Il 4 dicembre il live action di Mulan è diventato disponibile gratuitamente per tutti gli abbonati Disney+, dopo essere stato lanciato sulla piattaforma al prezzo di 21,99 € il 4 settembre. L’approdo della versione in carne e ossa dell’eroina cinese è stato fin da subito bersagliato di critiche: prima sulle indiscrezioni sulla trama, poi sul costo per il noleggio su una piattaforma a pagamento e sul valore della pellicola.
Ora che il film è disponibile a tutti la domanda di molti è: vale la pena vederlo? La risposta è una sola, ma vogliamo arricchirla di 5 motivi per cui Mulan non è il solito live action piatto dall’utilità discutibile: è peggio.
1. La regia
La Disney ha affidato la regia di Mulan a Niki Caro, fattasi notare per il successo del 2004 La ragazza delle balene e il commovente biopic La signora dello zoo di Varsavia del 2017, in cui dirige una bravissima Jessica Chastain.
La regia di Mulan è completamente spersonalizzata, rendendola una sorta di triste parodia occidentale del Wuxia moderno, genere prevalentemente cinese cui i combattimenti di arti marziali e armi bianche si svolgono con coreografie elaboratissime, spesso sfidando le leggi della fisica. Maestro di questo tipo di film è Zhang Yimou, le cui sequenze vengono citate spesso in Mulan, dimenticando che dietro la spettacolarità delle acrobazie c’è uno studio quasi maniacale di fotografia e montaggio, completamente assenti nel film Disney.
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Il risultato è che i combattimenti sono confusi, privi di energia e, soprattutto, incredibilmente noiosi. Una pecca non trascurabile in un film che si ispira alla leggenda cinese della “donna guerriera” Hua Mulan. Lo scontro tra l’eroina e la strega (si, c’è una strega, ma ci arriveremo) dovrebbe essere uno dei momenti più attesi dallo spettatore, ma nonostante l’ambientazione interessante all’interno di una solfatara, la lotta è un soporifero scambio di battute inframmezzato da piatte scene d’azione e da una conclusione quasi irritante.
2. Mulan la trama
Mulan è ispirato direttamente al classico Disney del 1998, a sua volta liberamente tratto dalla leggenda cinese La ballata di Hua Mulan, in cui si narra la storia di una giovane donna che si sostituisce al padre infermo durante una guerra tra la Cina e gli invasori unni.
Il lungometraggio animato del 1998 è stato acclamato da critica e pubblico grazie al ritmo incalzante e alla giusta dose di emozione e divertimento, di cui la casa di Topolino era maestra negli anni ’90, chiamati non a caso “Rinascimento Disney”.
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La sceneggiatura del live action, adattata da Elizabeth Martin, Lauren Hynek, Rick Jaffa e Amanda Silver, lascia indietro tutto il materiale che aveva reso Mulan un simbolo per le generazioni cresciute con lei.
Quando venne annunciata l’eliminazione dei personaggi di Mushu, Shang e Shan Yu il pubblico storse il naso, ma rimase tutto sommato fiducioso del prodotto finale. Rimuovere la spalla comica della protagonista avrebbe potuto infatti significare una deriva più seria e drammatica alle avventure di Mulan. Inoltre, eliminare la storia d’amore avrebbe potuto regalarci un finale differente, mentre l’estromissione del villain originale avrebbe potuto dare spazio a uno sfidante nuovo.
Tutte queste speranze sono state disattese all’uscita del film. Il risultato finale è una trama priva di significato, banalizzata in tutti i suoi passaggi più emotivi e impoverita dei suoi messaggi. Mulan non è più la ragazza determinata che si allena duramente fino a diventare una guerriera al pari dei suoi compagni, ma si trasforma in una sorta di supereroina grazie al “Qi”, che in lei scorre potente, un po’ come la Forza nei Jedi. Gli sforzi di Mulan, l’emozionante addestramento, l’astuzia e il coraggio in battaglia vengono cancellati con un calcio volante.
Il villain della storia è Bori Khan, capo delle tribù Rouran. Un personaggio privo di carisma, creato solo per fungere da amante e carceriere della strega mutaforma Xianniang, interpretata dall’attrice cinese Gong Li. La strega dovrebbe essere la controparte negativa della protagonista, ma risulta un’altra macchietta priva di spessore, utilizzata esclusivamente per scene ad alto impatto visivo e come “grillo parlante” di Mulan, creandole crisi di coscienza utili solo ad allungare la trama e innervosire lo spettatore.
3. I dialoghi
Una delle abissali differenze qualitative tra il film e il cartone animato del 1998 è la qualità (e la quantità) dei dialoghi. La scrittura è banale e didascalica. I personaggi dicono esattamente quello che pensano, quello che vogliono e quello che stanno per fare, eliminando il pathos da qualunque scena.
Uno dei momenti più emozionanti del film d’animazione resta la scena in cui Mulan decide di lasciare la sua famiglia, si taglia i capelli e ruba l’armatura del padre per prendere il suo posto al campo di addestramento. Ma tale sequenza emozionava perchè totalmente priva di dialoghi, giocata esclusivamente sull’intensità di musica e immagini.
Nel live action la scena è molto breve, e l’insistente voce fuori campo del padre di Mulan peggiora ulteriormente la situazione. Le sue lunghe spiegazioni di contesto bruciano qualsiasi emotività, rovinando i rari momenti di silenzio della pellicola.
Il risultato è un film infantile, farcito di monologhi che riescono a rendere l’ora e quaranta del film un’agonia senza fine.
4. I personaggi secondari nel live action
Quando Disney realizza il live action di un classico dell’animazione si muove con due differenti proposte: una è quella di ricreare passo per passo il film originale con attori in carne e ossa e CGI, come è accaduto per Il Re Leone. L’altra è quella di dare al film una chiave di lettura nuova, ispirandosi con più forza al racconto originale. Quest’ultima è stata la strada percorsa con Mulan, lasciando da parte le soluzioni più fiabesche e strutturandosi come un vero film d’azione ispirato alla leggenda originale.
Il problema si pone quando un film live action risulta più banale e piatto della sua controparte animata, mostrando caratterizzazioni bidimensionali e dimenticabili contro i personaggi dotati di carisma e immediata simpatia del cartone animato. Non solo i protagonisti, ma anche e soprattutto i personaggi secondari, metro di misura per giudicare il valore di una sceneggiatura curata.
Chiunque abbia visto il Mulan del 1998 ricorda Mushu, Yao, Ling e Chien-Po, amici e spalle della protagonista, ma anche personaggi come nonna Fa e la mezzana sono rimasti indelebili nel corso degli anni, ispirando meme e cosplay a distanza di 22 anni.
Si può dire lo stesso dei personaggi del live action del 2020? Assolutamente no. La mezzana è un personaggio inutile ai fini della trama, inserito solo per necessità di aderenza al cartone animato. Sono stati proposti alcuni soldati che interagiscono con Mulan e si fanno riconoscere dal pubblico, ma nessuno resta impresso nella memoria per più di 5 minuti. Tra loro, oltre alla poco riuscita versione umana del grillo fortunato, c’è anche un soldato che sembra provare qualcosa per Mulan, Chen Hongui.
Il comportamento della ragazza nei confronti del compagno d’arme è uno degli aspetti più sbagliati del suo carattere: il giovane cerca l’amicizia del soldato, rifiutata quasi con disprezzo da Mulan. Nonostante ciò le resta vicino ed è il primo a seguirla quando torna al campo come donna e l’ultimo a salutarla al termine del film, lasciando intendere un interesse romantico. La protagonista gli risponde freddamente, concludendo con una stretta di mano il rapporto tra i due, dimostrando una formalità che non si riserva nemmeno al commercialista.
5. Mulan e il politicamente corretto
Il film Mulan del 2020 può dirsi l’esperimento riuscito di un film che sulla carta non può essere attaccato su questioni razziali o di genere. Tutti i protagonisti sono cinesi, la millenaria cultura cinese è banalizzata quel tanto che basta per darla in pasto al pubblico occidentale e la protagonista è mostrata come una donna tosta che non rinuncia a niente, né alla battaglia né alla sua femminilità.
Questo vale solo sulla carta, infatti. Scavando più a fondo, la facciata perbenista del film si incrina e crolla sotto il peso dell’ipocrisia. Analizziamo ogni punto con ordine. I protagonisti sono tutti cinesi, è vero, e il film è stato girato in importanti località cinesi. La Cina, si tende troppo spesso a dimenticarlo, è però un Paese dittatoriale, dove i diritti umani restano un concetto nebuloso.
Non ci riferiamo all’appoggio della protagonista, l’attrice Liu Yifei, alla repressione delle manifestazioni a Hong Kong del 2019. Poteva trattarsi di fare buon viso a cattivo gioco in un Paese dove le opinioni sono a senso unico. Parliamo della presenza all’interno della produzione di sei agenzie governative dello Xinjiang, regione cinese in cui sono presenti campi di concentramento riservati alla popolazione di etnia iugura, di religione islamica. Niente male!
In secondo luogo, citiamo la banalizzazione di un concetto filosofico molto importante per il taoismo e il buddhismo come è il Qi, essenza vitale che dona forza ed energia agli elementi dell’universo. La concentrazione del Qi è una pratica meditativa complessa praticata dai monaci buddhisti e dai discepoli del Qi Gong, assimilabile al Kung Fu Shaolin. I maestri Shaolin possono dare dimostrazione di estrema forza o resistenza grazie alla pratica del Qi Gong, rompendo mattoni o restando in bilico su lance accuminate. Questo ha portato la Disney a ridurlo al rango di superpotere, che permette di fare salti mortali e camminare sui muri, ottenuto in modo innato, senza studio o esercizio.
Ultima, ma forse più importante, è la questione femminista. La Mulan del lungometraggio animato è una ragazza umile, che grazie alla sua forza di volontà si fa strada nel mondo prettamente maschile dell’esercito, salvando il suo Paese e guadagnando ammirazione e rispetto. Durante il suo viaggio, oltre a degli amici, troverà anche l’amore del capitano Shang, a cui aveva eroicamente salvato la vita.
Nel live action, Mulan è una ragazza scontrosa e piena di dubbi sulla sua personalità, tanto da smascherarsi da sola, convinta dalla strega. La sua femminilità non viene mai messa in discussione: il tentativo di integrarsi coi soldati è inesistente e il simbolico taglio dei capelli assente. Il travestimento non provoca in lei nessun cambiamento, nessuna crescita emotiva o sociale. I suoi poteri magici, inoltre, rendono superfluo qualunque addestramento, che lei finge di soffrire nascondendo le sue abilità, senza alcun motivo logico.
L’assoluta mancanza di carattere nella Mulan del live action è infine coronata dall’ultima scena del film, in cui le viene chiesto di diventare capo della guardia personale dell’imperatore. Al termine della domanda scattano i titoli di coda. Gli sceneggiatori non le permettono di rispondere, eludendo sia le critiche di chi la voleva guerrafondaia, sia di chi se la immaginava tornare alla sua vita quotidiana, vestita da donna.
Disney è riuscita con un film del 2020 a risultare più perbenista di un film di 22 anni prima, con un live action tra i più costosi mai realizzati. Il risultato è un film infantile e privo di mordente, schiacciato dal peso di un cartone animato costato meno della metà e realizzato con tecniche artigianali e alcune animazioni riciclate da film precedenti.
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