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Mercoledí, quando Netflix omologa anche lo stereotipo

7 minuti di lettura

A neanche due settimane dall’esordio su Netflix, Mercoledí (Wednesday, nella versione originale) ha battuto il suo stesso record di ascolti. Disponibile sulla piattaforma dal 23 novembre, lo spin-off de La Famiglia Addams prodotto (e diretto, per i primi quattro episodi) dal genio creativo di Tim Burton ha registrato 752.5 milioni di ore di visualizzazioni, posizionandosi al terzo posto tra le serie originali in lingua inglese più viste dopo Stranger Things 4 e Mostro – La Storia di Jeffrey Dahmer.

Creata da Alfred Gough e Miles Millar, la serie si ispira ai personaggi della Famiglia Addams, creata dal vignettista Charles Addams per il The New Yorker nel 1939. Prodotta in collaborazione tra Netflix e la MGM Television, la serie dark comedy segue le vicende di Mercoledí Addams (nel ruolo, un’impeccabile Jenna Ortega), costretta dai genitori a cambiare scuola per via dei suoi comportamenti antisociali e tendenti alla violenza più incontrollata. Incapace, inizialmente, di stringere legami con i nuovi compagni e con l’ambiente scolastico, sfrutterà l’occasione per risolvere misteriosi omicidi che rischiano di mettere in pericolo la Nevermore Academy.

Nel cast – particolarmente criticato nelle scelte e negli intenti – figurano Catherine Zeta Jones e Luis Guzmán, Morticia e Gomez Addams, Gwendoline Christie (la Brienne di Tarth nel Trono di Spade) nel ruolo della Preside Larissa Weems e la veterana Christina Ricci nei panni di Mrs. Thornhill, strettamente legata al personaggio cui prestò il volto negli anni ’90. Tra le nuove leve, invece, sbalordisce Emma Myers con l’interpretazione di Enid Sinclair, lupo mannaro e compagna di stanza di Mercoledí, protagonista di un’evoluzione che cambierà le sorti dei compagni nell’epilogo.

Jenna Ortega è Mercoledí Addams nel teen horror di Tim Burton

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Mercoledí Addams (Jenna Ortega, Scream, X – A sexy horror story) non è un’adolescente come gli altri, e nel sadico piacere che prova a far soffrire chiunque si metta contro le persone a cui tiene traspare la sua natura: di ghiaccio, dall’espressività incalcolabile e restía a qualsivoglia manifestazione d’affetto, Mercoledí è dotata di un gran cuore incapace di emergere. L’incidente in piscina, provocato per difendere il fratello Pugsley dai bulli, le costa l’allontanamento dalla scuola superiore e l’ingresso alla Nevermore Academy, l’istituto privato frequentato anni prima dai genitori Morticia e Gomez (Catherine Zeta Jones e Luis Guzmán) e ora gestito dalla Preside Larissa Weems (Gwendoline Christie), che in ogni modo tenta di osteggiare i tentativi di fuga dell’adolescente.

Quando alcuni omicidi sconvolgono la cittadina di Jericho, Mercoledí deve fare i conti con i propri poteri psichici e riportare alla luce eventi e antenati misteriosi da cui la ragazza sembra discendere.

Mercoledí Addams è Tim Burton, ma non funziona

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Jenna Ortega è il successo di Mercoledí. Le doti espressive, la mimica scenica, l’abilità nel rendere iconico – ancora oggi – un personaggio dalla tradizione letteraria e televisiva più che datata, fanno dell’attrice una candidata sensazionale al ruolo dell’inespressiva Mercoledí Addams, scritta con astuzia per lo schermo e adattata a ciò che le nuove generazioni vogliono sentirsi dire.

Gli otto episodi rilasciati su Netflix tradiscono, ormai in modo manifesto, la tendenza omogeneizzante della piattaforma, una corsa all’oro che negli ultimi anni è incappata in un surplus produttivo ai limiti della serialità ridondante.

Il regista ha diretto solamente quattro episodi su otto, eppure è proprio Tim Burton il nome all’occhiello di un successo telefonato. A ragione, chiaramente, di una caratura creativa che lo rende uno dei maestri più autorevoli (e autoriali) del genere. Forte, seppur solo per il tema principale, del sodalizio artistico con il compositore Danny Elfman (il commento sonoro è opera di Chris Bacon, per lo più), Burton disegna e plasma il personaggio di Mercoledí a immagine e somiglianza della sua poetica, chiedendo a Jenna Ortega di restituire l'(in)espressività donata al personaggio da Christina Ricci senza sbattere le palpebre.

Un’impresa che l’attrice ha soddisfatto in pieno, rinnovando l’immagine della protagonista in una versione più contemporanea. “Mercoledí ha il mio stesso sguardo sul mondo”, ha dichiarato il regista ricordando i terribili anni del liceo vissuti attraverso gli occhi di un outsider: è il movente dei suoi personaggi oscuri, tormentati e solitari (da Edward in Edward Mani di Forbice a Ichabod Crane ne Il Mistero di Sleepy Hollow), della cifra gotica ricercata in ogni inquadratura e architettura, della necessità avvertita dal regista di “difendere le proprie bambole”, interiorizzare e apprezzare la bellezza racchiusa nella diversità.

È questa la vertigine del fallimento di Mercoledí, l’omologazione del peculiare in un contesto seriale che tende a riproporre costantemente la stessa storia in chiavi e contesti differenti, senza spingersi mai oltre. Il successo è piuttosto quello della stessa Mercoledí, viva e umana oltre gli schermi di un’anima in posizione di difesa, protagonista di una nuova missione: tradurre sentimenti e sensazioni in cui le generazioni contemporanee possano rivedersi.

Peccato per l’epilogo, ridondante nell’intento normalizzante tipico di ogni prodotto odierno, che rivela un’intollerabile dissonanza nel registro, nello stile e nei temi burtoniani, eco appena visibile che ritrova, almeno in un particolare frangente, tutta la sua potenza espressiva: Mercoledí, sola tra i solitari, è Tim Burton. Ma solo quando suona il suo violoncello.


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25, Roma | Scrittrice, giornalista, cinefila. Social media manager per Cinesociety.it dal 2019, da settembre 2020 collaboro con Cinematographe per la stesura di articoli, recensioni, editoriali, interviste e junket internazionali.
Dottoressa Magistrale in Giornalismo, caposervizio nella sezione Revisioni per NPC Magazine, il mio anno ruota attorno a due eventi: la notte degli Oscar e il Festival di Venezia.

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