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Peter Von Kant, Ozon ribalta e edulcora Fassbinder

Peter Von Kant, Ozon ribalta ed edulcora Fassbinder

6 minuti di lettura

Dopo lo splendido Mon Crime – La colpevole sono io François Ozon torna nelle sale italiane dal 18 Maggio, a distanza di pochissimo tempo, con Peter Von Kant, adattamento de Le lacrime amare di Petra Von Kant, celebre film di Rainer Werner Fassbinder. Come facilmente intuibile dal titolo, il regista francese rilegge in chiave maschile il caposaldo del cinema tedesco, cosicché Petra diventi Peter, Marlene diventi Karl, e Karin, invece, Amir. 

Denis Ménochet guida un cast composto da Isabelle Adjani, Khalil Gharbia, Stefan Crepon e Hanna Schygulla, la Karin del film di Fassbinder, che in questo caso interpreta invece la madre di Peter. Consapevole che confrontarsi con la grandezza del regista tedesco sarebbe stato un clamoroso harakiri, Ozon, pur rimanendo estremamente fedele al soggetto, cerca di infondere la pellicola del proprio stile. Tuttavia Peter Von Kant finisce per essere un mélo che edulcora la profondità dell’originale, correndo contro il tempo e semplificandone eccessivamente le dinamiche. 

Peter Von Kant, molta sofferenza, poca empatia

Denis Menochet e Kalil Gharbia in Peter Von Kant

A differenza del film di Fassbinder, dove Petra è una ricca stilista di mezz’età, Peter è un regista, altrettanto ricco, che vive in un lussuoso appartamento a Colonia insieme a Karl, il suo assistente. L’uomo è appena uscito da un’importante storia d’amore e riusciamo immediatamente a comprendere quanto le sue frustrazioni si ripercuotano sulla figura di Karl. Il ragazzo però è profondamente innamorato di Peter, tanto da accettare di esserne succube, continuamente denigrato e sottomesso. 

Peter è un uomo fortemente convinto delle proprie ideologie, vanitoso, arrogante e contraddittorio. Quando l’amica e attrice Sidonie gli farà conoscere Amir, se ne innamorerà perdutamente, mandando in frantumi le proprie certezze e scivolando in un vortice che lo porterà sempre più a fondo. Come nella pièce di Fassbinder, Peter Von Kant mette al centro della propria narrazione la relazione tra Amir e Peter, ma soprattutto il passaggio di quest’ultimo da sfruttatore a sfruttato

L’amore incondizionato nei confronti del ragazzo diventa per Peter una vera e propria ossessione, l’unica ragione di vita e al tempo stesso la più grande sofferenza. Il desiderio e il bisogno narcisistico di possederlo, così come con Karl, si scontrano invece con quel gioco di potere in cui Peter aveva sempre avuto il coltello dalla parte del manico, ma per la prima volta si trova invece con una lama puntata al cuore. 

Il problema in cui incorre Peter Von Kant però – e quindi lo stesso Ozon – è il medesimo da cui nemmeno Le lacrime amare di Petra Von Kant era riuscito a sottrarsi: l’empatia con il protagonista. Provare compassione per Peter è letteralmente impossibile – così come lo era per Petra -, perché la sensazione è che quell’amore sia in realtà tremendamente superficiale. Oltretutto, in fin dei conti, quel dolore e quella solitudine a cui va incontro se le merita ampiamente, perché sono soltanto il contrappasso per la sua grettezza d’animo e la reiterata meschinità. 

Ozon e Fassbinder: umorismo e nichilismo

Denis Menochet in una scena del film

Se dal punto di vista formale Ozon modella la sceneggiatura intorno al proprio stile, è piuttosto innegabile che così facendo finisca per attenuare la tragicità insita nel film di Fassbinder. Da una parte infatti il suo Peter Von Kant accentua ancor di più – se possibile – la teatralità del soggetto, con tende che si chiudono come fossero sipari e transizioni al nero che ricordano appunto l’affievolirsi delle luci sul palco tra un atto e l’altro. Dall’altra invece carica di espressività l’interpretazione degli attori, laddove il regista tedesco preferiva invece andare in sottrazione.

Denis Ménochet fagocita il resto del cast con un’interpretazione ricca di sfaccettature, ma anche ai limiti del grottesco – proprio per la marcata espressività -, che conferisce al film un umorismo che poco si addice alla melodrammaticità e al nichilismo di Fassbinder, compromettendone in parte la morale. Oltretutto il regista francese compie in questo senso una sorta di ribaltamento

Se Fassbinder flirtava con l’umorismo soltanto nel finale, dove finalmente Marlene prendeva baracche e burattini abbandonando definitivamente Petra alla solitudine, Ozon è proprio sul finale che si lascia andare alla drammaticità. A poco serviranno però il fatto che riesca a traslare perfettamente quello sputo di Petra nei confronti di Karin, o un primo piano sulle lacrime di Peter di fronte alla luce di un proiettore – immagine fortemente ricorrente ultimamente. E se è vero che “ogni uomo uccide ciò che ama”, Ozon, nel tentativo di ridargli nuova vita, certamente non uccide Le lacrime amare di Petra Von Kant, ma trova in Fassbinder un ostacolo difficile da sormontare. Un omaggio sentito, di cui forse, però, non si sentiva il bisogno.


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Sono Filippo, ho 22 anni e la mia passione per il cinema inizia in tenera età, quando divorando le videocassette de Il Re Leone, Jurassic Park e Spider-Man 2, ho compreso quanto quelle immagini che scorrevano sullo schermo, sapessero scaldarmi il cuore, donandomi, in termini di emozioni, qualcosa che pensavo fosse irraggiungibile. Si dice che le prime volte siano indimenticabili. La mia al Festival di Venezia lo è stata sicuramente, perché è da quel momento che, finalmente, mi sento vivo.

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