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Passages

Passages, la nuova perla LGBTQ+ firmato Ira Sachs

5 minuti di lettura

In uscita nelle sale italiane dal 17 agosto, Passages è il nuovo film di Ira Sachs.

Con protagonisti Franz Rogowski, Ben Whishaw e Adèle Exarchopoulos, Passages è un film delicato dall’impronta fortemente realista, presentato al Sundance e proiettato all’ultima edizione della Berlinale nella sezione Panorama.

La trama di Passages

Passages Franz Rogowski e Adèle Exarchopoulos

Tomas (Franz Rogowski) è un giovane regista tedesco. Vive a Parigi con il marito britannico Martin (Ben Whishaw) ed è piuttosto apprezzato per i suoi lavori. Il rapporto col marito subisce però una svolta quando egli conosce Agathe (Adèle Exarchopoulos), un’emancipata insegnante parigina. Impulsiva e soprattutto fisica, la relazione tra Tomas e Agathe comporta una naturale serie di sviluppi: innanzitutto, Tomas e Martin si lasciano, poi quest’ultimo comincia a frequentare Ahmad (Erwan Kepoa Falé), un giovane scrittore. Costantemente indeciso tra la passionale Agathe e il compagno di una vita Martin, Tomas è il lato più imprevedibile di un triangolo fluido e complesso, centro propulsore di sentimenti tanto intensi quanto inclassificabili.

Un nuovo tassello per il cinema LGBTQIA+

Passages Ben Whishaw e Adèle Exarchopoulos

Che Ira Sachs sia una voce non molto conosciuta al pubblico italiano è una triste verità. Piccoli gioielli come Keep the Light On (2012), I toni dell’amore (2014), Little Man (2016) e Frankie (2019) hanno faticato non poco a trovare una degna distribuzione sul territorio nostrano. Una grossa lacuna che per fortuna MUBI e Lucky Red sono riusciti a colmare. La scommessa di queste due società di produzione e distribuzione può sembrare abbastanza comprensibile: in un decennio in cui spiccano sempre più film a tematiche LGBTQ+, tutti straordinariamente importanti per sensibilizzare sulla preziosa universalità di qualunque storia d’amore, gli intrecci amorosi raccontati nel film di Sachs sono perfetti per delineare nuove e interessanti prospettive.

Sospinto dalla calibrata sceneggiatura curata dallo stesso regista americano e da Mauricio Zacharis, Passages si concentra sulle presunte capacità che uomini e donne hanno di controllare i propri sentimenti. Che il protagonista sia un regista, una persona abituata a prendere continuamente decisioni e a tenere tutto sotto controllo, non è affatto un caso. Tomas non è un underdog scontroso e solitario, e a quanto pare non ha bisogno di reclamare sacrosanti diritti; è un uomo realizzato che di punto in bianco non riesce più a gestire la propria vita sentimentale. Non è soltanto una mera questione di sesso, è qualcosa di molto più profondo: un’ineluttabile forza nascosta che pur detta autoritariamente le regole dell’attrazione.

Passages, o “come ti dirigo il caos”

Franz Rogowski in Passages

Gli intrecci di questo triangolo molto moderno non sarebbero stati gli stessi senza le incredibili performance di Rogowski, Exarchopoulos e Whishaw. Sono questi ultimi infatti a dare brillantemente corpo a sentimenti, pulsioni e stati d’animo talvolta di difficile caratura. Al magnetismo dominante di Rogowski – sempre più sulla cresta dell’onda dopo il recente Disco Boy – si contrappongono in modo assai bilanciato la sensualità consapevole di Exarchopoulos e l’indispensabile presenza scenica di Whishaw. Il risultato è un’alchimia profonda che conferma non solo la bravura di questi tre talenti, ma anche una direzione sugli attori pressoché perfetta da parte di Sachs.

Forse è proprio questo uno dei maggiori pregi del regista americano: dirigere i propri interpreti all’interno di una storia che, strutturalmente molto semplice, rimescola di continuo le proprie carte. E se nella finzione, come dimostrano i primi minuti di Passages, è comunque possibile per un regista controllare la realtà che lo circonda, dirigere razionalmente attori principali, comparse e troupe, nella vita reale le cose appaiono del tutto diverse. In tal proposito, il film di Sachs si rivela oltremodo esplicativo: l’amore, a prescindere dalle sue forme, presenta talvolta contorni decisamente indefinibili. Se ciò porta a innumerevoli e fecondi meccanismi narrativi, il cinema, dall’alto della sua ormai collaudata onniscienza, non può che ringraziare.


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Napoletano, classe 1996, laureato in Filologia moderna e con un master in Drammaturgia e Cinematografia. Perennemente alla ricerca di sonno, cibo e stabilità psicofisica, vivrebbe felice anche nel più scoraggiante dei film di Von Trier, ma si accontenta della vita reale insegnando nelle scuole ad amare le belle storie. Nulla gli illumina gli occhi più del buio di una sala.

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