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Piano sequenza, cos’è e come funziona

Storia dell'inquadratura più amata

8 minuti di lettura

Il piano sequenza è un particolare tipo di inquadratura che svolge da sola la funzione di scena o di sequenza: questo significa che all’interno di una stessa scena o sequenza non sono presenti stacchi di montaggio.

Il piano sequenza si differenzia dal long take, un altro tipo di inquadratura più lunga del normale, che tuttavia si avvale del montaggio per alternarsi ad altri piani nella costruzione della scena; mentre nel piano sequenza, che la camera sia fissa o in movimento, non abbiamo stacchi di montaggio, ma le immagini scorrono invece sotto gli occhi dello spettatore in modo fluido.

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Il piano sequenza secondo André Bazin

Tra i teorici del cinema, il più grande sostenitore dell’utilizzo del piano sequenza è il critico francese André Bazin, il quale conia lo stesso termine negli anni Cinquanta riflettendo proprio sull’opera di Orson Welles.

Per Bazin la vocazione ontologica del mezzo cinematografico è la riproduzione della realtà, perciò egli teorizza la necessità di un cinema che possa farsi carico di registrare il reale nella sua intrinseca ambiguità. Infatti, riflette Bazin, gli stacchi di montaggio sono operazioni atte a manipolare l’attenzione dello spettatore, focalizzandola di volta in volta su elementi precisi dell’inquadratura; in questo modo si rende evidente l’istanza narrante, la volontà creatrice dell’autore, e l’artificio proprio del mezzo si rivela in maniera esplicita.

Nella realtà, prosegue Bazin, non esiste un’entità organizzatrice che taglia e monta le immagini in modo da veicolare un qualche tipo di significato; ed è proprio questa ambiguità del reale, che non presenta un senso chiaro e facilmente individuabile, a poter essere colta e dal cinema tramite l’utilizzo di inquadrature lunghe.

Il pensiero di Bazin è stato introiettato dagli autori della Nouvelle Vague, che spesso hanno fatto uso di piani sequenza e long take. Di sequito un esempio di long take di quasi tre minuti tratto da Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard (1960), una delle pellicole francesi più famose del periodo.

La teoria di Bazin si contrappone a quella del montaggio intellettuale del teorico e regista Sergej Ėjzenštejn– in cui ogni inquadratura dev’essere pregna di senso e restituire significato tramite associazioni visive e mentali- e a quella del découpage classico, in cui gli stacchi e i raccordi servono a creare continuità mantenendo però una gerarchia nella composizione visiva.

Tuttavia, certamente, riguardo alla vocazione ontologica del cinema secondo Bazin si può obiettare che il medium è per sua stessa natura costituito da immagini selezionate e arbitrarie, e che dunque non potrà mai riprodurre perfettamente quell’ambiguità intrinseca al reale di cui parla il teorico francese. Difatti, spesso anche all’interno di un piano sequenza o di un long take, a meno che non si tratti di inquadrature a camera fissa, è presente un montaggio interno: ciò significa che l’autore decide, pur senza staccare, di muovere la camera focalizzando l’attenzione dello spettatore su un elemento piuttosto che sull’altro, e questo dimostra la volontà creatrice e organizzatrice che sta alla base della realizzazione di ogni film.

Piani sequenza in esempi celebri

Prima dell’avvento del digitale, girare un film interamente in piano sequenza era impossibile a causa della limitata lunghezza delle pellicole; ciononostante le potenzialità di questa tecnica sono state esplorate ugualmente dai più svariati autori.

Tra questi ricordiamo il sopracitato Orson Welles, che combina piano sequenza e profondità di campo (l’altra tecnica, secondo Bazin, in grado di portare il cinema verso un maggiore realismo mettendo a fuoco tutti gli elementi di un’inquadratura posti su diversi piani); così come Alfred Hitchcock con il suo Nodo alla gola (1948), costituito da dieci piani sequenza montati tra loro in modo da camuffare gli stacchi e dare l’impressione di un’unica, lunga inquadratura.

L’ingegnosa tecnica qui utilizzata da Hitchcock consiste nell’impallare l’immagine per un momento allo scopo di dare l’illusione di continuità: come vediamo al minuto 1:24, in cui uno degli attori si sposta davanti alla macchina da presa coprendone la visuale con la schiena in modo da non far percepire allo spettatore lo stacco.

La tecnica del finto piano sequenza ha preso piede anche nel cinema contemporaneo, e non necessità più di espedienti artigianali come quello appena visto. Grazie alle tecnologie odierne è possibile ora la cancellazione digitale degli stacchi, e la vediamo ad esempio in pellicole come Birdman di Alejandro González Iñárritu (2014), che appare interamente girato in continuità, così come in 1917 di Sam Mendes (2019).

Cionondimeno ci sono, ad oggi, anche film girati interamente in un unico piano sequenza: il primo di questi è Arca russa di Aleksandr Sokurov (2002), che ripercorre la storia della Russia in continuità per 99 minuti.

Difficoltà nell’utilizzo del piano sequenza

Abbiamo parlato dei vantaggi e delle potenzialità del piano sequenza, che riesce a creare una continuità e un’illusione di realtà, ma anche ad aumentare l’immersione nel mondo narrato tramite la coincidenza tra tempo della storia e tempo del racconto e un conseguente effetto visivo spettacolare. Ma quali sono i problemi che può comportare l’utilizzo di questa tecnica?

Girare in piano sequenza presenta maggiori difficoltà in quanto necessita di una coordinazione perfetta tra i componenti della troupe; se uno degli interpreti commette un errore durante la sua performance, si perdono minuti o anche ore intere di girato, e tutto ciò che era valido dev’essere rifatto. Per realizzare il sopracitato Arca russa, ad esempio, sono occorsi quattro tentativi.

Perciò girare in piano sequenza, sebbene si tratti di una scelta che difficilmente passa inosservata, può rivelarsi non sempre conveniente se questo rappresenta una mera esibizione di virtuosismo, mentre risultano efficaci i lavori dietro cui si cela una motivazione forte che lega forma e contenuto.


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