Dopo A Classic Horror Story, convincente film d’esordio co-diretto con Roberto De Feo, Paolo Strippoli ritorna stavolta da solo nel prediletto alveo del cinema horror con Piove, in uscita nelle sale italiane dal 10 novembre, prodotto da Propaganda Italia, Polifemo e GapBusters e distribuito da Fandango.
Basato sulla sceneggiatura vincitrice del premio Solinas 2017 di Jacopo Del Giudice, il film di Strippoli è uno dei titoli più chiacchierati della stagione, soprattutto dopo che la commissione ministeriale investita dal Ministero della Cultura ha considerato l’opera, con grande disappunto del regista e della produzione, vietata alla visione dei minori di 18 anni.
Quando l’orrore è anche in famiglia
Suddiviso in tre atti e ambientato a Roma, Piove ha come protagonista la famiglia Morel, composta dal padre Thomas (Fabrizio Rongione), dalla madre Cristina (Cristiana Dell’Anna), dal figlio Enrico (Francesco Gheghi) e dalla figlia Barbara (Aurora Menenti).
Dopo la morte di Cristina, vittima di un fatale incidente automobilistico che ha anche paralizzato Barbara e sfigurato in volto Enrico, i Morel cercano di trovare un nuovo, ma complicatissimo, equilibrio in casa. Ma l’immensa tragedia genera in Thomas ed Enrico forti rancori e sensi di colpa, destinati poi a deflagrare quando la capitale, colpita da un’epidemia che sembra risvegliare i sentimenti più repressi, diventa teatro di una violenza cieca e incontrollabile.
Se da un lato Piove punta ad acquisire un respiro più internazionale – sono evidenti le influenze del cinema socio-antropologico di Ari Aster, Robert Eggers e Jordan Peele -, dall’altro non vuole isolarsi dall’attuale settore cinematografico italiano. Vuole emergere. Per farlo, intende scavare negli abissi profondi di un’Italia rabbiosa e spaventata, sempre più sul punto di esplodere.
La melma che ricopre tutto
In Piove, Strippoli racconta con il giusto ritmo quest’esplosione sociale ed emotiva. Strizzando l’occhio anche al J-horror giapponese, fortunato sottogenere che punta non tanto a terrorizzare lo spettatore quanto a inquietarlo, il regista coratino trova una precisa quadra narrativa e stilistica; una poetica che vede nei turbamenti psicologici dei suoi personaggi un mezzo perfetto per raggiungere un brivido anticonvenzionale, che non cerca facili soluzioni.
È sicuramente tale percorso ad esaltare in Piove due aspetti spesso trascurati cinema horror: la scrittura, facilitata da una sceneggiatura vincente sotto tutti i punti di vista, e le interpretazioni. Sono in particolar modo le prove più che discrete di Rongione e Gheghi a rendere avvincente un legame padre-figlio che trasuda disperazione da tutti i pori, e che ben esemplifica un contesto socioculturale che alimenta l’indifferenza, l’apatia, la solitudine. Molto indovinate le soluzioni visive e le ambientazioni metropolitane, le quali delineano con efficacia gli spazi dentro cui si muove il vero mostro da cui fuggire: quella melma letale che non solo tracima dai tombini di Roma, ma che soprattutto si accumula nella psiche di tutti gli individui più fragili.
“Tu sei il vuoto”
Un ritratto agghiacciante dell’Italia di oggi
Al di là di un finale un tantino frettoloso, Piove conferma la possibilità di girare in Italia dei film horror ancora validi, appetibili per un mercato più vasto. Forte di una produzione italo-belga coraggiosa, il film di Strippoli si propone di tracciare una nuova strada per il cinema horror italiano, una direzione sì sospinta da suggestioni contemporanee, ma che non si paralizza in un’imitazione fine a se stessa. Ma non solo: riflettendo scientemente sugli effetti di un’epidemia di massa, riesce a raccontare con i più classici stilemi di un determinato genere uno spaccato profondo del Belpaese. Un’analisi in grado di spaventare molto più di un semplice jumpscare.
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