È la storia di un connubio perfetto quella che c’è tra il Torino Film Festival e Oliver Stone. Da una parte c’è un regista irriverente e provocatorio, quest’anno all’attacco con Nuclear now, un efficiente documentario sul come abbiamo perso la corsa contro la crisi climatica, già dagli albori delle lotte ambientaliste. E dall’altra parte c’è un festival, forse il solo che ha potuto accogliere il film come si deve (oltre a Venezia79, dove però passò in sordina).
Date carta bianca al Torino Film Festival
Non è facile essere il TFF. Il festival, capace di reggersi in piede grazie a opere prime di giovanissimi autori (si veda per esempio la sezione dedicata ai nuovi sguardi argentini) e a coraggiosi esperimenti indipendenti (The Complex Forms, Pelikan blue), deve purtroppo fare i conti con una parte considerevole di critiche mosse nei suoi confronti, che nei cinema e in sala stampa riecheggiano in un continuo disseminare di scredito. Mancano le star, gli attori, i registi (non c’è nemmeno Radu Jude per il suo nuovo Do not expect too much). Non c’è insomma la passerella: Red carpet non pervenuto.
In un mondo dove tutto è spettacolarizzato, fotografato e postato, il festival del cinema ideale necessita di essere vissuto per poter concretamente essere ritenuto vero. Fa ridere come in realtà non basta, paradossalmente, che i film siano guardati. Serve la consacrazione mediatica. Ecco perché Nuclear now rischia, nonostante la presenza fissa di Stone per una masterclass di tutto rispetto, di finire in un calderone inconsistente e vuoto, fuori campo dal dibattito a cui tanto, invece, aspira.
In questo senso, però, il lavoro del TFF non ha mai avuto paura delle censure, e in fondo – solo per fare uno tra i tanti esempi – sul fatto che una retrospettiva su Sergio Citti fosse impensabile, abbiamo dovuto ricrederci proprio settimana scorsa. L’unico contesto, infine, che non può non dare a Nuclear now un posto di eccezione: “Carta bianca a Oliver Stone” recita la categoria del film; un fuori concorso tutto suo, in solitaria, perché d’altra parte, come spiegato dallo stesso regista, la chiave per provare a risolvere l’annosa questione della crisi climatica l’abbiamo sempre avuta a disposizione, ma non l’abbiamo mai sfruttata.
Nuclear now, provocante e sadica realtà di come siamo stati ingannati dalle industrie petrolifere
Nuclear now racconta di come il nucleare potrebbe, secondo le stime di una florida parte della comunità scientifica, salvare il mondo dal cambiamento climatico e dalla crisi energetica prevista nei prossimi decenni. La scienza ha infatti sbloccato questa energia a metà del XX secolo che, prima di essere usata per le bombe e poi per i sottomarini, era pensata per essere usufruita a scopi pacifici.
Tuttavia, verso la metà del XX secolo, le società che iniziavano la transizione verso l’energia nucleare e l’abbandono dei combustibili fossili, iniziarono una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, finanziata in parte dagli interessi del carbone e del petrolio, che avrebbe seminato la paura per le radiazioni innocue a basso livello, e creato una confusione tra armi nucleari e energia nucleare.
Tra tabù e paradossi, l’energia atomica raccontata con trasparenza
Forse Oliver Stone dalla sua sa rimettere in gioco efficacemente, tagliando gli stereotipi sull’argomento, ammutolendo gli inetti, il dibattito sull’energia nucleare, in un periodo dove qualcosa sembra risvegliarsi. C’è qualcosa che ribolle e inizia a farsi sentire, e ciò non accade soltanto sotto la crosta terrestre, oggi non più vista come fonte di oro nero.
Si tratta di qualcosa che ormai è stato messo alla gogna mediatica per troppo tempo, e che ora necessita di fuoriuscire per ritornare alla pubblica piazza, tra la gente e le istituzioni. Il notevole impiego di forze che il regista americano, mai esente a raccontare verità scomode e ritenute tabù dall’opinione pubblica, ha introdotto per provare a dare forza e conferire merito al tema dell’energia nucleare, è in fondo una disamina sociale che si regge sull’incomprensibilità e l’inaccessibilità che il tema di Nuclear now ha sempre avuto.
Il documentario, trasmesso in anteprima nazionale questo mercoledì 6 dicembre su La7, mostra il passato, il presente e il futuro, dell’energia, non solo nucleare, ma anche e soprattutto mondiale. Cosa fare quando la popolazione cresce, il benessere anche, ma la possibilità di continuare ad alimentare tale società diventa quanto meno insostenibile? Oliver Stone si piazza coraggiosamente in mezzo al paradosso contemporaneo per antonomasia, ciò che rende incomprensibile ai più la questione ambientale, e ciò che invece causa la cosiddetta eco-ansia nei giovani. Paradosso che si interroga sulla questione con una semplice quanto complicata domanda:
L’energia nucleare è veramente la soluzione?
Senza ideologie di sorta (se non per evidenti provocazioni verso la classe politica connazionale e non solo) Stone mostra quello che ci siamo persi, con un po’ di rabbia e frustrazione: analizza con occhio investigativo il marcio dell’industria dell’informazione, quando mostra la paura alimentata attraverso i media, ed entra nel profondo delle debolezze umane, quando invece evidenzia la paura sopra ogni qualsiasi volontà di raziocinio.
Nuclear now, allo stesso modo, è d’altra parte un titolo d’impatto. In primis perché è immediatamente associabile (con provocazione) a un film apocalittico da cinema del maccartismo; e in secondo luogo perché, in una più lucida e attenta visione, finalizza il messaggio di fondo del documentario: serve il nucleare? Sì. E quando? Ora. La ricerca si sta muovendo verso tale sviluppo, sempre più paesi riconsiderano l’energia dell’atomo come fonte d’importanza primaria, non resta che scacciare i fantasmi del passato, disintegrare il castello di carte costruito furbescamente dalle industrie dei combustibili fossili, e fare un esame di coscienza, grande quanto il mondo, profondo quanto deve essere un illuminante film di documentazione.
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