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Matrix, i 25 anni della parabola sci-fi che ha rivoluzionato il cinema

13 minuti di lettura

Quanti di noi si sono chiesti, almeno una volta nella vita, se è vero tutto ciò che abbiamo intorno? Quanti si sono domandati se le nostre scelte e le nostre azioni sono realmente libere o se siamo all’interno di un meccanismo più complesso, programmato da qualcun altro? Viviamo dentro una simulazione? Viviamo dentro Matrix?

Matrix, il capolavoro delle sorelle Wachowski che ha cambiato la storia del cinema, festeggia quest’anno il suo primo quarto di secolo. Un’opera straordinaria che, tramite il suo linguaggio inclusivo che mixa scene d’azione e costrutti filosofici, si è legata indissolubilmente al nostro immaginario collettivo socio-culturale. Per festeggiare questo anniversario, noi di NPC Magazine abbiamo deciso di dedicare un articolo di approfondimento a questa pellicola, tanto complessa quanto rivoluzionaria.

“Che cos’è Matrix?”, la domanda che ci circonda

Il personaggio di Morpheys in Matrix

Matrix racconta la storia di Thomas Anderson, un programmatore digitale (interpretato da Keanu Reeves) dipendente dalla Metacortex, un’importante azienda sviluppatrice di software. Alla luce del giorno, la vita di Thomas sembra essere quella di un impiegato qualunque: orari da rispettare, un ufficio affollato, un capo che lo rimette puntualmente al suo posto ogni qualvolta si intraveda un’imprecisione nel suo comportamento. Una vita apparentemente perfetta, posta su binari ben definiti.
Ma se di giorno Thomas compie il suo dovere da bravo cittadino, di notte assume invece l’identità di Neo, un abile hacker, ricercato dalle autorità per la sua attività illegale online.

Una sera, risvegliato da sogni inquieti, Thomas legge alcuni misteriosi messaggi apparsi sul monitor del suo computer in cui, un anonimo interlocutore, fa cenno all’esistenza di Matrix, un sistema informatico sul quale lo stesso Neo stava cercando ossessivamente informazioni. Incuriosito, l’uomo decide di seguire le indicazioni dell’enigmatico utente al di là dello schermo, ritrovandosi così a far la conoscenza di Trinity (Carrie-Anne Moss), criminale del Web divenuta famosa per aver hackerato i dati del Pentagono.

Quest’ultima lo porterà a sua volta a far la conoscenza di Morpheus (Laurence Fishburne), leader di un gruppo rivoluzionario intento a cercare di distruggere Matrix. Alla domanda di Neo sulla natura di questa misteriosa entità, Morpheus risponde con una terrificante verità: il mondo in cui loro sono immersi altro non è che una mera simulazione, una gabbia tecnologica in cui l’umanità è immersa col fine di venire sfruttata dalle macchine, intelligenze artificiali che, da anni, conducono una spietata guerra nei confronti degli esseri umani.

Morpheus rivela inoltre a Neo che, secondo la profezia dell’oracolo, lui rappresenta l’eletto che condurrà gli uomini alla salvezza al di fuori del mondo virtuale. Dopo queste rivelazioni, inizierà così il viaggio di Neo che lo porterà ad affrontare le difficoltà e i nemici all’interno di Matrix stesso, primo su tutti lo spietato Agente Smith (Hugo Weaving), nemesi naturale del protagonista, che cercherà in tutti i modi di ostacolare la sua strada.

Matrix, una perfetta metafora dei nostri tempi

Una scena da Matrix

Enorme successo al botteghino, Matrix si è ben presto rivelato un film che ha anticipato alcune delle tematiche che sarebbero poi esplose negli anni a venire, con l’arrivo del nuovo millennio.
Il film affonda le sue radici in una filosofia anti capitalistica che denuncia il sistema socio economico in cui l’individuo moderno è inserito quotidianamente. “Matrix è ovunque, è intorno a noi” afferma Morpheus: in ciò che viviamo, nelle cose che compriamo, nel nostro modo di lavorare e di obbedire categoricamente ad assunti che provengono da chi ci comanda.

Una facciata, composta da un ordine apparente e democratico, utile solamente a nascondere una verità che intuiamo ma che non riusciamo mai realmente ad accettare, ovvero la nostra totale mancanza di libertà in un sistema complesso creato perfettamente per sfruttare il singolo, riducendolo a niente meno che un semplice ingranaggio della macchina stessa.

In questo senso la critica delle Wachowski sembra essere palese e spietata: il film è un pugno nello stomaco dello spettatore, una doccia fredda mirata a sciacquare via ogni difesa e far sentire a nudo chi si trova davanti al messaggio che il film pone. Il coinvolgimento è collettivo, non ci si può tirare indietro.
E così come Neo, anche noi ci ritroviamo dunque a seguire Morpheus come una sorta di profeta tecnologico, intento a svelarci scomode realtà mano a mano che la narrazione si sviluppa.

Ma se è vero che esistono individui che lottano per fuggire dalla prigionia di Matrix, è ugualmente vero che ne esistono altri che invece decidono di assuefarsi al sistema, rigettando con tutte le proprie forze la verità. Perfetta è in questo senso la costruzione del personaggio di Chyper (Joe Pantoliano), incarnazione dell’uomo che, di fronte alla scelta della consapevolezza responsabile, decide di optare per l’oblio e la pura ignoranza per evitare la sofferenza e la fatica di portare il peso della propria coscienza.

In questo modo, come afferma Morpheus, ogni individuo che non è stato risvegliato è un potenziale nemico, pronto a trasformarsi in un agente attivo che mira a mantenere il controllo e lo status quo delle cose a ogni costo. Promotore di questo controllo è il personaggio dell’Agente Smith, raffigurazione di un animo privo di sentimento e cinico, che vedrà il suo pieno sviluppo nei capitoli successivi della saga.

Matrix è, ovviamente, anche una profondissima riflessione sulla tecnologia e su come questa possa essere utilizzata nelle sue varie forme. Sebbene questa infatti rappresenti il principale nemico di fronte all’essere umano, allo stesso tempo permette ai personaggi di compiere azioni fuori dal comune o di apprendere capacità complesse in tempi estremamente brevi. Il messaggio delle Wachowski è dunque chiaro: la chiave è la scelta.

Il tema della scelta è, infatti, uno dei motori trainanti di tutta l’opera e di quelli che saranno i suoi seguiti: come gli svelerà l’Oracolo, Neo non può semplicemente essere l’eletto, per diventarlo deve scegliere di esserlo. Non è un caso che sopra la porta che quest’ultimo attraversa per raggiungere questa consapevolezza, appaia la scritta “conosci te stesso” (ovvia citazione all’oracolo greco di Delfi).

Un simbolismo filosofico che sottintende la profonda ricerca esistenziale su cui il film si interroga e sul quale basa la sua complessa ma particolarissima narrazione.

Matrix, la genesi di un capolavoro

Una scena dal film Matrix

Oltre alla citazione dell’oracolo di Delfi, sono diversi gli spunti che Matrix trae dalla tradizione classica. Le sorelle Wachowski hanno spesso dichiarato infatti che l’idea del film si fonda sul famoso Mito della Caverna di Platone , in cui gli uomini, costretti alle catene, osservano solo le ombre delle cose senza vederle realmente. La genesi della pellicola nasce dunque dall’incontro di questa tematica con un influenza visiva e culturale fortemente orientale, rappresentata principalmente da manga e anime giapponesi, primo su tutti Ghost in The Shell, capolavoro di animazione degli anni novanta.

Non a caso, in questo senso, a differenza di un normale storyboard, fu disegnato per il film un vero e proprio manga che rappresentasse tutte le azioni e le particolari ambientazioni presenti all’interno della pellicola.

Un altro omaggio alla tradizione orientale si riscontra facilmente è il Kung Fu, arte marziale che caratterizza gli scontri presenti all’interno dell’opera. L’uso di questa tecnica combattiva fu gestito da un insegnante che, durante l’anno di preparazione alle riprese, si occupò di insegnare agli attori i movimenti e le tecniche necessarie a evitare l’uso di stunt-men, in modo da avere così un effetto più credibile e realistico.

Tutti gli attori in Matrix svolgono infatti un lavoro ottimo, grazie anche alla solida sceneggiatura delle Wachowski, composta da ottimi dialoghi e monologhi memorabili. Le riflessioni poste da Morpheus, dall’Oracolo e dal malvagio Agente Smith risultano tuttora estremamente attuali e affascinanti, e riescono a trasportare lo spettatore in uno stato di profondità interiore differente.

Un altro aspetto da non sottovalutare è inoltre quello della fotografia, curata da Bill Pope, che assume nel film una dimensione narrativa e simbolica. L’uso della color correction impostata su toni verdi, legata al mondo virtuale, è estremamente funzionante e caratteristica, riuscendo a conferire al film un’identità decisamente peculiare. Interessante notare come, invece, uscendo dal mondo digitale, la fotografia assuma toni decisamente differenti, basandosi su colori più scuri e tradizionali.

A coronare tutto l’apparato tecnico è poi la regia delle Wachowski, impeccabile e funzionale a tutta la narrazione. Pur essendo carico di citazioni (che vanno dal mondo anime sino ad arrivare ai western di Sergio Leone), lo stile delle due appare fresco e personale, anche grazie al sapiente uso degli effetti speciali, portato qui all’estremo senza però mai risultare eccessivo.

In questo modo, il Bullet Time o la ripresa circolare a mezz’aria sono diventati elementi iconici nella cultura pop, venendo spesso citati anche in opere satiriche e di natura del tutto differente.

Filosofia, Tecnica e Rivoluzione

Trinity e Neo in una scena di Matrix

Cercare di parlare di Matrix in un singolo articolo, è un’impresa decisamente ardua, se non impossibile. Sul film sono stati scritti saggi e libri interi che analizzano la sua tecnica e la sua filosofia. I suoi sequel, spesso sfortunati al botteghino, sono anch’essi carichi di concetti, nozioni e temi che meriterebbero decine di approfondimenti.

Ciò però si può affermare con semplicità, al di là di ogni ragionevole dubbio, è che l’opera delle Wachowski è una vera e propria rivoluzione, un punto di svolta che ha segnato un’intera generazione e che ancora oggi ci racconta il mondo che abbiamo intorno, quella verità che avvertiamo di giorno in giorno e che ancora, forse, non siamo pronti ad accettare davvero.


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Nato nel 1993 , giusto in tempo per vedere Pulp Fiction l’anno dopo. 
Sono un musicista che ha una passione patologica per il cinema. Adoro la sala e sono fermamente convinto che debba esistere un girone infernale per quelli che parlano a voce alta durante il film. Scrivo, vivo, faccio cose, vedo gente.

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