fbpx
Maschile Plurale copertina

Maschile Plurale, di plurali malinconie

10 minuti di lettura

Nel 2021, Maschile Singolare esordiva su Prime Video sottotraccia, palpitando al tenero tempo di un innamoramento identitario. Era un film di solitudini maschili, di sperimentazione e ricerca di sé, la storia romantica di un ragazzo chiamato a scoprirsi uomo, con un matrimonio fallito alle spalle, senza lavoro, aspettative e sogni propri. L’esplorazione, nell’opera di Alessandro Guida e Matteo Pilati, passava attraverso la sessualità e una disinibita rieducazione sentimentale all’individualità, sgattaiolava in ambienti raccolti e richiamava autenticità, appoggiandosi a un racconto che nel rifiutare catalogazioni aspirava a una propria universalità.

Fu un discreto e inaspettato successo, anche internazionale, tanto da trascinarlo qui, a Maschile Plurale. Tre anni dopo, diretto dal solo Alessandro Guida e sempre su Prime Video (dopo una breve parentesi in sala), Maschile Plurale ricomincia dai ricordi e vagabonda ancora lungo il perimetro di una terra di mezzo, fotografando uno spaesamento generazionale imbevuto di malinconia.

L’obiettivo del primo film era di farsi narrazione liminale e raccordo naturale tra commedia e opera queer, invocando un riconoscimento che non conoscesse inscatolamenti di genere e orientamento e non necessitasse contestualizzazioni marginalizzanti. Già in quel caso, però, l’inclusività era una questione molto formale, inquadrata dentro stereotipi raffigurativi di una comunità cui veniva sottratta tridimensionalità, a discapito di una rappresentazione tristemente ancorata a modelli anacronistici e piuttosto invalidanti.

Eppure Maschile Singolare stava in piedi sotto altre prospettive, e lì sapeva funzionare. Aggirava i suoi stessi, spiacevoli, difetti, nello snodarsi in ritratto semplice di un’età di passaggio, di un senso di sradicamento collocato al confine tra due tempi della vita. Raccontava i trentenni con sincerità, astraendo il momento di transizione di un piccolo microcosmo maschile smarrito tra amore, lavoro e riscoperta di sé.

Oggi Maschile Plurale si aggrappa alle sue premesse, tornando a convincere dove già convinceva e a scricchiolare dove già dava segni di cedimento. Certo perde l’effetto freschezza e un po’ di spudoratezza, rigirando su stesso senza alcuna particolare urgenza narrativa e oscillando da intermezzo verso un’ulteriore prosecuzione della storia. E in fin dei conti se ne sta comodo lì, su quella soglia incerta di cui ha scelto di farsi vessillo.

Maschile Plurale, questioni di ribellione

Giancarlo Commare in una scena di Maschile Plurale

Con un tocco più pungente del suo secondo capitolo, Maschile Singolare chiudeva la parabola di Antonio (Giancarlo Commare) dopo un rinvigorente processo di modulazione di sé, conquistata dopo faticose alterazioni emotive (e altrettante ingenuità di scrittura).

Tradito da suo marito dopo dodici anni di matrimonio, si era dovuto inventare una nuova sistemazione a casa di Denis (Eduardo Valdarnini), aveva trovato lavoro nel forno di famiglia di Luca (Gianmarco Saurino), frequentato un corso di pasticceria, avuto un flirt con Luca, riscoperto la propria sessualità, frequentato ragazzi, conosciuto e lasciato Thomas (Lorenzo Adorni) e poi perso l’amicizia di Denis, in un tragico e fatale incidente stradale. Maschile Singolare era stata, per Antonio, un’educativa ribellione da se stesso, una scomposizione identitaria volta a smantellare e ricostruire strato per strato una rinnovata consapevolezza.

Maschile Plurale mobilita un’altra volta impulsi di ribellione, necessità di riformulazione. Ciondola nuovamente sui bordi del disorientamento esistenziale di una generazione sminuzzata tra la nostalgia del passato e l’incertezza del presente. La sua autenticità è caldeggiata dalla nobilitazione di un percorso ancora in fieri, sballottato in feritoie di vulnerabilità che più si convincono di aver accumulato certezze e più si sorprendono a rimetterle in discussione.

A 33 anni, Antonio è un pasticciere di successo, più per merito di una risonanza mediatica in cui non si riconosce appieno che per misurabili gratificazioni lavorative. Dopo il mascarpone solo, metafora di una purezza raggiungibile solo a patto di amarsi e bastarsi da sé, Antonio ha bisogno di riallestirsi, riconfermando se stesso con un nuovo dolce e un’indistricabile compenetrazione tra professione ed esperienze relazionali.

Negli anni è diventato schivo, refrattario all’unione sentimentale, molto meno ingenuo di come lo avevamo conosciuto. I giornali lo definiscono un “pasticciere giovane sensibilmente ancorato alla tradizione del passato” e Maschile Plurale affila lo sguardo sulla gelosia con cui Antonio custodisce le foto di Luca e i vestiti di Denis, lasciando che la notte si faccia scrigno dei loro momenti insieme, accarezzati dalla memoria di ciò che della sua vita non è più coniugabile al presente.

Quando Luca ripiomba nella quotidianità di Antonio, la scintilla della speranza assume intonazioni nostalgiche e sguscia furtiva verso un piano irragionevole di espiazione e riappropriazione del passato. Che parte da Luca, non più proprietario del forno in cui lavoravano assieme (chiuso, da qualche anno), ma simil-educatore in una casa d’accoglienza per giovani appartenenti alla comunità LGBT, bisognosi di aiuto, collettività e di un luogo di cui sentirsi parte. Quel rifugio Luca lo gestisce insieme al fidanzato Tancredi (Andrea Fuorto), con cui è in procinto di sposarsi, prima che l’arrivo di Antonio ne stravolga gli equilibri interni, spalleggiato dall’invitante proposta di riaprire insieme il forno in cui un tempo erano stati felici.

Dal Singolare al Plurale e viceversa

Giancarlo Commare e Gianmarco Saurino in Maschile Plurale

Imbastiti gli schemi di gioco e avvalorata la chimica tra i due attori protagonisti, che flirtano e si stuzzicano sublimando nei battibecchi, gli sguardi e i corpi seminudi la reciproca attrazione, Maschile Plurale si affida senza slanci al flusso di un canovaccio ben collaudato. L’anatomia dell’opera di Alessandro Guida assomiglia molto al disincanto sentimentale e strategico de Il matrimonio del mio migliore amico, a quelle tipologie di narrazioni romantiche arricciate nel tranello dei loro stessi presupposti di realtà.

Maschile Plurale varia sul tema agrodolce della storia d’amore incompiuta, racconta di tempi asincroni, incroci e personalità volubili, in continuo mutamento. Ma se il suo modello funzionava più compiutamente era perché lì un principio di coerenza suturava ogni svolta e idiosincrasia umana. Nel caso di Maschile Plurale, invece, la natura del finale aperto e le antistanti, malferme, meccaniche narrative ne invalidano la trasparenza delle intenzioni, avvicinandolo più credibilmente a una dilatazione commerciale del prodotto che a un’onesta esplorazione della complessità delle relazioni interpersonali.

Allora nell’aria di Maschile Plurale non resta che l’aroma delle sue malinconie. Contrastato dalle tonalità calde e rassicuranti del ricordo, il suo appagante presente estetico viene continuamente scrostato dall’intreccio di rime con il film precedente. Il piacente edonismo dei luoghi e dei corpi che connotano il sequel ripercorre gli spazi di Maschile Singolare osservandoli da angolazioni differenziate; ripropone momenti d’intimità narrativizzandoli dentro la soggettività di Antonio, invertendone ruoli e posizioni e riflettendo meta-cinematograficamente sull’impossibilità di riafferrare il passato, al di là dell’aderenza della sua messa in scena.

Maschile Plurale sceglie di trascinarsi, un po’ reinventandosi e un po’ ripetendosi, verso un altro tipo di educazione sentimentale: che ora aspira alla pluralità, ma non nel senso immaginato. Chiama in causa l’amicizia e redarguisce il singolare egoismo del suo protagonista, suggerendogli la strada verso un tempo futuro troppo a lungo ignorato o idealizzato. Il riscatto della sensibilità alla fine arriva, e Maschile Plurale lo incunea ancora nella veicolazione creativa del lavoro di Antonio, che riesce a ricreare un dolce finalmente suo, nato dagli scarti – e i ricordi – di quelli avanzati, reintegrati in un ciclo di vita da rimettere in moto.

Ma la sensazione, in verità, è che tutto resti ancora sospeso, troppo ancorato al recente e felice passato per avere qualcosa di nuovo da dire.


Seguici su InstagramTik TokFacebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club

Laureata in Cinema e Comunicazione. Perennemente sedotta dalla necessità di espressione, comprensione e divulgazione di ogni forma comunicativa. Della realtà mi piace conoscere la mente, il modo in cui osserva e racconta le sue relazioni umane. Del cinema mi piace l’ascolto della sua sincerità, riflesso enfatico di tutte le menti che lo creano. Di entrambi coltivo l’empatia, la lente con cui vivere e crescere nelle sensibilità ed esperienze degli altri

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.