Dopo essersi fatto conoscere presso un pubblico più ampio grazie ai suoi due film hollywoodiani (Snowpiercer e Okja), il maestro Bong Joon-ho “torna a casa” con Parasite, un film sud coreano nei ritmi, personaggi e linguaggio, ma che racconta una storia universale.
Parasite, la trama
In breve, l’ultimo film di Bong segue la particolare famiglia Kim: madre, padre, figlio maggioro e figlia minore. I quattro vivono nel seminterrato di una squallida palazzina in un quartiere malandato, non lavorano o studiano: i loro unici guadagni derivano dal riciclaggio dei cartoni della pizza, grazie al quale ottengono buoni pasto per comprare il minimo necessario per vivere. Un giorno, però, il figlio maggiore, Ki-woo (Choi Woo-sik) riceve una proposta che gli può fruttare qualche soldo e vede in essa la possibilità di architettare una truffa che porti l’intera famiglia Kim ad infiltrarsi nella villa dei Park, famiglia benestante e un po’ ingenua. Da questa situazione assurda e surreale, scaturisce una storia esilarante ed intensa che indaga nelle pieghe della società moderna.
Proprio il tono di Parasite è ciò che trasforma una grande storia in un capolavoro che va oltre ogni categorizzazione di genere. Così come era emerso in Memories of Murder e Madre, Bong comprende appieno quanto l’utilizzo del tragicomico, del dark humour sia la chiave per mantenere l’interesse del pubblico durante tutta la durata del film. In Parasite, alcune scene drammatiche vengono realizzate in chiave comica, mentre alcuni momenti esilaranti sono arricchiti da un sottotesto estremamente disturbante e tragico.
I temi cari a Bong Joon-ho
La lotta tra classi evidenziata a livello superficiale in questa pellicola si trasforma in introspezione sulle speranze di chi si sente escluso dalla società, in riflessione sulle dinamiche famigliari di chi ha tutto in contrapposizione con quelle di chi non ha nulla. Nonostante Parasite sia un film molto divertente, in grado di sorprendere lo spettatore e strappagli un sorriso ad ogni occasione, le implicazioni della pellicola sono piuttosto agrodolci e lasciano poco spazio a speranze di redenzione.
Infatti, una delle chiavi di lettura più interessanti di Parasite riguarda l’impossibilità di ascesa all’interno di una società dai limiti chiari e predefiniti. Bong condanna, attraverso l’ironia e l’uso di potenti ed indelebili immagini, sia la società stessa con le sue regole assurde, sia le vittime, perchè la famiglia Kim è talmente ossessionata dal miglioramento della propria condizione che non vuole permettere ad altri di ottenere lo stesso risultato. Inoltre, la pellicola vincitrice della Palm d’Or punta a dimostrare quanto l’idealizzazione, il mettere sul piedistallo chi ha ottenuto tutto dalla vita sia una delle ragioni per cui il successo non sarà mai alla portata di chi cerca la scalata sociale. Parasite racconta di due mondi che, per quanto vicini, saranno sempre in contrasto tra loro, tanto che l’unico punto di incontro non può che essere un confronto violento e devastante.
Presentando il film a Cannes, Bong ha definito la sua ultima pellicola come «una commedia senza clown, una tragedia senza cattivi, in una storia che culmina in uno scontro violento ed in un tuffo a capofitto giù per le scale».
Un capolavoro a livello tecnico
Infatti, Parasite è un’opera divertente e drammatica, violenta e delicata, misteriosa e comprensibile, spaventosa e godibile allo stesso tempo. Come al solito – almeno per quanto riguarda gli standard del regista sud-coreano – alla perfezione della sceneggiatura corrisponde un’altrettanto curata e stilizzata regia. Il montaggio, che alterna momenti di editing frenetico (alla Edgar Wright, per intenderci) alla protrazione della scena tipica di un Terrence Malik, implementa in una maniera straordinaria le emozioni che il regista intende comunicare. La fotogragia, sebbene salti all’occhio meno rispetto ad altre opere di Bong, assume vita propria all’interno del film, diventando un personaggio a sua volta. L’utilizzo esperto delle musiche (spesso classiche) e del sound-desing contribuisce a trasformare Parasite in una vera e propria esperienza sensoriale che colpisce lo spettatore tanto nel profondo quanto a livello di pura estasi audio-visiva.
Ovviamente, ogni performance attoriale è perfetta per il ruolo che ciascun interprete deve eseguire. Song Kang-ho, aficionado nel cinema di Bong che qui ritroviamo nei panni del padre della famiglia Ki-taek, è semplicemente fantastico nella sua sfaccettata interpretazione, che lo vede trasformarsi da patetico incapace a violento assalitore nel giro di poche scene. È, però, l’intero cast di attori ad elevare il tutto, offrendo diverse interpretazioni memorabili come quelle del già citato Choi Woo-sik nei panni di Ki-woo, di una straordinaria Jo Yeo-jeong nel ruolo di matriarca della famiglia Park e di una sorprendente Park So-dam nelle vesti della sorella di Ki-woo.
Da non perdere
Attraverso le assurde e altamente simboliche vicende di due famiglie, Parasite riesce a catturare la situazione attuale della società in maniera potente e in chiave ironica. Grazie ad un ritmo veloce e mai confuso, Bong ha saputo ideare ed eseguire una pellicola che trascenda ogni genere cinematografico per approdare in un regno dove brutale realtà e surreale comicità si incontrano e ci spingono a domandarci chi (o cosa) sia davvero il parassita.
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