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Olga

Olga, dalla condizione dei giovani ucraini un messaggio per tutti noi

5 minuti di lettura

Vendetta. Nella testa della giovane Olga (Anastasia Budiashkina), ginnasta della squadra olimpica ucraina e costretta all’esilio politico in Svizzera, rimbomba a destra e manca solo ed esclusivamente un sentimento, forse condiviso dai suoi conterranei, che delinea la storia geopolitica di un popolo intero. Il più chiacchierato, ovviamente, quello ucraino.

È probabilmente per questo motivo che il giovanissimo Elie Grappe (neanche trentenne), regista dell’omonimo film in uscita da noi l’8 giugno nei cinema, decide di raccontare la storia di Olga. È un modo per unire sport e politica, collegarli in una disamina storica degli avvenimenti che hanno colpito il paese dalla caduta di Janukovyč, l’Euromaidan, e la Guerra in Crimea.

La storia di Olga

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Ritorniamo quindi indietro nel tempo: Kiev, 2013, Olga è, una giovanissima atleta, figlia di una giornalista dell’opposizione al governo filorusso del presidente Viktor Janukovyč, che per motivi di sicurezza viene “accolta” dall’altra metà della famiglia, originaria e residente in Svizzera. Essendo una ginnasta abilissima, entra a far parte della squadra olimpica svizzera, soprattutto in vista degli europei che potrebbero consacrare il suo profilo di atleta.

Divisa tra Svizzera e l’Ucraina della “rivoluzione” di Piazza Maidan, Olga si troverà quindi a fare i conti prima di tutto con sé stessa: rimanere in Svizzera al sicuro e dove ha concrete possibilità di diventare un’atleta importante, o ritornare in Ucraina per stare a fianco della madre, delle sue amiche e del suo popolo? Una storia che parla universalmente di rivalsa sociale e culturale, e nel piccolo, un dramma che passa dal tema dei giovani alla correlata fuga di cervelli.

Il contesto profetico della crisi ucraina

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Quando la necessità di fuggire, d’altronde, incontra la paura incombente della guerra, dei disordini sociali, e della miseria spudorata delle istituzioni ipovedenti (Olga nota giustamente che a Kiev si continuano a costruire condomini nuovi senza un apparente motivo), il dubbio atroce che consuma, penetra sottopelle, incessantemente, impedisce una garanzia per il futuro e blocca la strada alle prospettive di una generazione (s)perduta.

Scelta azzeccata, quella del contesto ucraino, soprattutto quasi profetica (Olga, nonostante arrivi in Italia nel 2023, è stato prodotto nel 2021), a narrare una realtà in pericolosa espansione, sempre sul punto di esplodere. Elie Grappe lo sa bene questo, e gioca con i primi piani a camera a mano della protagonista in continuazione. Lei rischia a momenti di scivolare via, scappare come tutti in Piazza Maidan e confondersi tra la folla. Infatti, quando va in Svizzera, l’unica certezza a cui appendersi è il vuoto cosmico del Web: tra videochiamate dal pessimo collegamento e telegiornali confusi.

Olga, un futuro incerto e sospeso

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Insomma, per Olga l’Ucraina è vicina ma sconnessa; questo almeno è ciò che per tutto il film (anche lei profeticamente, pensando alla guerra che esploderà qualche anno dopo) la protagonista cerca di far notare a chi la ospita, che di tutto punto le risponde di lasciar perdere, di dimenticarsi il passato, di non parlare in russo perché non la capisce nessuno e piuttosto di usare lingue a loro conosciute: francese, tedesco, l’italiano solo per gli insulti.

E nel frattempo Grappe ce lo fa proprio percepire questo distacco, sempre maggiore, anche nella sua passione: la macchina da presa viene lanciata in aria, gira e piroetta vorticosamente, a ricordare quel simpatico sperimentalismo di Abel Gance e il disturbante estremismo di Gaspar Noé.

Il cinema che prende fiato e si lascia andare, come dovrebbe fare Olga (?). È un interrogativo sospeso, ma è proprio con una sospensione che il film si conclude, lasciando appesa la storia e il destino della protagonista in un salto che, forse è nel vuoto, o forse è ancorato a quelle stesse decisioni che la Olga quindicenne non sapeva mai prendere. O forse è addirittura tutto il contrario: la realtà è ben diversa, e come spesso accade, si è sbalzati da una parte all’altra per scelte che purtroppo non facciamo e su cui non abbiamo il controllo. Non resta che vendicarci.


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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