Marx può aspettare, film di Marco Bellocchio presentato alla 74° edizione del Festival del cinema di Cannes, è un documentario sulla storia della famiglia Bellocchio.
Marx può aspettare: la trama
Nello specifico, Marx può aspettare è incentrato sulla figura di Camillo, il fratello gemello del regista, ed è guidato dalla narrazione fuori campo della voce di Marco Bellocchio stesso, che dialoga con i suoi parenti, facendo riaffiorare poco a poco ricordi legati agli anni della sua infanzia e della sua gioventù. La figura del fratello Camillo e del suo tragico suicidio, sono allo stesso tempo oggetto di una dolorosa analisi e punto di partenza per una riflessione che si dirama, articolandosi su più sfere: quella politica, familiare, sociale, religiosa.
Da una tavola imbandita e dalla famiglia allargata di Bellocchio parte il racconto della vicenda del nucleo familiare, che a quella numerosa famiglia ha dato origine. Marco e il fratello Camillo hanno cinque fratelli (tra cui una sorella sordomuta e uno affetto da patologie psichiatriche) e crescono in una famiglia di stampo fortemente cattolico. Fin dalle prime sequenze Camillo è presentato come il più debole tra i due gemelli: asfittico alla nascita, viene battezzato tre volte poiché sua madre temeva di perderlo, gracile nel fisico, con uno sguardo sempre coperto da un velo di malinconia.
La parabola di Camillo in Marx può aspettare
Un amico un giorno nuotando con lui ebbe l’impressione di vederlo scomparire nel fondo del mare e gli chiese, come a premonizione della sua fine, “Camillo, anneghi?”. La storia di Camillo è a tutti gli effetti quella di un graduale affogamento e, il fratello Marco, ripercorrendo la sua vita cerca di capirne l’origine e le cause. Cresciuti in una casa in cui erano costantemente minacciati dal terrore – quello comunista e quello dell’Inferno – i fratelli Bellocchio perdono il padre da bambini e devono presto imparare a “nuotare” per sopravvivere, cercando di trovare al più presto la propria strada per allontanarsi da quella soffocante dimensione familiare.
La parabola di Camillo tuttavia segue una traiettoria ben distinta da quella dei fratelli: più loro avanzano ed eccellono in ciò che fanno – la carriera da regista, l’impegno politico, i successi professionali – e più Camillo si sente inadeguato poiché incapace di trovare il proprio percorso. La sua felicità è inversamente proporzionale al successo dei fratelli.
La lettera misteriosa e l’attivismo politico
Il momento risolutivo nel viaggio di introspezione del regista è quello in cui il fratello maggiore accenna a una lettera in cui Camillo, rivolgendosi al gemello e chiedendogli consiglio, esprime incertezze e grande disagio. Questa rivelazione – difficile credere che sia avvenuta proprio a favore di camera, come presentato nel film – fa vacillare l’approccio narrativo distaccato e a tratti canzonatorio che fino a quel momento aveva caratterizzato la voce del regista. Marco Bellocchio non ricorda di aver risposto a quella lettera, e di fronte alla richiesta di aiuto inascoltata si interroga scomodamente sulla propria responsabilità e sulle conseguenze delle mancate risposte sul suicidio di Camillo. Non si tratta solo delle risposte non date, ma anche di quelle date: di fronte all’ennesima richiesta di aiuto del fratello, il regista parla della necessità di un attivismo rivoluzionario, della lotta alla borghesia per salvare il proletariato. L’impegno politico e tutto il suo vigore si sgretolano però davanti al dramma umano di Camillo che, resosi conto della distanza che lo separa dal fratello, replica con ironia dicendo “Marx può aspettare”. Si tratta di un dialogo doloroso in cui è chiaro all’osservatore che i fratelli utilizzano registri diversi e inconciliabili. È la prova, questa, di una forte incomunicabilità che è tema centrale del film e che viene esplicitata da tutti i testimoni intervistati, i quali a distanza di anni elaborano dinamiche familiari complesse caratterizzate da una stasi sentimentale e dalla mancanza di strumenti emotivi. Camillo era solo in un deserto di affetti, e non ha trovato, come i suoi fratelli, la forza di salvarsi (talvolta a scapito degli altri).
Marx può aspettare è un opera completa
Marx può aspettare è un’opera completa: ricorrendo a materiali molto eterogenei (archivio di famiglia, filmati di repertorio che spaziano dal ventennio fascista alle contestazioni del ’68, estratti della filmografia del regista) traccia la storia dell’Italia della seconda guerra mondiale e del dopoguerra, intrecciandola alle personali vicende di una famiglia emiliana. Il documentario va oltre, rapportando il vissuto collettivo e quello personale alla produzione artistica del regista, rendendo manifesto in quale misura il dato biografico di Marco Bellocchio nel corso degli anni si sia riflettuto sul corpus delle sue opere. Capiamo così quanto di personale sia rintracciabile nei suoi film: le strazianti urla del fratello malato Paolo nel personaggio di Sandro ne I pugni in tasca (1965), ambientato proprio tra Bobbio e Piacenza, la presenza della madre vedova e non vedente (il simbolismo che soggiace alla cecità della madre è evidente). Lo stesso binomio di personaggi, Egidio il figlio “pazzo” e una madre soccombente e religiosa da santificare, è ben presente in L’ora di religione (2002). Infine, il collegamento più chiaro e manifesto si trova in Gli occhi, la bocca (1982) in cui è raccontato il suicidio del gemello del protagonista, che pronuncia le stesse parole di Camillo, “Marx può aspettare”. Questo documentario è dunque un punto di arrivo nella carriera del regista, in cui vengono esplicitate tematiche che da sempre formano parte e sono sostanza delle sue opere più note e importanti.
I personaggi
Il sistema dei personaggi è chiaramente distinguibile e la differenza sta nella prospettiva assunta dai parenti e dagli amici di Bellocchio. Le sorelle sono intervistate in coppia, nel loro racconto sono guidate dai sentimenti, tralasciano i dettagli più dolorosi (negano di aver mai saputo del biglietto di addio lasciato da Camillo) e la loro è una visione ancora saldamente religiosa. I due fratelli sono intervistati singolarmente e sono più lucidi, effettuano una disamina più distaccata e quasi imparziale, per quanto possibile. Tra gli sguardi esterni alla famiglia ce n’è uno molto profondo e sferzante: la sorella della compagna di Camillo racconta ciò che la giovane le riferiva della famiglia Bellocchio, e che a sua volta le veniva raccontato dal ragazzo stesso. La donna riporta con fedeltà e rispetto, ma comunque impietosamente, il ritratto di una famiglia assente e anaffettiva, da cui Camillo stesso si sentiva distante. La coralità del racconto è dato da un senso di colpa condiviso e più o meno evidente che tuttavia è sempre “composto” e mai sentimentale. Un tentativo – forse superfluo e comunque fallito – di assoluzione arriva in una delle sequenze finali per mano di padre Fantuzzi, un gesuita con cui Bellocchio dialoga ma alle cui parole il regista sembra non credere.
La sequenza finale mostra le foto di Marco e Camillo da giovani che si sovrappongono. Nel susseguirsi di foto l’osservatore assiste all’invecchiamento di Marco, mentre il volto di Camillo resta giovane e il suo sguardo dolorosamente malinconico.
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