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Prima della pioggia: parole, volti e immagini di una violenza perpetua

Forza delle immagini e silenzi che sanno attrarre

10 minuti di lettura

È risaputo che la storia è destinata a ripetersi. Cambiano il contesto, i protagonisti, ma la violenza e la guerra si rinnovano. Come recita Fallout, la nota serie di videogiochi, “la guerra non cambia mai“, perché è attraverso di essa e delle sue vittime che lo spirito della Storia si rinnova.

Una concezione simile della Storia e della guerra la si trova in Prima della pioggia, film di debutto del regista macedone Milcho Manchesvki, nominato agli Oscar come miglior film straniero e vincitore nel 1994 del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia a ex aequo con il taiwanese Tsai Ming-liang e il suo Vive l’amour.

Incentrato sul conflitto albanese-macedone durante la Guerra dei Balcani, questo film si mostra ancora attuale nel modo di rappresentare conflitti e intolleranze fra popoli che, seppur in forma diversa, si insinuano in luoghi ed epoche differenti.

Prima della pioggia: la trama

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Prima della pioggia è suddiviso in tre episodi, diversi fra loro, ma che condividono elementi e personaggi ricorrenti: Parole, Volti e Immagini. Questa struttura a episodi che non si susseguono cronologicamente la si trova già in Mystery Train-Martedì notte a Memphis di Jim Jarmusch e Pulp Fiction di Quentin Tarantino.

I protagonisti di queste tre parti sono: il monaco ortodosso Kiril (Grégoire Colin), Aleksandar Kirkov (Rade Šerbedžija), fotoreporter macedone esule a Londra e vincitore del Pulitzer, e Zamira (Labina Mitevska), una ragazza albanese in fuga dalla famiglia di un uomo che molto probabilmente ha ucciso.

Le vite dei tre si intrecciano in un modo o nell’altro tra l’attuale Macedonia del Nord e l’Inghilterra. Entrambe sono due realtà molto diverse, ma collegate dall’intolleranza e dalla violenza che, seppur in forma diversa, si perpetuano incessantemente in un eterno ritorno mai uguale a se stesso. Ciò accade perché “il tempo non muore. Il cerchio non è rotondo“.

Un cerchio di violenza mai rotondo

È quest’ultima frase il trait d’union fra le tre parti di Prima della pioggia. Nell’intervista su La Lettura del 3 ottobre a cura di Cecilia Bressanelli, Milcho Manchevski ha motivato nel seguente modo l’uso della struttura tripartitica per questo film, che sarà la stessa impiegata in futuri lavori come Mothers (2010) e Willow (2019):

Il trittico è un approccio secolare alla narrazione, in particolare nella pittura religiosa medievale ma non solo. Inserire in un film tre storie allo stesso tempo differenti e simili offre, appunto, l’opportunità di porre in contrasto e a confronto gli elementi di ognuna. Diventano parte di un insieme più grande. Viste insieme si mettono a fuoco meglio. […] Il tre è un numero magico: offre un modo unico di raccontare una storia, di unificarla.

Tre episodi, dunque, differenti fra di loro ma che si richiamano gli uni con gli altri, perché le storie narrate sono parte della stessa grande Storia . A livello di struttura il film risulta essere circolare, in quanto inizia e finisce con la stessa scena di padre Kiril che raccoglie i pomodori dell’orto del monastero e viene richiamato da padre Marko (Josif Josifovski) per via dell’imminente pioggia.

Un motivo ricorrente in Prima della pioggia, inoltre, che rende i tre episodi fra loro collegati e la struttura del film circolare è la ripetizione della frase “il tempo non muore. Il cerchio non è rotondo“, ripetuta nel primo e nel terzo episodio da padre Marko, mentre nel secondo episodio si trova scritta su un muro di un edificio a Londra.

L’impossibilità di comunicare la violenza

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Manchevski, però, collega i tre episodi di Prima della pioggia presentando tre motivi differenti, che richiamano i titoli dei tre episodi: il primo è l’incomunicabilità, seguito dal dramma individuale e infine dalla morte, quest’ultimo parte fondamentale del progresso della Storia e della violenza.

Le parole a cui fa riferimento il titolo del primo episodio di Prima della pioggia si fanno silenzio, incapaci di esprimere la solitudine, il dramma e il dolore. Se nel primo episodio abbiamo Kiril che non comprende Zamira in quanto non parla l’albanese, nel secondo vi è Anne (Katrin Cartlidge) che riceve una telefonata in macedone (probabilmente di Kiril), mentre nel terzo è Anne stessa a chiamare a un ufficio postale macedone dove la centralinista non comprende il francese parlato dalla donna.

Quella del silenzio, accompagnata spesso dalla presenza di bambini che giocano sullo sfondo del primo e del terzo episodio, alimentano l’impossibilità di creare empatia nei confronti delle vittime della guerra, impossibilitate, anche per via della diversità linguistica, di comunicare la propria sofferenza.

Volti e immagini di una guerra senza fine

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Il silenzio, però, è ciò che permette una maggiore concentrazione per osservare quelli che sono i volti e le immagini di una guerra perpetua. È interessante, infatti, come i tre episodi di Prima della pioggia siano collegati tra loro attraverso le persone: da un lato Kiril e Zamira, che nel secondo episodio appaiono in una fotografia; dall’altro Anne e Hana (Silvija Stojanovska): due donne diverse, i cui nomi sono simili, a riprova del fatto che entrambe vivono gli stessi drammi interiori causati dalla violenza.

Attraverso i volti di Anne e Hana, ma anche le fotografie delle vittime della guerra, in particolare di Kiril e Zamira, Manchevski chiede agli spettatori di osservare una realtà di cui inconsapevolmente, a causa della nostra indifferenza, siamo complici. Per usare le parole di Aleksandar: “i nostri occhi cambiano” poiché ci accorgiamo “di aver ucciso qualcuno“.

Il regista vuole, pertanto, accrescere in noi la consapevolezza di “una guerra tutta uguale“, per la quale “la pace è l’eccezione, non la regola“, che una volta che giunge a noi “diventa ancora più civile“. È significativo il fatto che in ogni episodio di Prima della pioggia ci sia sempre la morte di un personaggio, che sia in Macedonia o in Inghilterra: proprio perché la violenza è ciò che fa da ponte a due realtà molto diverse tra loro, ma accomunate da una guerra che sembra non finire mai, anzi, che richiede sempre una vittima sacrificale per continuare nel tempo.

Prima della pioggia: il cerchio (non rotondo) della guerra

Prima della pioggia convince per la forza delle immagini e i silenzi che sa ritrarre. Milcho Manchevski lascia spazio a quelli che sono i volti di chi direttamente, o indirettamente, vive la guerra, perché anche chi ne resta fuori è a suo modo responsabile dell’intolleranza e della violenza provocate dalla guerra. Quest’ultima non finirà mai, continuerà a insinuarsi nel tempo, ma restano le immagini delle vittime, che chiedono di essere ricordate e compatite.

Cara Anne,
il tempo è bello, pioverà. Vorrei che tu fossi qui. Come va con tuo marito? Spero che sia felice con lui. Qui è tutto come prima, però i miei occhi sono cambiati, come cambiando filtro all’obiettivo. La settimana scorsa ti ho detto che ho ucciso. Avevo fatto amicizia con un miliziano, e mi ero lamentato con lui di non aver trovato niente di interessante. Mi disse: “non è un problema”. Prese un prigioniero dalla fila e gli sparò. “Ora l’hai trovato?”, mi chiese. L’avevo trovato: avevo preso posizione. La mia macchina fotografica aveva ucciso un uomo. Non ho mostrato queste foto a nessuno. Ora sono tue.
Con amore,
Aleksandar.


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Laurea magistrale in Lingue e Letterature Europee ed Extraeuropee presso l'Università degli Studi di Milano con tesi in letteratura tedesca e allievo dell'edizione 2021 del Master "Il lavoro editoriale" della Scuola del Libro.
Crede fortemente nel fatto che la letteratura debba non solo costruire ponti per raggiungere e unire le persone, permettendo di acquisire nuovi sguardi sulla realtà, ma anche aiutare ad avere consapevolezza della propria persona e della realtà che la circonda

1 Comment

  1. […] “Le mutate di cielo” le ho trovate invece nei libri dell’antropologo Ernesto de Martino (in particolare, le ho trovate nel libro La terra de rimorso che guarda caso a gennaio di quest’anno è stato di nuovo ripubblicato, per la sua attualità ancora oggi); stavo tornando indietro dall’Arneo, dopo la mia prima visita ai quei luoghi di taranta, di roghi di biciclette e di lotte contadine: “Alle mie spalle, appena oltre l’Arneo, il cielo è diventato nero, si sta avvicinando un temporale, avverto quasi l’elettricità dell’aria mentre i colori del mare e delle case continuano a luccicare decisi sotto la luce radente del sole, ancora non coperto. Il banco di nubi basso sull’Arneo mi fa venire in mente le “mutate di cielo” citate da Ernesto De Martino, il ricorrente miraggio per cui gli abitanti della costa vedevano a specchio nelle nuvole l’avvicinarsi della flotta turca. Il pericolo in arrivo anticipato dal suo riflesso nel cielo, salvare se stessi confidando nel miraggio.” Il racconto dell’Arneo è l’ultimo del libro, e proprio con il temporale in arrivo si chiude così il libro: “Cadono le prime gocce di pioggia”, un po’ come in quel film di Milcho Manchesvki, Prima della pioggia. […]

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