Dopo essersi aggiudicata il Premio della Giuria ai Teddy Award 2011 con Tomboy e il Premio César per il miglior adattamento nel 2017 con La mia vita da zucchina, la regista francese Céline Sciamma prosegue la sua ricerca sulle donne e la sessualità con il suo quarto lungometraggio Ritratto della giovane in fiamme (Portrait de la jeune fille en feu). Il film si è aggiudicato il Prix du scénario all’ultima edizione del Festival di Cannes.
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La storia
Alla fine del XVIII secolo, in un mondo parallelo e nascosto, fatto di scogliere e di falesie, approda la nostra (prima) eroina, Marianne (Noémie Merlant), pittrice che purtroppo non gode degli stessi diritti e della stessa considerazione dei suoi colleghi maschi. Ingaggiata da un’inquieta e fin troppo protettiva madre di nobile famiglia (l’inconfondibile Valeria Golino), Marianne ha una missione precisa: realizzare il ritratto della figlia Héloïse (Adèle Haenel) che, a seguito del suicidio della sorella, è stata costretta a lasciare il convento per sposare l’uomo scelto dalla famiglia, un ricco milanese di cui non sapremo mai molto.
Come segno di protesta a un matrimonio combinato e ingiusto, Héloïse rifiuta di farsi ritrarre. La strategia di Marianne per portare a termine il lavoro è quindi quella di passare più tempo possibile con la giovane rampolla e di spacciarsi per una dama di compagnia, per poi trascorrere le notti a realizzare il ritratto, a memoria.
Un riscatto femminile non del tutto riuscito
Con questa ambiziosa e poetica pellicola, Céline Sciamma attraverso il linguaggio delle arti (la poesia, la musica e la pittura), mette in scena uno dei suoi temi più cari, narrando con sguardo delicato e attento il montare del sentimento e, soprattutto, della passione amorosa tra due donne. L’esercizio di Sciamma è sicuramente interessante, ma personalmente chi scrive si pone la domanda sull’utilità di un film che sembra più che altro destinato al compiacimento della sua regista.
La bellezza delle immagini e la cura dei dettagli lasciano ben presto il passo a un simbolismo invadente, mentre la volontà di riscattare la figura femminile del XVIII secolo appare troppo debole, in quanto le protagoniste del film non hanno alcun reale contatto con la società a cui appartengono. Probabilmente, il film sarebbe stato più sincero e vivace se la storia fosse stata ambientata nel pieno del conflitto sociale del tempo, in modo da ricreare lo scontro diretto tra la passione delle donne e il pregiudizio degli “altri”, tra la vita e la società.
Il mondo delle donne e la scoperta dell’amore in «Ritratto della giovane in fiamme»
A questo punto, viene da pensare che la dimensione surreale della trama è un sofisticata ma non del tutto chiara metafora che Sciamma porta avanti con convinzione, perdendo però in alcuni momenti il suo spettatore. La totale assenza di una controparte maschile e il piccolo villaggio abitato solo da donne in cui è ambientata la vicenda sono forse monito di una condizione femminile che è, appunto, emarginata dalla società in tutte le sue sfaccettature umane, sentimentali e intellettuali.
Le regole e le ingiustizie di un mondo iniquo e maschilista sono, quindi, lontane ma estremamente presenti, come degli spettri di cui le giovani non riescono a liberarsi. La forza della solidarietà e dei loro sentimenti le aiuterà letteralmente a spogliarsi dei fantasmi del passato e del futuro per esplorare il mistero più grande: l’amore e la scoperta della sessualità.
La donna artista
Senza nulla togliere alla qualità tecnica e narrativa del film, Sciamma associa alla scoperta della sessualità l’affascinante rapporto tra il pittore e la sua musa, ricrea lo scenario de L’atelier dell’artista di Gustave Courbet, riaccreditando la complessa figura della donna artista, immagine che forse avrebbe meritato uno sviluppo storico più accurato e approfondito.
«Ritratto della giovane in fiamme» è elegante ma freddo
Partito come un film che vuole parlare della libertà di amare e di essere se stesse, il Ritratto della giovane in fiamme diventa un freddo e fin troppo elegante esercizio di stile che quasi con sguardo snob e un pizzico di egoismo fatica a far trasparire la spontaneità e la genuinità delle due protagoniste.
Anche lui vincitore della Queer Palm al Festival di Cannes, il Ritratto della giovane in fiamme non ha la stessa forza e la stessa energia de La vita di Adele (2013) di Abdellatif Kechiche, un ritratto contemporaneo e per questo commovente alla scoperta delle emozioni di una generazione ancora tutta da scrivere e che senza nessuna presunzione aveva saputo raccontare la straordinaria scoperta del proprio corpo e del proprio posto nel mondo.
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