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Nuovo Progetto Cinema, il perché di una rivista – L’editoriale

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8 minuti di lettura

Alla vigilia dei suoi 125 anni, il Cinema si presenta come la più complessa e frammentata manifestazione artistica. Il grande schermo unificatore è uno specchio rotto che acceca con riflessi inafferrabili. Per molti questo si traduce in un tragico svuotamento delle sale in favore dei sempre più comodi salotti di casa. Tuttavia i sostenitori di quest’allarmismo sono ciechi; vedono nello squarcio dello schermo una ferita incurabile, e non un’occasione. Ma come una tela lacerata da Lucio Fontana anche il cinema è semplicemente «in attesa». Di cosa? L’assenza di una risposta (e un certo amore per l’ignoto) è la ragione d’esistenza di un «Nuovo Progetto Cinema».

Come la scimmia guarda-la-luna, protagonista del primo atto di 2001: Odissea nello spazio, e ora simbolo di NPC Magazine, lo spettatore (e il critico) contemporaneo gioca infatti con i pezzi di un’arte che attende il giusto slancio per una nuova evoluzione.

La difficoltà di essere presenti

Ogni spettatore attento sa appunto che non si tratta più di cinema o tv. Ma della convivenza, a volte forzata, a volte agognata, dei molteplici schermi figli di quella fonte ferita. Serie tv e film sono solo la facciata dietro cui avanzano nuove forme d’arte in movimento, la cui difficile catalogazione obbliga l’appassionato e lo spettatore ad afferrare il presente per non farsi travolgere. Dai videogiochi alla realtà virtuale, dalle piattaforme streaming alla sala, passando per videoclip, spot, sperimentazioni e nuove avanguardie. Persino il culto del passato – per molti una vera e proprio confort zone – riguarda il presente. Con perle riscoperte, ristudiate e riviste in virtù di sempre più efficaci restauri.

Il più cieco dei commentatori urlerà allo scandalo – confermando l’importanza di queste riflessioni – eppure è difficile non osservare una sessione di gioco di Red Dead Redemption 2 o The Witcher 3 e non realizzare che l’intrattenimento che mai prima avremmo accostato all’arte del cinema sta ora esigendo un’attenzione senza precedenti. Se però la paura è quella della sostituzione dei media e della scomparsa della sala, si rammenta che negli ultimi 10 anni la produzione cinematografica è raddoppiata, passando da 4.584 titoli nel 2005 a 9.387 nel 2015 (dati imbd). E per quanto concerne «quella forma di cinema che chiamiamo serie tv», così come definita dal direttore artistico della Biennale del Cinema di Venezia, Paolo Barbera, un sondaggio annuale condotto dalla rete via cavo FX ci mostra che nel 2018 è stata messa a disposizione una serie record di 495 sceneggiature originali dedicate alle serie. Un aumento dell’85% dal 2011. L’aumento degli spettacoli online è stato infatti drammatico, facendo registrare un balzo del 385% dal 2014, grazie all’aumento di produzione di aziende come Hulu, Amazon e Netflix.

Giusto per rendere ancora un po’ la complessità del presente: mentre questo articolo viene redatto, Disney+, piattaforma streaming della multinazionale al centro dell’intrattenimento mondiale, ora proprietaria anche degli assets della Fox, viene introdotta nel mercato americano dopo un investimento in contenuti originali di quasi 1 miliardo (fonte hollywoodreporter.com). In contemporanea a ciò, una discussione lungi dall’essere risolta si scatena per la mancata (o, meglio, ridotta) proiezione in sala dell’ultimo film di Martin Scorsese, The Irishman, prodotto dalla piattaforma Netflix. Senza aggiungere che l’ultimo record di incassi al cinema per un singolo film è stato rinnovato da poco meno di un anno, con i  2.773.357.309 di dollari al botteghino mondiale di Avengers: Endgame.

Se avete mal di testa a leggere questa cifra immaginate quanto fastidio possa dare ai profeti della sala vuota.

Ad osservare questo tableau vivant non se ne ricava semplicemente un cinema vivo e dinamico, ma probabilmente affetto da un grave disturbo dissociativo della personalità. Il che, ovviamente, obbliga a riprendere in mano l’annosa domanda posta da André Bazin nel suo noto saggio, «Che cos’è il cinema?».

Nuovo Progetto Cinema: l’obbligo di una nuova teoria

Per poter rispondere – tenendo in considerazione l’insieme intero di questa folle selva – si impone l’obbligo della realizzazione di un nuovo cosmo culturale. La teorizzazione priva di preconcetti e aperta alla novità è l’unica via percorribile dal critico e dal teorico, il quale non può più affidarsi solo alle collaudate categorie di analisi. Nuove competenze sono richieste all’osservatore della contemporaneità. Mentre una rinascita delle conoscenze tecniche (altalenanti a seconda della generazione di critici) si impone per la categorizzazione delle nuove forme dell’audiovisivo. Se ad esempio la serialità possa ancora rientrare nell’analisi narratologica con cui si è guardato per anni ai film è una questione ancora aperta, complicata da innovatori come Steven Soderbergh e dal loro tentativo di introdurre l’interazione dello spettatore alle loro opere. Così come dagli esperimenti di universi narrativi espansi, recentemente condotti con successo da Disney e Marvel.

Molte strade probabilmente si riveleranno vicoli ciechi, altre invece (realtà virtuale?) ci travolgeranno alla stessa maniera degli smartphone 10 anni fa. Per poterlo capire però sarà necessario tornare ad una critica che faccia fronte comune nel tentativo di decodificare il presente. La rivoluzione digitale ha infatti portato la discussione su internet, aumentando il numero di opinionisti, ma diminuendo il contatto tra questi.

NPC – Nuovo Progetto Cinema si propone di abbattere il muro dell’incomunicabilità tra le parti agenti nella riflessione teorica. Invitando riviste, critici e giornali ad intavolare un dibattito che possa agevolare la comprensione delle nuove forme d’arte audiovisiva. Molteplici saranno le rubriche che all’interno della rivista si occuperanno specificatamente di tali forme ancora indistinte, cercando di concedere medesimo spazio alla sala e ai piccoli schermi. Altrettanti saranno però i tentativi di fungere da collante del verbo critico corrente, andando a scovare punti di contatto e spaccature tra ciò che il pubblico vede, ciò che la critica dice e ciò che il cinema sarà.

Più che nel suo significato di «periodico illustrato che tratta argomenti d’attualità» (Garzanti Linguistica), la rivista è dunque qui intesa come «spettacolo di varietà in cui numeri musicali e di balletto si alternano a numeri comici, di illusionismo, di abilità e simili». Ossia come la realtà performativa entro la quale la molteplicità prospera. Perché di cinema è ormai necessario parlare solo secondo l’ordine della complessità.

Sempre al tempo presente, a volte al futuro, mai al passato.

Studente di Media e Giornalismo presso La Sapienza. Innamorato del Cinema, di Bologna (ma sto provando a dare il cuore anche a Roma)e di qualunque cosa ben narrata. Infiammato da passioni passeggere e idee irrealizzabili. Mai passatista, ma sempre malinconico al pensiero di Venezia75. Perché il primo Festival non si scorda mai.