Le sfumature pulp di un’edonistica New Orleans accompagnano l’atipica storia di Ana Lily Amirpour, promettente regista britannica che porta in concorso a Venezia 78 il suo Mona Lisa And The Blood Moon. Si tratta del terzo lungometraggio della Amirpour, che ha esordito nel 2014 con A Girl Walks Home Alone at Night. Una storia a protagonismo femminile, ambientata in una città crepuscolare e solitaria dell’Iran, paese originario della regista, dove una ragazza in chador nero si muove silente, aggredendo sconosciuti incuranti del fatto che lei sia una vampira. Nel 2016, poi, è la volta di The Bad Batch, che approda alla 73esima edizione del Festival di Venezia, vincendo il Gran Premio della Giuria.
Anche il quel caso, la Amirpour immagina una dimensione fuori dagli schemi socialmente accettati. Un immenso deserto, oltre i confini del Texas, in cui i detenuti vengono marchiati con un numero e abbandonati alla loro sopravvivenza. Ne deriva una cornice apparentemente surreale, ma non lontana da un’estremizzazione politica che la regista, residente negli Stati Uniti da tempo, non può che immaginare contestualizzata in un preciso contesto socio-politico, demonizzandola in chiave distruttiva. E il risultato è sorprendente, con una pellicola spiazzante che si offre al mondo degli emarginati e degli esclusi, affascinanti reietti di una società contraddittoria.
L’indecifrabile fascino di Mona Lisa
Come l’immortale dipinto di Leonardo Da Vinci, anche la protagonista di Mona Lisa And The Blood Moon nasconde un fascino enigmatico. Interpretata dall’attrice sudcoreana Jeon Jong – seo, Mona Lisa Lee è la giovane paziente di un istituto psichiatrico, serrata in una camicia di forza e ridotta a condizioni estreme di sopravvivenza. Tuttavia, un giorno, la sua rassegnazione esistenziale si trasforma in rivalsa, quando nel cielo notturno appare la luna di sangue. La chiamano anche superluna o luna rossa, per identificare quel fenomeno di eclissi lunare per cui il satellite si impregna del colore rosso come effetto del filtro di luce dell’atmosfera terrestre.
Un momento raro e magico, che accompagna Mona Lisa nella fuga dal manicomio, alla scoperta di una New Orleans infiammata da luci caleidoscopiche. Ma è la stessa ragazza ad essere speciale, poiché dotata di un superpotere, quello di controllare la mente altrui. Sarà questo dettaglio peculiare a renderla una creatura fiabesca in una città affollata di stripper e spacciatori, tasselli di una giungla metropolitana che Mona Lisa imparerà a conoscere per la prima volta. Lei che da oltre dieci anni non vede il mondo, rinchiusa in una candida gabbia di silenzio e indifferenza che l’ha identificata come un pericolo sociale.
Mona Lisa and The Blood Moon: l’eredità estetica
La cornice narrativa è impreziosita dall’inconfondibile registro estetico della Amirpour, che incanala nelle sue opere un ventaglio eclettico di ispirazioni. Padrona di un cinema di genere, che l’ha identificata come un successore di Tarantino, la regista si muove tra sonorità elettroniche e luci a neon, rendendo Mona Lisa And The Blood Moon un poliziesco inusuale. La sua fascinazione intrisa di romanticismo pulp, proietta i protagonisti in una danza disincantata, dove la violenza e la crudezza dell’ambiente che li incorpora si veste di un magnetismo ipnotico. Favorita dal ruolo fondamentale affidato all’originale colonna sonora, la Amirpour riesce a incollare lo spettatore allo schermo, con una storia semplice e lineare.
C’è però l’espediente fiabesco e onirico che intriga con una performance di godurioso gusto artistico. Questa si ritrova nello stesso super potere di Mona Lisa, creatura fuori dagli schemi com’era già stata la sua Ragazza senza nome in A Girl Walks Home Alone In The Night. In loro la solitudine non è una fragilità, ma una spinta per conoscere il mondo e conoscersi mentre si trova la propria collocazione. Così, come un’anima aliena, Mona Lisa cerca la sicurezza in una realtà cruda ed egoista, dove ognuno pensa alla propria salvaguardia. L’amore dell’altro, però, declina nelle sue varianti più inaspettate, mostrandosi dove non sembrerebbe poter esistere.
In questo modo la regista costruisce una cornice di personaggi e ambienti che non ha bisogno di essere scandagliata, ma convince lo spettatore in un ritmato appagamento. Non ci sono enigmi da risolvere, ma solo figure inserite nel loro ambiente sociale che accolgono senza domande l’estranea Mona Lisa. Così Kate Hudson nei panni di una stripper e Ed Skrein come pittoresco dj e spacciatore non cercano una risposta negli eventi che li attraversano, ma è il pubblico che può trarre da loro domande su cosa nascondano quei caratteri. La Amirpour, quindi, dice e non dice al suo osservatore, perché, come lei stessa ha dichiarato in un’intervista del 2016: “Io non faccio film per dare risposte, ma li faccio per porre delle domande”.
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