A più di cinque mesi dalla sua presentazione a Venezia 78 per la Settimana Internazionale della Critica, Mondocane approda su Sky On Demand. La pellicola del 2021, diretta da Alessandro Celli e prodotta da Matteo Rovere, porta sullo schermo una Taranto futuribile, fantasma, annientata dagli effetti inquinanti della sua acciaieria. Tra i quartieri dei Tamburi, dove sorge l’Ilva, e Cittadella, si snoda la storia di due amici, figli dell’abbandono in un’Italia del prossimo futuro che vede nel degrado ambientale il suo carnefice.
La calda saturazione colora uno scenario post-apocalittico, tra i relitti di una civiltà abbandonata al suo decadimento. Tra le vie cimiteriali si susseguono bande di giovani randagi, dove spicca il clan delle Formiche, capeggiato da Testacalda (Alessandro Borghi). Così Celli colloca un grande interprete trasformista in una ragnatela di attori emergenti, portavoci di una storia ambiziosa, che non manca di mostrare le sue lacune, ma gioca sulla fascinazione della crudeltà e ragiona sul peso delle scelte umane, come quella dell’uomo con l’ambiente.
La storia dei figli dell’abbandono
Taranto è un fossile sospeso nel tempo da quando l’inquinamento fatale ha costretto l’evacuazione dei suoi abitanti. Il suo volto bifronte si compone di una parte nuova e di una vecchia, quest’ultima abitata da bande di giovanissimi randagi guidati dall’istinto di sopravvivenza. Tuttavia solo le Formiche hanno un capo, Testacalda, a cui risponde Tiradritto (Josafat Vagni), il suo secondo con l’incarico di trovare nuovi adepti. La sua attenzione ricade su Pietro (Dennis Protopapa), a cui è chiesto di dar fuoco a un negozio di animali: Mondocane, che gli regalerà il suo epiteto.
Il ragazzo si fa aiutare dal suo amico fraterno, Christian (Giuliano Soprano), soprannominato Pisciasotto a causa delle sue crisi epilettiche. Tuttavia Testacalda vuole solo Mondocane in squadra e sarà solo il furto in una ricca casa di Taranto Nuova a convincerlo che i due ragazzi funzionano meglio insieme. Da lì inizia l’esperienza di Pietro e Christian tra le Formiche, attraverso fughe in motorino e colpi di pistola fino all’incontro con Sabrina (Ludovica Nasti), orfana della città nuova con il sogno di scappare. L’amicizia tra i tre ragazzi destabilizza l’equilibrio tra Pietro e Christian, da amici a nemici sulla strada di una ricerca identitaria.
Mondocane: una storia fraterna
In un anno e mezzo di sceneggiatura e altrettanto di trattamento nasce Mondocane, il cui titolo rievoca una comune espressione (tanto amata da Bryan de I Griffin) per designare una realtà violenta e ingiusta. Ecco dunque che la metafora animale abbraccia un immaginario disperato dove la competizione diventa strumento di affermazione. Così amicizia e tradimento, affetto e odio avvolgono in maniera inscindibile il rapporto fraterno dei protagonisti, come eredità dei suoi progenitori biblici: Caino e Abele. Tale dinamica, universalmente e umanamente comprensibile, costituisce il cardine emotivo della storia, in cui si inserisce un terzo fattore: una ragazza.
Lo stesso regista ha citato infatti come sua ispirazione cinematografica Y tu mamá también(2001), pellicola di Alfonso Cuarón che, esattamente vent’anni prima di Mondocane, calcava le scene della 58esima edizione del Festival di Venezia. Anche in quel caso l’eterno ritorno del triangolo in un rapporto d’amicizia identifica il leitmotiv di una storia già scritta su strade divergenti. Ospite attualizzante è l’innocenza violata di un mondo governato dai ragazzini, che abbraccia la crescita formativa in una desolazione cyber-punk.
Le nuove generazioni in un domani post-apocalittico
Quell’immaginario prolifico sposa dunque l’età dell’infanzia e dell’adolescenza come strada maestra di un approccio innovativo. Solo nel 2021, La terra dei figli di Claudio Cupellini e la serie TV Anna di Niccolò Ammaniti hanno portato la bandiera tricolore sul terreno del post-apocalittico, con uno sguardo che non può evitare il contatto con la contemporaneità. Tuttavia, Mondocane si allontana dai toni surrealisti e onirici ammanitiani verso un approccio ferocemente realistico.
La sua è una Taranto tangibile, così vicina allo spettatore da poter concretizzarsi nelle sue macerie. Lo dimostrano i luoghi che mantengono la propria identità geografica in una fascinazione che rimane ancorata alla critica condizione di Taranto e al desiderio di una residuale parte degli abitanti che non hanno mai abbandonato la zona evacuata e che sperano di risollevare le sorti della città. Il resto è lasciato all’affascinante evocazione de I guerrieri della notte (1979) che inneggiano la loro personale battaglia urbana.
Lealtà e affermazione in una giostra di dubbi e certezze
Qui si sedimenta un protagonismo corale maschile, guidato da un leader carismatico e folle, di cui conosciamo un frammento di backstory necessario a tratteggiare la sua personale visione del mondo. Come padre dei figli dell’abbandono, Testacalda cresce i giovani del domani alla ricerca del proprio erede. La sua schiera di bambini fronteggia l’ultimo appiglio di resistenza dettato dalla poliziotta Katia (Barbara Ronchi) con una lealtà indotta dal desiderio di accettazione, come dimostra il feroce destino di Bombino, uno dei bimbi sperduti di Taranto.
L’intera struttura narrativa si appoggia a un patto di sospensione dell’incredulità, con alcuni passaggi della storia che lasciano domande sospese. L’effetto di intrigo e fascinazione resta algido su alcuni aspetti, accompagnando la recitazione esordiente dei giovani protagonisti. Mondocane conferma però la sapiente firma di Rovere nel perseguire un taglio inusuale sulla cinematografia italiana. Un esperimento interessante, che non avvolge completamente lo spettatore, ma lo proietta in una dimensione futuribile e pericolosamente realistica.
Seguici su Instagram, Tik Tok, Facebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!