Mario Martone, durante la sua masterclass al Teatro Astra di Torino, ha ripercorso alcune tappe fondamentali della sua carriera: dai suoi inizi come regista teatrale nella Napoli degli anni Settanta al passaggio al mondo del cinema. Un passaggio che si configura come continuo movimento, come contaminazione sempre in atto: Martone non ha mai abbandonato il mondo del palcoscenico, ma ha portato nel suo cinema il modo di pensare e di agire del teatro. Un modo di pensare e di agire politico, concepito come pensiero e azione collettiva.
Gli inizi di Martone nella Napoli degli anni Settanta e Teatro di guerra
Martone inizia la sua masterclass rievocando gli inizi della sua carriera nel teatro: già da giovanissimo, a 17 anni, sperimentava con le forme teatrali negli spazi sperimentali della Napoli dell’epoca. Con la compagnia “Teatri Uniti” iniziano le prime forme di sperimentazione con le altre arti, in particolare il cinema e l’opera.
Erano anni di contaminazione tra i linguaggi. Ero ragazzo: non c’erano nè soldi nè strumenti. Facevo con quello che c’era. Anche oggi, pure se faccio una regia alla Scala, faccio con quello che c’è. Poco o tanto.
Mario Martone
Teatro di guerra (1998), è uno dei film che meglio esprime questa contaminazione, ma anche la concezione di teatro di Martone come oggetto e metodo in continuo dialogo con il tempo. Storia contemporanea che si rifà alla tragedia greca, Teatro di guerra mostra il rapporto delle opere col tempo, il loro acquisire nuovi significati con il passare degli anni, e lo fa sottolineando l’aspetto sociale e politico della fruizione dell’opera d’arte.
Il teatro ricompare anche ne Il sindaco del rione Sanità, rielaborazione in chiave contemporanea dell’opera di Eduardo De Filippo e in Noi credevamo, opera imponente di Martone che mostra il “lato oscuro” del Risorgimento, come luogo fisico e spazio di rappresentazione. Ma soprattutto il teatro domina lo spazio narrativo e fisico di Qui rido io, dove la ricostruzione della storia di Eduardo Scarpetta diventa luogo di riflessione teorica sulla funzione del teatro.
Ma il teatro è presente anche nei modi in cui Martone prepara le scene dei suoi film come se fossero spettacoli teatrali: un esempio è quello di Capri-Revolution, dove le scene dei corpi danzanti seguono una precisa coreografia. Martone racconta di aver girato quelle scene in stretta collaborazione con la scenografa Raffaella Giordano, e di aver concordato con la produzione un periodo di laboratorio con gli attori prima dell’inizio delle riprese, trasportando al cinema un modo di lavorare e di utilizzare il tempo tipico del teatro.
Parlando dell’esperienza di Capri Revolution, Martone sottolinea l’importanza di ciò che non si vede sulla scena ma che ne determina la struttura, ma soprattutto la necessità di un coinvolgimento emotivo collettivo da parte di tutte le persone presenti sul set.
La danza che non vedi sullo schermo ma è attorno alla scena: cinema e teatro non è soltanto quello che tu vedi, ma anche come lo fai. Macchinisti, elettricisti, tutte le persone che lavorano su un set devono essere tutti nella stessa danza. Una specie di coinvolgimento collettivo dove tutti devono essere chiamati al senso di quello che stiamo facendo, non si tratta solo di, si tratta di condividere un’esperienza.
Mario Martone
Il teatro come pratica radicale
Il teatro ha anche una fortissima valenza politica: per Martone la forma teatrale ha una radicalità insita, data dalla sua stessa natura di forma non riproducibile che ne rende più difficile l’inglobamento da parte della comunicazione mediatica pervasiva della società contemporanea. Il teatro riesce ancora, seppure sempre con più fatica, a rimanere fuori dalla macchina della spettacolarizzazione del conflitto. Sta qua la forza politica del teatro per Martone, nel riuscire ancora a “portare voci che nessun media può portare”, conservare la potenza del conflitto autentico al di fuori della macchina mediatica che mastica tutto per poi sputarne fuori una versione svuotata.
Il teatro è ancora politico. La società che ha intorno però è “gassosa”, assorbe tutto. Ma chi fa teatro e chi va a teatro deve resistere e sperimentare il conflitto. Ognuno deve continuare a pensare che quello che facciamo ha un valore: possiamo ancora discutere e azzuffarci, fuori dalla macchina della spettacolarizzazione che assorbe il vero conflitto.
Mario Martone
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