Essere uno degli autori più influenti del panorama cinematografico italiano non è roba da poco, e Ferzan Ozpetek lo sa molto bene. Proprio lui che mentre nei cinema vedeva uscire Le fate ignoranti, storia di una tresca omosessuale, quanto meno fuori dai luoghi comuni, nelle sale impazzavano le battute a sfondo sessuale misogine e omotransfobiche di Christian de Sica e Massimo Boldi in Merry Christmas.
Ma se già il famoso film del 2001 di Ozpetek si fermava al semplice scavalcamento degli stereotipi, due ore di Nuovo Olimpo mettono in luce un evidente problema del Nostro: troppa nostalgia – tra l’altro “di nicchia” – instillata a gocce, piano piano, in una sceneggiatura che è densa quanto la melassa, e pochi, pochissimi, tratti del romanticismo e dell’erotismo che il contesto richiedeva.
Nostalgia canaglia
Distribuito da Netflix (prima volta per il regista romano) a partire dal 1° novembre, dopo essere passato anche per la Festa del cinema di Roma 2023, Nuovo Olimpo è il nome di un cinema dove i protagonisti Pietro (Andrea Di Luigi) ed Enea (Damiano Gavino), nei lontani anni ’70, si incontrano e si innamorano. Un evento inaspettato, però, li dividerà per sempre.
Di Nuovo Olimpo si potrebbe dire poco altro in realtà. La trama riassume essenzialmente la vicenda in due o poco più righe. La regia, invece, ne specifica il risultato pigro. In una soluzione: cinema boomer. Gli sgoccioli di una stagione cinematografica italiana andata fin troppo per le lunghe. Molti i problemi, sia a livello tecnico che a livello drammaturgico.
Abbiamo cercato di riassumerli in tre brevi paragrafi.
Tre motivi per cui Nuovo Olimpo è un flop
Nuovo Olimpo è in primis una rappresentazione didascalizzata all’estremo di quella che dovrebbe essere una sceneggiatura romantica. Nessun tipo di tensione erotica, e al suo posto: distacco emotivo ed estraniazione registica. Le scene che dovrebbero essere le principali del film, ovvero quelle d’amore, anziché essere piene di passione, sono arricchite da sguardi vaghi e silenzi lunghi e vuoti; momenti che, in certi casi, cadono in un imbarazzo generale (sul set, ma anche in chi guarda).
Manca essenzialmente la voglia di raccontare qualcosa di coraggioso, nonostante i pretesti ci siano tutti: il film attraversa, infatti, quasi 50 anni di storia dei diritti LGBTQ+, ma degli avvenimenti importanti non se ne parla. È odioso sentirsi dire quello che bisognerebbe fare con il proprio film, ma è altrettanto fastidioso per lo spettatore seguire una storia che trova un contatto con eventi sociopolitici (le manifestazioni studentesche sono difatti un elemento importante nella prima parte del film) che, però, vengono poi abbandonati come se niente fosse.
In terzo e ultimo luogo manca pathos tecnico. O per dirla con altre parole, amore per il mezzo cinematografico. Rimane un mistero la scelta di utilizzare gli stessi attori per un arco temporale che supera i 40 anni; rimane tuttalpiù un’idea discutibile lasciar correre recitazioni abbozzate, giustificate forse da dialoghi che quando non sono scontati emergono in una piattezza che annebbia la vista. Cecità – tra l’altro un tema di Nuovo Olimpo – che vuole essere una metafora dello sguardo rubato in un’istante, distrutto dal destino e ritrovato con la cura di una vecchia fiamma.
Nuovo, o vecchio, Olimpo?
Dopo, tutto si perde in un mare salato e sconfinato, dove non cresce e non vive niente. È la vastità del vecchio cinema italiano, nel quale il film di Ozpetek si ritrova paradossalmente, più conservatore che progressista, più piatto che tridimensionale, più statico che in continua evoluzione. Come dovrebbe essere, o come si auspica che il cinema gay diventi.
Il linguaggio fluido che si mischia tra generi culturali e cinematografici. Il simbolo di rivalsa che doni ai giovani un elemento identitario. Proprio come Nella città l’inferno, pellicola che nel Nuovo Olimpo vediamo scorrere più volte, anche Noi abbiamo bisogno di un cinema che sia un luogo d’incontro, e non un semplice escamotage d’intrattenimento. In Italia, tuttavia, oggi siamo purtroppo in purgatorio.
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