetta e alla tradizione teatrale italiana vestita di purezza popolare. Uno scorcio di italianità d’autore, con protagonista Toni Servillo, lo stesso mirabile interprete che, nel 1987, insieme a Martone e Antonio Neiwiller, fondò il gruppo Teatri Uniti.
Perché l’anima creativa di Mario Martone si respira sopra un palcoscenico, incastonata tra luci chiaroscurali che donano ai suoi personaggi un’aura caravaggesca. Tra l’imponenza delle colonne sonore e il lirismo rappresentativo, Mario Martone sposa un ritratto dell’Italia in tutte le sue evoluzioni storiche. Il suo è un progetto di vita ad ampio respiro, che dall’Ottocento di drammi borghesi e moti risorgimentali, avanza agli albori della Prima Guerra Mondiale, fino a rivisitare la contemporaneità vestita da classici letterari.
Ecco perché la sua vena registica, così sfaccettata, appare sempre unitaria sotto un’epica storia nazionale, di cui riscopriamo due simbolici tasselli: Noi Credevamo e Capri -Revolution. I due film hanno avuto un posto d’onore al Festival di Venezia e sono disponibili su Rai Play.
Noi credevamo: Mario Martone racconta un sogno realizzato a metà
È il 2010 quando Mario Martone porta sul grande schermo Noi Credevamo, un titolo che sin da subito abbraccia due satelliti, quello comunitario di un sogno condiviso e quello solitario di un verbo all’imperfetto che piange le sue sconfitte. Come cita Cristina Trivulzio di Belgiojoso, interpretata nel film da Francesca Inaudi: “Quando mi avvalgo del verbo credere esprimo una speranza, non già una convinzione”. E le sue parole incontrano e contrastano l’ambizione di un Italia giovane, o meglio della Giovine Italia guidata da Giuseppe Mazzini (Toni Servillo), che consacrò le sue speranze a un’Italia democratica.
Ma l’Italia che si ottiene nel 1861 è una monarchia liberale, un compromesso affrancato dalla stretta di mano tra i Borbone e i Savoia. Così Martone racconta il patriottismo, la lotta, la libertà e la repressione in una cornice dinamica di volti esemplari, divisi tra la realtà storica e finzione offerta dal romanzo Noi Credevamo di Anna Banti. La sua storia risponde a tre protagonisti, Angelo, Domenico e Salvatore, specchio, a loro volta specchio di tre modi diversi di abbracciare la rivoluzione, in una storia sofferta e condivisa che ha molto da raccontare.
Quella di Mario Martone è la direzione sapiente un cast stellare (Luigi Lo Cascio, Guido Caprino, Renato Carpentieri) in una dimensione epica dove la storia, la cultura e l’intimità si rivelano, pervase da un onnipresente spirito teatrale. Una polifonia di voci della durata di quasi tre ore di ricchezza scenografica, per un primo assaggio di storia italiana che restituisce la sua genuinità nell’adozione di una parlata dialettale imprescindibile per i ritratti veristi di Martone.
La dionisiaca danza di Capri Revolution affacciata sulla guerra
Lo spauracchio della Prima Guerra Mondiale avanza su una raffinata pellicola ambientata nel 1914. S’intitola Capri-Revolution il decimo film di Mario Martone, che indaga un altro tracciato di storia italiana, ma da un diverso punto di vista. Scompare la rivoluzione nella sua temporalesca avanzata combattiva e risorge il desiderio di un cambiamento attraverso lo sguardo di una giovane capraia, Lucia, interpretata da Marianna Fontana (Romulus). Una ragazza che, ingabbiata nell’indottrinamento di una chiusa società montagnina, ritrova la libertà in una comunità hippie libertina, la cui rivoluzione personale è la compassione.
Ecco dunque che protagonista indiscussa del film è la danza, in quella sinuosità apollinea che richiama La Danza di Henri Matisse. E Lucia riscopre nel convivio di musica, arte e poesia il motore per comprendersi in una realtà che sembra essere sempre immutabile. Il valore dei silenzi, l’evocazione dei paesaggi e il respiro di una libertà agognata assuefanno lo spettatore in un abbraccio di stimoli sensoriali. Il turbinio attivo e dirompente di Noi Credevamo lascia quindi spazio all’eleganza silente e riflessiva dell’Isola di Capri.
Ma il sonno del luogo idilliaco è svegliato dalla formazione di una coscienza rivoluzionaria. Da un lato questa appartiene agli idealismi di chi vuole che il potere si prenda le sue responsabilità. Dall’altro è figlia delle volontà solide e forse utopiche di sognatori che aspirano a migliorare sé stessi con un rapporto più sincero con la propria spiritualità. Due terreni di confronto per una considerazione sempre presente nel cinema di Martone, quella che riguarda la società e il delicato gioco di equilibri di potere che la costruisce.
Guardare al passato per raccontare il presente
Mario Martone racconta l’Italia attraverso i volti umani che ne hanno tessellato l’esistenza. I suoi personaggi, vittime e carnefici, puri e corruttibili, rispondono all’esigenza di guardare il passato per raccontare il presente. Dalla Napoli di Eduardo De Filippo rivisitata in chiave contemporanea (Il Sindaco Del Rione Sanità), all’eterno Giacomo Leopardi di Elio Germano (Il Giovane Favoloso), la narrazione del regista si avvale di simboli. Il cinema di Mario Martone non è solamente il voto infrangibile a un’estetica peculiare, ma uno scrigno storico e culturale della Storia d’Italia.
Le sue storie cercano lo spettatore, lo coinvolgono, lo emozionano, con un’esigenza narrativa che supera il tempo. Arte, letteratura e musica si intessono in sinapsi performative che inneggiano alla poesia, ma restano fermamente ancorate alla realtà storica con l’esigenza di dare a uomini e donne la loro voce nella Storia. Noi siamo la rivoluzione, come cita Seybu in Capri-Revolution. E la rivoluzione registica di Mario Martone si appella alla memoria storica italiana, con un timbro inconfondibile.
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