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"Monkey Man" (2024) di Dev Patel.

Monkey Man, Dev Patel e l’esordio che non ci aspettavamo

8 minuti di lettura

Abbiamo visto in anteprima Monkey Man, esordio alla regia di Dev Patel, che uscirà nelle sale il 4 Aprile. Dev Patel regala al pubblico una storia lontana dalla visione occidentale e sposta il fulcro della narrazione nella sua terra d’origine: l’India. Monkey Man è il film d’azione che non ti aspetti, consapevole di dover molto a pellicole del calibro di John Wick (2014) di Chad Stahelski o Kill Bill (2003) di Quentin Tarantino.

Dev Patel si presenta come un regista dotato di una forte visione, che sa intrattenere, che ha molto da raccontare e che ha avuto alle spalle un produttore visionario come Jordan Peele. Nonostante alcune sbavature lasciate all’interno del film, confeziona al pubblico una storia che sicuramente terrà svegli tutti quanti dall’inizio alla fine.

Monkey Man, la danza della scimmia

"Monkey Man" (2024) di Dev Patel.

Monkey Man, come la maggior parte dei film d’azione, ha al centro la tematica della vendetta. Kid, un giovane ragazzo che da piccolo ha visto la madre venire uccisa per mano del capo della polizia della città, inizia a covare un odio che lo porterà a fare di tutto per consumare la sua vendetta: Kid diventerà Monkey Man, ovvero il suo alter ego.

Ma perché proprio questo nome? Monkey Man è il personaggio che Kid impersona nei combattimenti clandestini. La vita di Kid sembra quasi non appartenergli davvero, per quanto sia egli stesso a determinare il proprio destino e la vittoria su avversari e nemici. Il film, forse, vuole dirci che la vita di Kid-Monkey Man era già scritta, proprio come quella che Dev Patel aveva vissuto in The Millionaire (2008) di Danny Boyle. Era destino.

L’alter ego di Kid vuole essere, dunque, un animale non forte o che incute timore, ma vuole rappresentare e mettere in campo l’astuzia e l’agilità. Da sempre la scimmia rappresenta l’animale che più di tutti copia, si prende beffa dell’altro e usa la violenza per proteggere se stesso e i suoi simili. Ecco, Monkey Man incarna appieno tutto ciò: è astuto, impara dai suoi errori, si organizza ed è pronto a ballare di fronte al proprio avversario, mettendo in scena una vera e propria danza della morte, spesso contornata da ambienti chiusi, labirintici, angoscianti.

I luoghi diventano di fatto un personaggio che accompagna il protagonista. Essi sono ricchi di volti e di corpi, che si muovono e che fanno di tutto per sopravvivere. La dinamicità, i colori e l’atmosfera nella quale veniamo immersi fin dai primi istanti del film ci vogliono comunicare solo una cosa: non sappiamo nulla di quell’ambiente. Siamo completamente estranei, e non siamo nella condizione di immaginare e prevedere ciò che accadrà nel corso del viaggio dell’eroe-protagonista.

L’azione che si consuma è diretta e cruda, mai gratuita e banalmente estetica. Tutto ciò che il protagonista attua sul ring sembra averlo imparato dai combattimenti visti nei film sopraccitati e ai quali Dev Patel si è sicuramente ispirato. Ma l’ispirazione è lecita nel momento in cui si prende ciò che si è visto e lo si fa proprio. Quest’operazione sarà gradita allo spettatore, che fino alla fine vedrà una continua evoluzione del protagonista: verrà progressivamente portato dentro di lui e accompagnato a conoscere il suo passato, le sue motivazioni e tutte le sue paure. Insomma, sarà preso per mano per danzare con lui.

Uno stile pop innovativo, ma che guarda al passato

"Monkey Man" (2024) di Dev Patel.

L’estetica che Dev Patel ha voluto mostrare al pubblico nel suo Monkey Man è assolutamente viva, ricca di colori e che cerca di distaccarsi dall’immaginario collettivo che si ha dell’India. Difatti, se non ci venisse chiaramente detto dove si trova il teatro in cui il giovane Kid-Monkey Man consuma la sua vendetta, potremmo dire di essere dentro una città come tante altre, proprio perché Dev Patel rinuncia, saggiamente, alle immagini cartolina e a dare al pubblico ciò che si aspetta. Sceglie piuttosto di giocare sull’imprevedibilità e su una musica pop, diegetica e non, che coinvolge appieno lo spettatore. Tuttavia, c’è un ma.

Laddove elogiamo lo stile energico e ispirato che il giovane regista ha messo in scena, la storia e il messaggio che si vuole mostrare al pubblico vengono sovrastati dalla fisicità dei corpi che imperversano sul grande schermo. La danza della morte e della vendetta che vediamo di fronte a noi ci rende partecipi, quasi fossimo noi il terzo combattente all’interno della lotta, ma ci fanno dimenticare il fulcro della storia e tutto il resto. Inoltre, i personaggi secondari spesso vengono solamente accennati, quando in realtà potevano tranquillamente meritare più introspezione e minutaggio all’interno della pellicola.

Il film ha un’unica visione, che è quella del suo protagonista, interpretato dallo stesso Dev Patel, e non ci mostra una coralità. Gli attori che affiancano il regista nella sua opera prima non restano impressi al pubblico, ma si dimenticano facilmente una volta usciti dalla sala. Complice una sceneggiatura che ha puntato sull’azione, sull’intrattenimento, sulla regia e sui movimenti interessanti della macchina da presa, ma è rimasta ferma per quanto riguarda la caratterizzazione dei suoi personaggi.

In Monkey Man, Dev Patel, oltre ad aver curato la regia e aver dato il volto al protagonista, ha anche ideato la storia e la sceneggiatura. È consapevole di dover molto ai film che lo hanno ispirato e sceglie di citarli nel modo più congeniale al film: omaggiandoli. La pellicola è un’opera molto personale e sentita dal regista, impossibile negarlo. Lo spettatore percepisce il sano gusto dell’attore-regista per il genere del film d’azione e si diverte con lui nel corso del film, dove vediamo lo scontro tra due mondi: quello dei vinti e quello dei prepotenti.

Possiamo perciò affermare che così come Monkey Man riprende l’astuzia dell’animale a cui si ispira, il regista fa lo stesso. Ma ciò non dà fastidio e non nuoce sicuramente lo spettatore. Anzi, potrà gustarsi sullo schermo momenti visionari di un regista che ama il cinema, che ha imparato dai maestri che lo hanno preceduto e che sa quello che vuole comunicare al pubblico e come dirlo.


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