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«Paris, Texas», il viaggio americano di Wim Wenders

5 minuti di lettura

Il secondo sondaggio Instagram in salsa tedesca, vede la vittoria netta per Paris, Texas di Wim Wenders. Il film, realizzato nel 1984, segna l’apogeo del periodo americano per il regista di Düsseldorf. Entrato nel mondo cinematografico tra i rappresentanti del Nuovo cinema tedesco (Neuer Deutscher Film), movimento sviluppatosi nella Repubblica Federale Tedesca, ha creato poi un proprio percorso personale.

Un film che non passa inosservato. Presentato al Festival di Cannes 1984, ha vinto la Palma d’oro come miglior film. Consegna Wim Wenders ad una fama che verrà suggellata pochi anni dopo, con Il cielo sopra Berlino, la sua opera più conosciuta.

Un film diventato presto un Cult, Paris, Texas deve essere guardato e letto con dovuta attenzione.

«Paris, Texas», trama

Paris Texas

Travis Henderson (Harry Dean Stanton) cammina tra le rocce di una zona desertica presso il confine tra Messico Stati Uniti. Travis è scomparso da 4 anni ed è chiuso in un mutismo quasi completo. Entrato in una stazione di servizio, sviene. Viene soccorso da un medico che trova l’indirizzo del fratello Walt (Dean Stockwell), il quale vive a Los Angeles. Walt parte e recupera il fratello.

Tornati a casa, Travis rincontra suo figlio Hunter, che ha 8 anni e vive con la zia Anne (Aurore Clément) e lo zio Walt, che lui chiama mamma e papà. Questo perché la madre del ragazzo, Jane (Nastassja Kinski), ha affidato il bambino ai cognati, prima di scomparire.

Travis, dopo un primo disorientamento, si lega al proprio figlio e riprende vitalità. Decide così di partire alla ricerca della compagna, e madre di suo figlio, perduta.

Lo Spazio come protagonista

Paris Texas

Lungo l’intera filmografia del regista, il punto centrale, il tema che insegue, sviscera, mostra nelle diverse rifrazioni del proprio prisma visivo, è lo Spazio, quella forma pura della sensibilità umana. Ogni personaggio modella le proprie azioni, i propri sentimenti, in relazione allo spazio occupato. Quest’ultimo lo sovrasta e lo nutre, come una placenta.

Lo spazio vasto del deserto introduce le vicende di Travis: un non-luogo vuoto, solitario. Il nulla che troneggia sulle vicende umane, dal quale veniamo e al quale ritorniamo. Una costante minaccia e sfida per l’umano alla ricerca di significati. Travis conduce questa ricerca: come si comprende a fine pellicola, egli si ritrova vagabondo e privo di motivi, dopo che la sua vita di rapporti sentimentali e familiare si disgrega. La fine della storia d’amore folle con Jane, l’abbandono del figlio Hunter, lo getta in una carenza di senso e di prospettiva, lo conduce lentamente verso il nulla, verso il deserto.

Paris Texas

Il percorso parte dunque dal silenzio del protagonista, il suo vuoto iniziale, per poi recuperare il dono della parola, della relazione, di un senso che sia da ponte sopra le acque torbide della vita. La meta del peregrinare è però la terra, il piccolo appezzamento comprato a Paris, nel Texas, dove ha cominciato a essere, dove ricominciare a costruire la propria storia.

Il ricordo struggente

Paris Texas

La sequenza più nota e iconica del film è quella finale del peep-show. Jane, così come altre donne, si esibisce in cabine divise da uno specchio semi riflettente, che impedisce di vedere i clienti. Travis sfrutta la mancanza di visibilità, e una cornetta, per raccontare, e raccontarsi ancora una volta, la loro storia d’amore. Solamente a questo punto, Travis, davanti a uno specchio vero e fittizio, incontra gli errori passati, tra abuso di alcool ed eccesso di gelosia. Raccontando, comprende, ed avvia una terapia per le proprie colpe.

Ma non rimane spazio per seconde possibilità. La colpa è un fardello che non scompare. Non c’è spazio per la speranza, per un nuovo orizzonte familiare. Quel che si è rotto, non si ricompone più. Hunter, il figlio, merita il ricongiungimento con la madre, con la persona-luogo che l’ha generato. Per Davis, l’unica possibilità è il viaggio, per tornare a Paris, Texas, questo luogo dell’animo, questo unico grembo materno.


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Amo le storie. Che siano una partita di calcio, un romanzo, un film o la biografia di qualcuno. Mi piace seguire il lento dispiegarsi di una trama, che sia imprevedibile; le memorie di una vita, o di un giorno. Preferisco il passato al presente, il bianco e nero al colore, ma non disdegno il Technicolor. Bulimico di generi cinematografici, purché pongano domande e dubbi nello spettatore.

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