PainKiller è una mini-Serie TV Netflix, in streaming sulla piattaforma dal 10 agosto, che racconta l’epidemia di oppiacei che ha afflitto gli Stati Uniti negli anni Novanta. Un’epidemia che trova la sua origine nella creazione del farmaco Oxycontin da parte di Purdue Pharma. Una storia che parla di ricerca del piacere e fuga dal dolore, di famiglie distrutte per avidità e ricerca della ricchezza.
Painkiller, l’epidemia di Oxycontin
Siamo a metà anni Novanta. Iniziano a girare, in modo regolare e prescritte come antidolorifici, le pillole di Oxycontin. Pian piano comincia a svilupparsi una dipendenza da questo farmaco. PainKiller cerca di raccontarne la storia sotto diversi punti di vista. Seguiamo infatti la narrazione dagli occhi di tre protagonisti: Richard Sackler (Matthew Broderick) , il creatore dell’Oxycontin, Edi Flowers (Uzo Aduba), ispettrice del dipartimento di giustizia che per prima si è interessata al caso e Glen Kryger (Taylor Kitsch), lavoratore che in seguito ad un’incidente ha iniziato a prendere il farmaco e ne ha poi sviluppato una dipendenza. Seguiamo anche la storia di Shannon Shaeffer (West Duchovny), rappresentante di Purdue Pharma.
Un racconto tridimensionale, che ci mostra le conseguenze del farmaco sulla gente comune. Il sistema che Richard Sackler aveva creato si basava sulla ricezione di due emozioni principali: l’avidità e la ricerca del piacere. Cercava la prima nei rappresentanti del suo farmaco, spingendoli a convincere sempre più medici possibile a prescriverlo, in modo da guadagnare di più; mentre la fuga dal dolore era facile trovarla in malati terminali ma anche in gente comune vittima di infortuni e che con l’Oxycontin poteva sopportarne il dolore.
Questi due movimenti, ricerca del piacere e fuga dal dolore, creavano un circolo di continua dipendenza, dai soldi e dall’Oxycontin. È infatti proprio questo il focus della serie, la dipendenza, non solo dall’Oxycontin, ma anche e soprattutto dall’avidità di chi, al solo scopo di lucro, ha “spacciato” il medicinale.
PainKiller costruisce la narrazione attraverso i ricordi di Edi Flowers e ripercorre la storia seguendo il modello e lo stile de La Grande Scommessa, di Adam McKay. Seguendo quel percorso, la storia si concentra su tutte le storture burocratiche ed etiche che la Purdue Pharma ha commesso per far approvare e vendere l’Oxycontin, con uno stile grafico fatto di rallenty, immagini di repertorio, montaggi serrati che si alternano a momenti intimi. Ogni puntata della mini-Serie inizia infatti mostrando un parente che racconta la storia di una delle vittime dell’Oxycontin. Un approccio quindi molto didattico e di sensibilizzazione.
Le mini-Serie Netflix, un modello da replicare
PainKiller, quindi, indugia su momenti intimi, soprattutto nelle storie di Shannon e Glen, per mostrare le conseguenze e i solchi che l’epidemia da oppiacei ha lasciato negli Stati Uniti. L’interpretazione del Glen di Taylor Kitsch spicca su tutte. L’attore canadese riesce a mostrare la dipendenza senza andare sopra le righe, alternando rabbia a dolore e frustrazione. Anche il Richard Sackler di Matthew Broderick ruba la scena, con un’interpretazione che ci mostra un imprenditore calcolatore e fastidioso nella sua perfezione, nella sua ricerca di successo e fama a discapito della salute delle persone. Alcune parti risultano però troppo urlate e ridondanti. Alcune soluzioni narrative centrano il segno, altre girano a vuoto e allungano il minutaggio, rendendo pesante una serie che ha già l’arduo compito di raccontare una storia pesante e delicata.
Netflix si riconferma comunque capace di confezionare mini-Serie di alto livello che riescono a non perdersi in infinite stagioni, ma vanno dritte al punto e affrontano temi e storie più impegnate e difficili. PainKiller, nonostante lacune ed esagerazioni, riesce a raccontare e a spiegare una storia incredibile ma vera, avendo la giusta sensibilità su un tema, quello della dipendenza, difficile da affrontare.
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