Giugno è il mese dei colori e della libertà di amarsi e di amare. A celebrare il mese del Pride dedicato ai diritti della comunità LGBTQ+, dal 13 al 15 giugno in alcune sale selezionate il nuovo docu-film di Nicolò Bassetti Nel mio nome i cui produttori esecutivi sono l’attore e attivista Elliot Page (star di Juno e Inception) e Gaia Morrione.
Dopo il progetto Sacro GRA Bassetti realizza per Nuovi Paesaggi Urbani e per Art of Panic con il sostegno dalla Regione Emilia Romagna, un racconto a cui è legato emotivamente e personalmente per offrire uno sguardo sincero e pacato sulla percezione identitaria di quattro giovani ragazzi trans nel loro passaggio verso l’identità a cui sentono di far parte.
Il diritto all’identità
Nel mio nome è una storia che racconta un lucido e deciso viaggio di formazione di quattro amici durante il loro passaggio nella transizione dal genere biologico femminile a quello maschile. Un reportage calibrato e mai struggente su cui si snodano e si rilegano le vite di questi giovani ragazzi in transizione verso l’identità che meritano, quella che hanno scelto.
Nel mio nome con carezza gentile ma disillusa prende per mano il pubblico in sala per introdurlo nelle vite di questi singoli che hanno scelto di volersi bene lottando per ciò che già sono ma che le lunghe procedure legali, mediche e psichiatriche rendono difficili e con tempistiche dilatate.
“Ogni pelo in più sul mio viso è una gioia immensa” dice uno dei protagonisti, una frase che racchiude le piccole e ardue conquiste di qualcuno che desidera l’ottenimento di un corpo diverso da quello in cui è cresciuto e che non riesce a riconoscere come proprio. Per anni quelle che erano giovani donne hanno immaginato astrattamente una figura diversa dal genere a loro associato. Togliere e aggiungere, demolire e costruire, i quattro ragazzi espongono coerentemente le intimità di un corpo che per poter rientrare in una delle due categorie richiede lavoro e sacrificio.
Un lavoro reso ancora più arduo da una società che pretende “motivazioni solide” per poter concretizzare un’identità di genere diversa da quella di provenienza. Ad iniziare dalle perizie psichiatriche che siano in grado di motivare e validare efficacemente la scelta della transizione di genere, le difficoltà mediche e fisiche per rispondere a tale esigenza e in fine le difficoltà legali e sociali per potersi assicurare l’attribuzione del pronome di riferimento.
Nel mio nome non è il racconto di un coming out intriso del timore della rivelazione che spesso si trova a sperimentare chi sceglie di segnare una via serpentina rispetto a quella binaria prevista dal genere, prevista dalla società. Il film di Bassetti ripercorre soltanto fugacemente l’esperienza del coming out senza soffermarsi troppo sul trauma dell’accettazione concentrando invece il racconto sulle considerazioni emotive dei giovani uomini.
Nel mio nome: Io e Te un dialogo sincero
Il film è un racconto pacato e chiaro, senza sussurri o timori, senza grida e lacrime. Un dialogo sincero, spesso ironico e mai eccessivo. Il lucido racconto di quattro ragazzi che hanno scelto di raccontare il loro percorso in diverse fasi di queste vite tanto simili eppure così diverse.
I protagonisti infatti iniziano il passaggio al genere di destinazione in momenti differenti della loro vita e ogni nuovo giorno presenta delle nuove sfide da superare. Coraggio, ironia e determinazione permettono ai quattro ragazzi di imparare a convivere con una società strettamente legata ad una concezione binaria dell’identità.
La spinta per sopravvivere ad un mondo rigidamente fortificato su due piani concettuali ha origine dal forte bisogno di desiderare una vita appagante. Pazienza, risolutezza e coraggio permettono a Raffi di 23 anni, Andrea 25, Leo 30 e Nico 33 di affrontare tutte le pratiche legate al cambiamento d’identità.
Questi ragazzi provenienti da diverse parti d’Italia si raccontano ad una camera amica, mai dubbiosa ed eccedente perché ciascuno di loro ha il totale controllo della propria storia senza costrizioni, senza bisogno di arricchire un racconto già nobile per il contenuto stesso.
Il film si articola infatti sulle testimonianze esperienziali raccontandone tutti gli aspetti che collidono in questo lungo e lento processo di passaggio, a partire da quelli prettamente medici, legali e psicologici di ciascuno di loro.
Le fasce compressive e le iniezioni di testosterone permettono ai quattro ragazzi di gestire un corpo in cui non si riconoscono perché non a tutti è dato il privilegio di riconoscersi nel corpo con cui si nasce. Ciò che i protagonisti tendono a precisare in più occasioni è la difficoltà di far comprendere agli interlocutori che all”esigenza di adattare il proprio corpo alle esigenze interiori non si piega necessariamente anche la volontà di incarnare la finzione sociale dell’essere uomo o donna.
Riempire il mondo di narrazioni non binarie
Abbiamo bisogno di “riempire il mondo di narrazioni nostre” dice Leo in uno dei suoi podcast, ed è esattamente questo l’innesco vincente di tutto il progetto di Bassetti. Sì certo, in forma filmica, ma una storia raccontata ed esperita da chi la vive direttamente è il dono più sincero che un’opera audiovisiva possa regalare.
Una narrazione povera di pretese che chiede di essere ascoltata, e poi volendo, di essere capita perché questa volta a condurre il racconto è la parte marginalizzata, quella che è sempre stata raccontata e non si è mai raccontata. L’apparato mediale a stento, e solo in tempi recenti, riesce a sdoganarsi da narrazioni compatte che impediscono alla voce dissonante di poter dire la propria.
Nel mio nome è in fondo anche il film di un uomo, un padre, che ha scelto di portare alla luce una storia personale senza oscurarla con la soggettività intima dell’”uomo padre”. Il Bassetti padre e il Bassetti regista seguono, ascoltano e non invadono mai queste quattro storie di amor proprio.
Per quanto si possa apprezzare il coraggio di un racconto così disilluso e realistico, non si può però considerare un’impostazione documentaristica forse eccessivamente frammentata finendo per slegare buona parte delle concatenazioni emotive che tali scene meriterebbero.
A sostegno delle scene delle rivelazioni più dolorose per i protagonisti, Bassetti offre un supporto visivo slegato dal piano visivo di tutto il film. La calma profetica di questi racconti viene sovrastata da suoni acuti che accompagnano collage di immagini fuori fuoco di un passato segnato dai traumi dell’accettazione della “disforia”.
Disobbedire alle regole di genere
La dolcezza de Nel mio nome è tutta qui, in questa decenza raccolta ed emotiva che suggella un patto con la straordinaria bellezza dell’ordinario (per molti ancora straordinario e altero). Bassetti silenzioso e discreto testimone non cede mai alle lusinghe del sensazionalistico proprio per fornire allo spettatore una storia placida e mai fuori dal comune perché di fatto non lo è. L’eccezionalità è sublimata dalla poesia di un quotidiano fatto di sfide e tante piccole conquiste, che nonostante si facciano attendere, quando arrivano regalano ai protagonisti grandi soddisfazioni.
Il regalo più prezioso è dunque quello di Nicolò Sproccati, Leonardo Arpino, Andrea Ragno e Raffaele Baldo i quali scelgono di rendere partecipe lo spettatore di una narrazione personale in grado di restituirci uno scorcio inedito e suggestivo sulla realtà di un passaggio tanto intenso come quello verso il cambiamento dell’identità di genere.
Nel mio nome con il suo linguaggio semplice si dislega dalle narrazioni mainstream per non cadere nel topoi disumanizzante di tutto ciò che fuoriesce dal binario. Perché in fondo, proprio come dice uno dei protagonisti “e se le persone trans non fossero persone che cambiano sesso, ma solo persone che si sono scelte un sesso?” Abbiamo bisogno di questo, la narrazione della transizione di genere necessita di una riformulazione per impedire l’accanimento alla necessità di aggrapparsi disperatamente ad uno dei due binari.
“Bisogna coltivare con dedizione la disobbedienza a tutte le regole di genere“
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