Olivia è un film francese del 1951, diretto dalla regista Jacqueline Audry e ispirato al romanzo semi-autobiografico di Dorothy Bussy. Olivia costituisce un tentativo coraggioso e riuscito di rappresentare una storia d’amore tra due donne, con uno sguardo melodrammatico e tragico sulla sua impossibilità.
É da poco disponibile sulla piattaforma MUBI, nella sua versione restaurata.
Di cosa parla Olivia?
Il film è ambientato in una Francia di fine Ottocento, all’interno di una cosiddetta finishing school, cioè una struttura in cui ai tempi giovani donne imparavano le buone maniere, l’arte della conversazione e i riti culturali dell’upper class. Si tratta di un microcosmo tutto al femminile, in cui la protagonista Olivia (Marie-Claire Olivia) giunge dall’Inghilterra, delusa dall’esperienza inglese e piena di di speranza.
I nomi principali che echeggiano nei sussurri delle ragazze sono quelli della elegante e gentile mademoiselle Julie (Edwige Feuillère), e della cagionevole, nevrotica e bellissima mademoiselle Cara (Simone Simon), i due poli attorno a cui gravita il racconto e la stessa Olivia. All’interno di questo mondo fatto di merletti ed eleganza, le dinamiche di potere sono ambigue e sfuggenti, così come lo è il passato che lega le due insegnanti, inaccessibile allo spettatore, e ben presto Olivia si troverà incastrata in questo triangolo, soggiogata da un amore impossibile per mademoiselle Julie.
L’amore proibito di Olivia
Olivia è una storia di amore, gelosia e repressione. È un melodramma di sentimenti profondi, covati sotto la pelle, che prima si celano e poi si manifestano con veemenza, in una costante tensione sentimentale e sessuale. L’arco narrativo di Olivia è tipicamente da bildungsroman, nel suo percorso di maturazione fatto di gioie e dolori da cui uscirà più adulta, ma è la rappresentazione sullo schermo di una storia d’amore tra due donne che smuove la tradizione, una relazione doppiamente proibita, se si pensa al rapporto tra insegnante e adolescente.
La piccola Olivia capisce di essere innamorata di mademoiselle Julie quando questa le legge Andromaca, di Jean Racine. Poi le attenzioni, le vicinanze, la trasferta a Parigi, gli sguardi: una sensibile e tragica rappresentazione di una storia d’amore, senza giudizi ma con la triste consapevolezza di un’impossibilità sociale e di un romanticismo che vive di piccole cose. In questo senso non siamo distanti da In the Mood for Love (Wong Kar-wai, 2000), che rappresentava un amore lacerato dalle restrizioni sociali, che agivano invisibilmente dal fuoricampo. Allo stesso modo, questo racconto non può che rimanere un sussurro, un ricordo di cui fare tesoro.
Microcosmo al femminile
La grandezza di Olivia vive principalmente di questa rappresentazione che va oltre il tradizionale. Soprattutto se si pensa che Olivia esce nel 1951, risulta evidente la portata rivoluzionaria dell’opera. Da un lato toccante, dall’altro doloroso, riesce contemporaneamente a normalizzare l’amore tra due donne con naturalezza e a problematizzare la portata nefasta di questa relazione proibita.
In questo mondo tutto al femminile, c’è una rappresentazione critica anche dell’uomo e della mascolinità, che forse è più che altro un’ipostasi della società tutta. Qui intervengono le scelte di messa in scena, che riescono a rendere con raffinatezza un’umanità fredda, distante e dispotica. Dopo la tragica morte (il film sembra insinuare che si tratti di suicidio) di mademoiselle Cara, giungono degli investigatori con l’intenzione di svelare la natura del decesso. Oltre ai modi rudi e intimidatori con cui viene condotto l’interrogatorio, anche le modalità della messa in scena parlano di un potere “altro” che regola il mondo: gli uomini sono sempre cupi e inquadrati di spalle, depersonalizzandoli e rendendoli minacciosamente uguali, oppure dalla distanza, con la macchina da presa nascosta, quasi ne fosse intimorita, o quantomeno mantenendo una distanza emotiva.
In un’altra possibile lettura è difficile poi non pensare a Suspiria (Dario Argento, 1977), con l’arrivo di una nuova ragazza in una scuola esclusivamente femminile e piena di misteri, la natura persuasiva e seduttiva di mademoiselle Julie e mademoiselle Cara, gli uomini nel ruolo di inquisitori, l’inserviente glaciale e misteriosa, danze, ombre: Olivia è forse anche un racconto di streghe.
Lo stile e i luoghi di Olivia
Lo stile che adotta la regista Jacqueline Audry si potrebbe dire classico, è elegante e ha dei movimenti di macchina che più che rifarsi al cinema francese coevo, guardano forse al melodramma statunitense. Le scelte di messa in scena lavorano sui movimenti fluidi della macchina da presa, che si muove liberamente percorrendo le stanze, guardando dalle finestre, le scale e tutti i luoghi nascosti della casa. Olivia opera più attraverso le suggestioni delle inquadrature, piuttosto che per affermazioni e didascalismi, e mette in atto delle riflessioni sul potere e sulla condizione femminile con la maestria di uno sguardo consapevole, un’idea di cinema che viene anche professata, tra le righe, nel film da mademoiselle Julie:
“Una persona può, anzi, deve, subire il fascino dei versi prima di seguire il destino dei personaggi”.
Le scelte di messa in scena poi, nel segno della composizione del quadro, manifestano l’intenzione di porre l’accento sull’opulenza, sull’eleganza e sulla fastosità dei tendaggi, dei merletti e dell’arredamento, dipingendo così un quadro per certi versi soffocante.
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