Del compianto Satoshi Kon, prematuramente scomparso a soli 46 anni, non ci rimane che un pugno di prodotti d’animazione incredibilmente visionari e attuali, fonte d’ispirazione per registi di fama internazionale ma poco noti al grande pubblico, complice una scarsa distribuzione.
Perfect Blue, il debutto cinematografico di Satoshi Kon del 1997, arriverà infatti per la prima volta nelle sale italiane il 22, 23, 24 aprile 2024 grazie alla Stagione degli Anime al Cinema, un progetto esclusivo di Nexo Digital distribuito in collaborazione con Yamato Video. Qui vi spieghiamo perché non potete perdere l’occasione di vederlo sul grande schermo, restaurato in 4K.
Perfect Blue è un thriller psicologico tratto dall’ominimo romanzo di Yoshikazu Takeuchi, scrittore e giornalista che si è a lungo dedicato alla cultura otaku. Il film, che oggi possiamo definire un cult, si assicurò il favore della critica al Fant’Asia del 1997 (Montreal), dove vinse il Public Prize, e trovò un ottimo riscontro nel pubblico giapponese al momento dell’uscita in sala. Sceneggiato da Sadayuki Murai e sviluppato sotto la supervisione del grande Katsuhiro Otomo, Perfect Blue nasce come live action ma le circostanze – il terremoto di Kobe del 1995 aveva reso inagibili gran parte delle strutture – lo costringono a trasformarsi in un film d’animazione per adulti.
È in questo involucro facilmente manipolabile che la narrazione ha potuto trovare la sua strada migliore.
Attenzione: l’articolo menziona il tema dello stupro.
La perdita dell’innocenza, da idol ad attrice
Perfect Blue è la storia di Mima Kirigoe (Junko Iwao), un’idol giapponese sul punto di cambiare carriera. Nonostante il discreto successo come cantante nel trio Cham, Mima è spinta dalla propria agenzia a puntare più in alto: non c’è più mercato per le idol, le dicono, bisogna che entri nel mondo del cinema. Reticente, Mima accetta il balzo nel vuoto. La dicotomia idol/attrice rappresenta un aspetto fondamentale nello storytelling e nella simbologia di Perfect Blue, oltre a fornire uno spaccato della cultura nipponica.
Le idol, infatti, sono cantanti e ballerine pop che rispettano i rigidi canoni di bellezza asiatici e che attirano, anche grazie alle loro caratteristiche estetiche, l’affetto dei fan e il successo. Oggi il fenomeno è piuttosto conosciuto, dato che gli idol e le idol, soprattutto coreani, hanno raggiunto notorietà a livello globale. In Perfect Blue, si scorge il lato oscuro nascosto dietro il luccichio di questo mondo patinato di rosa confetto, dall’ossessione dei fan – soprattutto uomini – per le idol, fino al marcio dell’industria, che sfrutta ragazze giovanissime finché non sono “da buttare”. Le idol devono, infatti, apparire sempre perfette, sprigionare purezza e innocenza.
Mima è pulita finché non sveste i panni della bambola di porcellana per lanciarsi nel cinema. La figura dell’attrice, contrariamente a quella dell’idol, è percepita come più matura, provocante e libertina, lontanissima dagli orecchiabili ritornelli j-pop, quindi “sporca“. La stessa Mima si fa fotografare nuda e accetta, sebbene non sia nelle sue corde, di girare una scena di violenza sessuale nella serie Doppio Legame in cui recita una piccola parte.
Nonostante non si tratti di un film con attori in carne e ossa, la sequenza dello stupro di Mima in Perfect Blue è molto forte. L’effetto disturbante è accentuato dal fatto che Satoshi Kon abitua lo spettatore a una narrazione che oscilla costantemente tra realtà e illusione: è davvero una scena di Doppio Legame o la protagonista sta subendo uno stupro (lei stessa, prima di girare, si ripete “dopotutto, non verrò stuprata realmente”)?
Se non so più distinguere la realtà dall’allucinazione
La peculiarità che ha contribuito a fare di Perfect Blue un cult è il labile confine tra ciò che è vero e ciò che è falso. In questo senso, il film getta le basi per il successivo Paprika (2006), che alterna sogno e realtà. L’incubo inizia quando Mima scopre l’esistenza di un sito web dove qualcuno trascrive con dovizia di particolari le sue giornate: dapprima inquietata, diventa in fretta – e a ragione – paranoica. Si rende conto che qualcuno potrebbe stalkerarla, qualcuno certamente la insegue. In più, degli strani omicidi coinvolgono le persone che lavorano con lei o che le sono vicine, non può essere un caso. Persino i suoi amati pesciolini muoiono inspiegabilmente.
Dalla traumatica scena dello stupro, il vortice allucinatorio esplode inghiottendo la protagonista, che rema contro corrente per ritrovare sé stessa. Il sogno si mescola alla realtà e addirittura ci viene dato un indizio che trasformerebbe Mima nella responsabile degli omicidi. Le battute di Doppio Legame si confondono coi pensieri di Mima e gli avvenimenti della sua vita si sovrappongono al girato della serie. Non sappiamo più in cosa credere. Intanto, Mima viene perseguitata da una sua sosia (o sono allucinazioni?), che qui simboleggia la verginità e l’innocenza perdute. È una versione di lei ancora vestita da idol, che la insulta e la svilisce mantenendo sulle labbra un sorriso tanto artificiale quanto perfetto.
Perfect Blue gioca con l’inflazionato tema del doppio, sfruttando il classico riflesso nello specchio oltre che la componente metacinematografica. Satoshi Kon ricombina in maniera geniale questi elementi, con un montaggio serrato che ci getta dentro alla psiche instabile di Mima. La paranoia e le allucinazioni sono i materiali con i quali la stessa struttura filmica viene costruita. Perfect Blue ha fatto scuola in questo campo, ispirando anche Darren Aronofsky per le riprese Requiem for a dream (una sequenza del film è letteralmente il live action di Perfect Blue).
Perché intitolarlo Perfect Blue?
Nel raccontare la storia di un singolo personaggio di finzione, Kon critica la società giapponese, ossessionata dalla perfezione a tutti i costi, e dà voce alle difficoltà degli adolescenti che faticano a restare a galla tra stereotipi irraggiungibili. Che effetto hanno sui giovanissimi gli standard utopici ai quali chiediamo loro di adeguarsi? La ricerca dell’eccellenza, sentita nella cultura giapponese più che in ogni altra, procura stress e danneggia la salute mentale. Mima quasi perde sé stessa a causa delle aspettative altrui: dei fan, dell’industria, della manager Rumi (Rica Matsumoto). Questi temi, cari a Satoshi Kon, vengono ripresi anche nei suoi film successivi come Millennium Actress (2001) e Tokyo Godfathers (2004).
Non va dimenticato che Perfect Blue è figlio degli anni ’90, un’epoca di profonda instabilità economico-politica e trasformazione sociale per il Giappone, con cambi di governo ravvicinati, una crisi finanziaria, diversi disastri naturali, molti crimini che spaventarono la popolazione (è il caso dell’assassino otaku, Tsutomu Miyazaki, che somiglia allo stalker del film di Satoshi Kon).
Il misterioso titolo Perfect Blue, tra l’altro, viene dal romanzo originale ma non è ripreso da nessun elemento filmico. Il titolo rimanda per contrasto all’instabilità assoluta. Si può facilmente immaginare che l’aggettivo “perfetto” si riferisca alla tanto agognata perfezione, mentre il colore blu simboleggia la pace, la purezza, la stabilità. Curiosamente, però, il blu rappresenta anche la malinconia e può essere legato al passaggio dall’infanzia alla piena maturità, quindi alla crescita di Mima.
“Sì, sono io quella vera!”, la spiegazione del finale di Perfect Blue
Ma come finisce Perfect Blue?
Nell’arco del film, l’identità della protagonista vacilla, va in frantumi e si ricompone, finalmente, quando affronta le sue insicurezze. Il tracollo mentale di Mima passa, come già detto, attraverso visioni allucinatorie che la portano alla disperazione. Il suo appartamento, inizialmente arredato come quello di una qualsiasi adolescente giapponese della Tokyo anni ’90 – peluche, cuscini a forma di cuore e riviste colorate -, si trasforma con lei, diventando sempre più caotico.
Un turbinio di eventi porta poi alla conclusione del dramma di Mima: prima, la ragazza combatte e uccide per autodifesa il suo stalker, un otaku che non sopportava che lei avesse lasciato le Cham e che curava l’inquietante sito web scoperto all’inizio del film; poi, lotta con il suo alter-ego idol, la misteriosa sosia che le continua ad apparirle come una visione. Lo scontro tra i palazzi di Tokyo è molto cruento. Capiamo qui che Mima non ha del tutto immaginato questa donna: si tratta proprio di Rumi, la sua manager, che si crede un’idol ed è impazzita quando la sua protetta ha accettato la carriera da attrice, perché rivedeva in lei sé stessa da giovane.
È stata lei a passare le informazioni all’otaku ossessionato da Mima, spingendolo a uccidere chiunque attentasse all’animo puro della ragazza. Rumi e Mima finiscono a terra, lacerate dalle ferite, ma vengono salvate da alcuni camionisti di passaggio. Nelle ultime scene di Perfect Blue, un flashforward ci porta in una casa di cura, dove Rumi è ricoverata. Pensa ancora di essere un’idol, imprigionata nel sogno di gloria che aveva da ragazza. Mima, ormai adulta, passa a trovarla, osservandola da lontano.
Prima molto passiva e confusa, ora cammina sicura di sé. Ha raggiunto la piena maturità e dispone di una rinnovata consapevolezza. Solo grazie al periodo traumatico che ha vissuto a causa di Rumi è riuscita ad arrivare fin qui. “È grazie a lei se sono riuscita a trovare me stessa“, dice al medico. L’intero Perfect Blue, quindi, si può leggere come un racconto di formazione, una metafora dell’adolescenza e della crisi identitaria che essa comporta. Nell’iconica scena conclusiva, finalmente, le incertezze sono risolte e Mima si rivolge allo spettatore rassicurandolo. “Sì, sono io quella vera!”
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