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Non mi uccidere

Non mi uccidere: ricetta gothic-horror in salsa pop di Andrea De Sica

Ottima fascinazione estetica ma che non arriva al cuore

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13 minuti di lettura

Dopo il brillante esordio con il film I Figli Della Notte (2017), Andrea De Sica torna sulla cupezza emotiva della crescita in un teen dalle tinte gothic-horror, Non Mi Uccidere. Un ritratto di amore, formazione e famelica sete di sangue disponibile dal 21 aprile su Apple TV, Sky Primafila, Amazon Prime Video Store e Youtube.

Ma, prima degli schermi digitali, la storia nasce tra le pagine dell’omonimo romanzo di Chiara Palazzolo, incipit del 2005 di una trilogia che innesta l’incanto horror nei teenager. E il film ne offre libera trasposizione, in una in una cornice macabra e fascinosa, dove trovano spazio due giovani protagonisti.

Da un lato Mirta, interpretata dalla musa del mondo pop, Alice Pagani (Baby) e dall’altro Robin, vestito dall’ombroso Rocco Fasano, portavoce della lacrimuccia romantica in Skam Italia 2. Così la psichedelia disco-pop della title track di Chadia Rodriguez guida lo spettatore in una storia chiaroscurale.

Tutto è perfettamente incorniciato in una raffinata estetica narrativa, ma manca qualcosa che trascini emotivamente l’anima verso un pieno coinvolgimento. La perversione per il macabro e il feticismo di una violenza ferale si nutrono dunque di una pellicola che dura troppo poco per raggiungere la sua completezza, ma che forse ci affascina.

Non mi uccidere: Beneandanti vs. Sopramorti

Non mi uccidere

I Beneandanti ti augurano di beneandare”.

Due giovani dimorano senza vita in loculi cimiteriali. Il loro amore tossico, innaffiato dall’ebrezza dell’eroina, li ha condotti a una morte precoce, ma non eterna. Mirta si risveglia così dall’oltretomba senza il suo Robin ma con una nuova identità. Lei fa parte dei Sopramorti i giovani risvegliatosi dalla tomba dopo una morte violenta. Così Mirta, alias Luna, è ora pervasa da una strana fame di carne umana e legata a una mutazione cinerea della sua pelle.

Deve nutrirsi per sopravvivere, e nel peggior modo possibile, affondando i denti nelle sue vittime quando sono ancora vive. Come un vampiro neonato, Mirta non può controllarsi ed è un pericolo per i sorveglianti del mondo umano, o presunti tali, chiamati Beneandanti.

Dai tempi della caccia alle streghe, questi guardiani dell’immortalità combattono una natura malefica ma, in un duello manicheo, loro sono i cattivi. Sembrano agire per puro gusto della perversione, imbottendo i Sopramorti di proiettili ed elettrizzandoli con un taser, pur con la consapevolezza che questi non moriranno. L’unico modo per ucciderli, infatti, è abbandonarli a una lenta agonia in isolamento, così che il loro corpo, naturalmente, si decomponga. In loro dimora quindi il piacere seviziato della tortura, dove il rogo infiammato si sostituisce a un corpo martoriato, immerso nel suo nero sangue necrotizzato. Ed è qui che la fascinazione per l’horror trova la sua chiave, nella stimolazione a rigetto dello sguardo. Non si dimentica un’unghia staccata, come nelle Colonie tossiche della bellissima serie The Handmaid’s Tale.  

Tra Twilight & Romeo e Giulietta

Non mi uccidere

Occhi, guardate per l’ultima volta! Braccia, stringetela per l’ultima volta! E voi labbra, che siete le porte del respiro, suggellate con un bacio legittimo un contratto eterno con la Morte ingorda”.

William Shakespeare, Romeo e Giulietta (1597), Atto V, Parte Terza

Tuttavia l’esoterismo dell’oltremondo si riallaccia alla vita prima della morte. Mirta, ingenua e incantata, vive il suo primo amore con il classico fascinoso delle tenebre. E qui subentra un Rocco Fasano che assomiglia tremendamente al magnetico Robert Pattinson. Per questo affiora alla memoria un inconsapevole rimando al teen drama fantasy che ha coinvolto, nel bene e nel male, l’ultima generazione di Millennials. Twilight esorcizza così l’amore impossibile e pericoloso che diventa in Non Uccidermi un gioco idilliaco, ma autodistruttivo. Così la droga si affaccia su un sopito paesino dell’appennino umbro-marchigiano, convolando a nozze con il desiderio inconscio della giovinezza eterna.

Ed è l’eroina a prendere il posto del drammatico veleno che pone fine al delirio romantico di Romeo e Giulietta. E non è un caso che nel secondo capitolo di Stephanie Meyer, New Moon, Edward dica a Bella di invidiare il suicidio di cui gli umani possono servirsi come ultimo gesto fatale e reciti l’ultima parte dell’Atto V della tragedia, in cui Romeo muore. Ed è tale disperazione romantica che conduce Mirta e Robin all’azione, con una volontà autodistruttiva, misteriosamente incanalata in Robin e seguita a ruota da Mirta, che traduce le loro giovani vite all’insegna dell’adrenalina.

Non c’è protezione o desiderio di incolumità in un mondo che non perdona. Così riecheggia la leggenda della Cava della Luna, un luogo mistico dove un amico di Robin è stato ucciso violentemente. E non c’è salvezza neanche per Ago, interpretato da Giacomo Ferrara, alias Spadino di Suburra e iniettato di quegli occhi spiritati, vittime di un turbine di dipendenza autolesionista. Per questo, dove una morte profetica è padrona, il sesso è l’unico modo per sentirsi vivi. E l’esperienza passionale domina la vita precedente di Mirta, costituendo un protagonista narrativo che però a lungo stanca.

Due mondi cromaticamente opposti

Non mi uccidere

La differenza tra il prima e il dopo la morte è sancita anche da una precisa scelta estetica. Così l’eroina è solo un’ombra in un’esistenza felice e patinata, mitigata tra le assolate giornate estive e i baci rubati. Non c’è traccia quindi della sporcizia cruda esistenziale di Requiem For A Dream (2000), che invece divampa nell’oscurità notturna. Qui i toni scuri e freddi si librano in una notte senza stelle, illuminata solo dalle luci a neon dei locali notturni, dove si addentrano felini inquietanti avventori. Qui Mirta scopre il suo alter ego, in una dimensione uguale e contraria dove il suo corpo diventa nero. Ed è subito: Violetta…stai diventando viola”.

Tuttavia non siamo tra i dolciumi della Fabbrica di Cioccolato, quanto in una realtà di periferia, simbolo geografico del thriller e dell’horror. I monti avvolgono così un bosco senza fine e un lago pacato, in un equilibrio armonico spezzato dalla fluorescenza della vita notturna, tra una discoteca incubata e un gelido parcheggio dove i Sopramorti profanano il corpo delle loro vittime. Emerge così una cornice estetica che invoca l’anima pop di Euphoria e aggrada piacevolmente la vista, a tal punto che adombra la narrazione in sé, accompagnata da una sceneggiatura estremamente essenziale e non particolarmente originale.

Non mi uccidere: dove avvengono gli scivoloni

Non mi uccidere

Non mi uccidere conquista dunque una veste visiva molto contemporanea e pop, asservita a una minuziosa cura per cui potremmo chiudere le orecchie e abbandonarci alla sola visione. I protagonisti si piegano infatti a parole soffocate e masticate in un sussurro, che rispondono all’atmosfera, ma arrivano a volte impercettibili allo spettatore. Così è salvifico l’ingresso in scena di Silvia Calderoni nei panni della Sopramorta che aiuta Mirta.

La sua maestria recitativa scavalca così l’approccio più ingenuo dei giovani protagonisti. Al tempo stesso sono le immagini a parlare più delle parole. Così appare fulminea la durata di Non mi uccidere, di poco meno di un’ora e mezza, che canalizza gli eventi in una successione minimale.

Ecco dunque che l’impostazione è tipica: una ragazza scopre la sua nuova spaventosa identità, si fronteggia con il nemico e approda a una nuova consapevolezza di sé. Un racconto di formazione, con un pizzico di romanticismo, che valorizza l’empowerment femminile. E fin qui tutto bene. Peccato però che manchi un po’ di approfondimento psicologico ed emozionale, in grado di agganciare lo spettatore allo schermo. Come un ritratto intessuto di bellezza artistica e citazionismo, che però non svela a fondo la sua anima, e rimane solo ciò che colpisce la superficie. Non basta quindi la serializzazione del corpo nudo e del sesso per spingere sul trasporto amoroso. Forse un giorno ci affezioneremo a Mirta, ma non oggi.

Una cornice topica

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A dettare una fragilità narrativa di Non mi uccidere è anche una cornice di elementi topici filmici e letterari. Ecco dunque che Mirta è la prescelta, la divergente, con un potere superiore a qualunque Sopramorto. Si ribella al nuovo mondo che le appartiene, ma viene schiaffeggiata da un colpo di scena finale E se le fondamenta narrative rispondono a una precisa importazione, data dal genere di appartenenza, sono i dettagli a incanalare un diretto vezzo estetico. Così gli occhiali da sole alla Kurt Cobain di Mirta accompagnano i capelli rosa punk di Ago, che ruba la tinta ad Alessandro Borghi. E poi spunta il misterioso Benandante con cappello e bastone alla Gandalf, dove però spiccano inedite scarpe da tennis, molto pop.

Tra rimandi involontari a Twilight, con ingredienti d’obbligo delle tenebre romantiche alla Fallen e alla After, il Non mi uccidere svetta anche su citazioni interessanti. A partire dal combattimento in corridoio tra Mirta e una schiera di aguzzini al servizio dei Beneandanti. Qui la cit. è fresca fresca di Oldboy (2003) di Park Cha-wook con una delle scene più iconiche della cinematografia cult.

Andrea De Sica ha poi citato, in un’intervista a HotCorn la celebre Nikita (1990) di Luc Besson tra i suoi riferimenti artistici per Mirta. Non mi uccidere è dunque una fiaba dark contemporanea per un pubblico teen, da divorare in un lampo sulle note palpitanti della canzone di Chadia. Non mi uccidere si arroventa sulla fascinazione estetica, ma non colpisce il cuore.  


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Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto.
Tra la passione per le serie tv e l'idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie.
Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.

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