“A love story in the city of dreams”, così David Lynch riassume e presenta Mulholland Drive nel 2001, con un’eleganza e un ermetismo tipici del suo stile artistico.
Un film che non doveva essere un film. Nell’idea di Lynch un pilot per una nuova serie TV sulla scia del successo di Twin Peaks, bocciato poi dai produttori e trasformato dal regista visionario in un lungometraggio capolavoro, Mulholland Drive viene scelto come il miglior film degli anni 2000 dalla BBC e ancora oggi, a vent’anni di distanza, non smette di affascinare, ammaliare e stupire.
Si tratta di un neo noir, di un thriller psicologico surreale, di un film drammatico, di un horror, di una storia d’amore…e chi più ne ha più ne metta. In realtà Mulholland Drive è tutto questo e molto di più.
Ha ragione David Lynch a presentare Mulholland Drive con quella tagline, perché soprattutto parla di amore: di amore tra due donne e di amore per il cinema. Il titolo riprende il nome di un’importante strada di Los Angeles, la città dei sogni in cui si creano film e illusioni, la città di Hollywood.
Non a caso uno dei film preferiti del regista è Viale del Tramonto (Billy Wilder, 1950), il cui titolo originale è Sunset Boulevard, il nome di un’altra via importante di Hollywood.
E se ci fossero ancora dubbi, va notato come nei primi minuti di Mulholland Drive campeggi in primo piano l’inquadratura di un cartello stradale con la scritta “Sunset Blv”, mentre una delle protagoniste percorre, letteralmente e simbolicamente, la via delle stelle cinematografiche. In Mulholland Drive un personaggio dirà che preferirebbe essere una grande attrice piuttosto che una stella del cinema, ma che a volte le due cose coincidono, e lo aggiungerà speranzosa.
Mulholland Drive è un’opera criptica, enigmatica, che pone molti quesiti e regala poche risposte, soprattutto durante la prima visione; in realtà si tratta di una storia coerente e sensata, pur se presentata con uno stile ellittico.
Il regista (e sceneggiatore) non si è mai voluto sbilanciare in spiegazioni e interpretazioni, lasciando agli spettatori la possibilità di reagire a modo loro. È ormai iconica e caratteristica la sua frase: “I don’t know why people expect art to make sense. They accept the fact that life doesn’t make sense” (non so perché la gente si aspetti che l’arte abbia senso. Accettano il fatto che la vita non ne abbia).
Unica concessione agli spettatori più logici e rigorosi sono i famosi “dieci indizi per svelare il mistero”, inseriti nelle prime edizioni home video che, ovviamente, risultano essere più vaghi ed enigmatici delle immagini stesse.
Mulholland Drive: trama e interpretazione (con spoiler)
L’interpretazione più comune è che tutta la prima parte di Mulholland Drive (circa quattro quinti) sia in realtà un sogno consolatorio del personaggio interpretato da Naomi Watts (Betty nel sogno/Diane nella realtà), mentre l’ultimo quinto di Mulholland Drive ci mostri come sono accaduti realmente gli eventi, fino al tragico finale.
Dal punto di vista razionale ha più senso quindi cercare di comprendere la narrazione partendo dalla fine.
Realtà
Diane Selwyn, interpretata dalla Watts, è un’attrice che cerca di avere successo a Hollywood e si innamora di Camilla Rhodes, interpretata da Laura Elena Harring.
Le due donne instaurano una relazione che finirà in quanto Camilla si innamorerà del regista Adam Kesher.
A peggiorare la situazione si aggiunge il successo artistico di quest’ultima (meritato o dovuto a raccomandazione?) e la sua decisione di sposare il regista. Diane sprofonda così in una grave depressione che la porterà ad assoldare un killer per uccidere Camilla e infine, oppressa dai sensi di colpa, a commettere suicidio.
Sogno
Rita, interpretata da Laura Elena Harring, è una donna molto fragile, in pericolo, che si ritrova senza ricordi e ha bisogno di aiuto.
Betty Elms, interpretata da Naomi Watts, è un’attrice emergente molto intraprendente e ambiziosa che comincia a prendersi cura di Rita e la aiuta nella condizione di pericolo e amnesia. Si consoliderà un legame molto forte tra le due, un rapporto di amore romantico e idilliaco, felice e profondo.
Ricordiamo che ciò che avviene nel sogno è una rivisitazione ottimistica e confortante degli eventi da parte di Diane/Betty: siamo nel suo subconscio, e questo fa il suo lavoro, ovvero cerca di proteggerla.
In fondo lei si è pentita di aver fatto uccidere la sua amata nella realtà, così sogna che il killer sia molto impacciato, impreciso, tifa per il suo fallimento.
Nel sogno Rita/Camilla ha bisogno di Diane/Betty, è quest’ultima la figura forte, quella che tiene le redini della situazione, mentre nella realtà lei si è trovata abbandonata e in balìa degli eventi.
Anche il personaggio di Adam Kesher viene riletto in una nuova ottica: se nella realtà si tratta di un uomo di successo, che riesce a conquistare la bella attrice protagonista e addirittura nel divorzio riesce, miracolosamente, ad ottenere la piscina, nel sogno di Diane/Betty si troverà ad affrontare molte problematiche relative alla sua professione (scelte artistiche imposte dai piani alti, dall’organizzazione che gestisce mafiosamente il tutto) e al suo matrimonio: viene cacciato malamente di casa dall’amante della moglie.
Il vero punto di non ritorno, la scena cardine di questo lungometraggio, riguarda il club mostrato in Mulholland Drive Silencio, una sorta di luogo magico e metafisico che ricorda non poco la loggia nera di Twin Peaks.
Qui tutto è registrato, tutto è in playback, “No hay banda” (non c’è orchestra) dice più volte il presentatore (e anche Rita in una specie di sogno nel sogno, come in trance).
Come mai le due protagoniste sono così scosse emotivamente in questo luogo? Come mai piangono e Diane/Betty si contorce convulsamente quando tutto il teatro trema e dei bagliori intermittenti (ormai una cifra stilistica di Lynch) lampeggiano da sotto le poltrone?
Questo luogo metafisico sta parlando a lei direttamente, le sta facendo capire come tutto ciò che ha vissuto fino a quel momento sia in realtà “registrato”, “finto”, “no hay banda”: svegliati, è tutto un sogno!
Lei si rende conto di ciò e questo è il motivo della sua tristezza, della sua reazione: capisce che tutto sta per finire e sta per tornare alla realtà drammatica che ci verrà mostrata di lì a poco.
Da notare un’altra interessante catena di illusioni: a un certo punto ci viene mostrato il provino di una delle attrici per il film “The Silvia north story”, il film di Adam Kesher.
Dapprima vediamo una donna con un look anni 50 che canta, poi capiamo che è in radio ed è tutto in playback (“no hay banda”), poi intuiamo che si tratta di una radio costruita su un set cinematografico, infine capiremo che quel film si sta girando in un sogno.
In Mulholland Drive David Lynch parla il linguaggio dei sogni
L’analista di film Jennifer Hudson in merito allo stile registico di David Lynch dice che “Il linguaggio del non spiegato di Lynch, come per tutti i surrealisti, è il fluido linguaggio dei sogni” e ciò è un dato evidente nel meraviglioso Mulholland Drive.
Non ci viene solo descritto un sogno, lo viviamo insieme alle protagoniste, ne facciamo esperienza, con tutte le incomprensioni e anomalie logistiche tipiche del mondo onirico, ma anche con rimandi a immagini ed esperienze vissute nella realtà.
Ecco perché vengono riproposte sotto un’ottica diversa le stesse situazioni, con gli stessi personaggi, che sono una sorta di re-interpretazioni o doppelgänger (per tornare nei territori del precedente Twin Peaks).
Per questo motivo Mulholland Drive è pregno di simboli, visioni e presagi: la misteriosa e funerea figura dell’homeless dietro alla tavola calda o i due signori anziani incontrati da Diane/Betty nel sogno che poi la porteranno al suicidio, un po’ come fossero la rappresentazione dei suoi sensi di colpa o della delusione data alle figure genitoriali che credevano in lei… non ci è dato sapere e, francamente, non è poi così importante.
“Cosa apre la chiave blu?” chiede Diane/Betty al sicario e lui, invece di rispondere, ride.
Ci sembra di vederlo David Lynch, che ride così quando gli vengono fatte domande specifiche sui significati dei suoi film.
Perfezione formale
Dal punto di vista tecnico Mulholland Drive è un piacere per gli occhi e le orecchie. Fotografia pulita e funzionale sempre elegante, location hollywoodiane e notturne sempre impeccabili, montaggio meraviglioso, più lineare all’inizio e più ellittico nell’ultima parte.
Le musiche sono tra le più belle scritte da Angelo Badalamenti (anche attore in una breve comparsa come mafioso), malinconiche, profonde, drammatiche, oscure, ma anche romantiche, uniscono sintetizzatori e vera orchestra ed è incredibile il lavoro di sound design ad opera del regista stesso, il quale si è occupato anche della lavorazione di alcuni brani ottenuti manipolando musiche appositamente consegnate dal compositore per questo scopo.
In Mulholland Drive sono presenti tutti i feticci stilistici di David Lynch: il fumo, il caffè, le tende rosse, le dissolvenze incrociate e le sovraimpressioni, il mito dell’America degli anni 50; manca solo il fuoco, curiosamente.
Rivisto dopo 20 anni Mulholland Drive mette ancora i brividi per la sua intensità, scuote gli animi degli spettatori e lascia quella voglia di rivederlo tipica delle grandi opere. Non solo per avere una spiegazione a tutti gli enigmi (questo è quasi irrilevante). Ma perché la storia narrata è profonda e realizzata con maestria e, anche se vorremmo comprendere di più ogni dettaglio della messa in scena, in realtà il bisogno che sentiamo è solo quello di rivivere ancora una volta un sogno, un sogno non nostro ma estremamente affascinante.
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