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niente di nuovo sul fronte occidentale

Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale, il testimone di un passato mai concluso

Un racconto sulla Grande Guerra per affrontare le dinamiche del presente

8 minuti di lettura

Del capolavoro letterario Im Westen nichts Neues (All’Ovest niente di nuovo) di Erich Maria Remarque si sono fatte ormai tre trasposizioni. La prima, del 1930, è l’altrettanto capolavoro di Lewis Milestone, uno dei primi e sospirati tentativi di portare la Grande Guerra al cinema. La seconda è una discreta, ma dimenticata, pellicola per la Tv del 1979 a firma Delbert Mann, tra l’altro con la partecipazione di Richard Thomas, Ernest Borgnine e Ian Holm. La terza e (finora) ultima trasposizione è il film di Netflix uscito alla fine di ottobre del 2022: Niente di nuovo sul fronte occidentale, a opera del regista tedesco Edward Berger e ora candidato a ben 9 statuette agli Oscar.

Una storia che fa scalpore

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La storia narrata da Remarque fece talmente tanto scalpore che oggi non si può dire di non riconoscerne gli archetipi essenziali in altre opere (Orizzonti di gloria, Uomini contro, poi recentemente Dunkirk e Salvate il soldato Ryan). È il 1917, l’anno di guerra più duro dall’inizio del conflitto, il giovane Paul Bäumer (Felix Kammerer) e i suoi amici decidono di arruolarsi nell’esercito e vengono immediatamente spediti nelle trincee in Francia.

Da quattro anni ormai quel fronte, come tutti quelli della Grande Guerra, si erano bloccati su confini di trincee che si spostavano al massimo di centinaia di metri. Gli eserciti subivano un continuo ricambio di divisioni che poco a poco venivano consumate e decimate. I ragazzi partono entusiasti, energici, cantano cori sulla gioventù e sul bello della vita, i generali gli promettono gloria e fama: “entro due settimana marceremo su Parigi” si sentono dire. Non basta però che un giorno di guerra per far capire a Paul che in realtà la guerra da trincea è tutt’altra cosa.

Niente di nuovo sul fronte occidentale, un blockbuster umile

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Essenzialmente due cose separano i primi tentativi del Ventesimo secolo con il film di Berger: innanzitutto i diritti del libro sono finalmente ritornati in madrepatria tedesca, dopo che gli Stati Uniti, anche per una questione di maggiori fondi a disposizioni, si erano “fregati” l’iniziativa. In secondo luogo, le conseguenze che sono ripercorse su questa produzione. Niente di nuovo sul fronte occidentale ha avuto i tempi giusti e terreno fertile per proliferare in quella fanghiglia dibattutissima in Europa che è il tema della guerra, oggigiorno riconsiderata sotto un’ottica ancora più spaventosa visti gli ultimi eventi attuali in Ucraina.

In realtà, qualche anno fa ci aveva pensato anche Sam Mendes, con 1917, nel far riaffiorare la memoria sulla guerra europea; anche in quel caso si era trattato di un evento epocale, sponsorizzato a spada tratta come il film sulla Prima Guerra Mondiale che finalmente, dopo cento anni, racconta il dramma di un’intera generazione.

Niente di nuovo sul fronte occidentale ha però il pregio di non avere tutta questa presunzione, e Berger confeziona così un blockbuster dall’aspetto umile nonostante i 20 milioni di dollari di budget divisi tra Germania, Regno Unito e Stati Uniti; una collaborazione tripartita tra diverse case di produzione: oltre Netflix, il film è stato infatti prodotto dall’Amusement Park Films la Rocket Science e la Sliding Down Rainbows Entertainment.

Il film di guerra come punto saldo del pacifismo

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Tuttavia, il film esce in sordina. Sugli schermi italiani viene riprodotto poche volte, e la distribuzione al cinema, a cui solitamente Netflix dedica per i suoi film maggiori, non prende piede. Ad alimentare, però, il dibattito sul film sono nuovamente le accuse di banalità narrativa contro un’ottima messa in scena (stessa questione sollevata dai detrattori di 1917 e Avatar 2). Ciò permette al nuovo e fresco capitolo tedesco di Niente di nuovo sul fronte occidentale di rimanere quanto meno sospeso nell’opinione pubblica fino ad arrivare al momento in cui viene scelto dall’Academy come film rivelazione dell’anno.

Complice quindi una distribuzione travagliata, sembra proprio che il film di Berger non voglia attecchire per niente tra il pubblico. Eppure, i temi ci sono tutti: guerra, sfruttamento di intere popolazioni al servizio di una manica di militari incompetenti (o letteralmente guerrafondai), degradazione del soldato a carne da macello, odio tra popoli fratelli. Niente di nuovo sul fronte occidentale concorre nell’immaginario collettivo come un punto saldo del pacifismo; rispetto a tentativi a malapena abbozzati, come 1917, il film è in grado di promuovere un autentico messaggio di pace.

Dipinge le situazioni di guerra con un occhio al dettaglio storico preferendo, ovviamente, romanzare sui singoli eventi (ha un aspetto mitologico la battaglia con carrarmati e lanciafiamme francesi), il tutto dandosi un obiettivo concreto: rappresentare accuratamente in modo evocativo la Grande Guerra, un evento che ancora a distanza di centocinque anni rimane un mistero nella nostra coscienza, quasi come se fosse un trauma collettivo mai concluso, un dramma generazionale che permarrà per sempre sul suolo europeo.

Niente di nuovo sul fronte occidentale, cosa ci riserverà il futuro?

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In Niente di nuovo sul fronte occidentale questa testimonianza viene narrata nella sua crudezza più efferata, e come un cuneo si posiziona a metà tra due epoche fondanti del nostro tempo. Il soldato nel ventesimo secolo si è trasformato in una merce di scambio, prima c’era il cavallo e dopo la macchina, la guerra dell’Ottocento contro la guerra dei partiti di massa. La Prima Guerra Mondiale è così un evento chiave non solo per la nostra società ma anche per la nostra cultura. Da lì il cinema, infatti, cambiò, e nonostante il film di Berger non lo racconti esplicitamente, è in grado comunque di evocare questo cambiamento epocale: né è un diretto discendente e un narratore efficace.

Niente di nuovo sul fronte occidentale ha, insomma, molto più da dire di quello che mostra in superficie: è il racconto del passato che spiega il presente, mostrando, purtroppo, un probabile e spaventoso futuro.


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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