Imbarazzata e disprezzata, Priscilla Presley (Cailee Spaeny), fu la “sposa bambina” di Elvis (Jacob Elordi) e la regina sulle pagine di tutti i principali tabloid americani. Si erano conosciuti alla base militare americana dove i genitori di entrambi erano di stanza, quando lei aveva solo 14 anni. Fu poi promessa sposa a 22 e divenne madre a 23.
Priscilla di Sofia Coppola, prodotto e distribuito tra i tanti anche da MUBI e A24, non va giù pesante con le accuse e non indaga troppo sulla strana e tossica relazione con la star del rock ‘n roll. Al suo posto, preferisce raccontare la delicatezza di una tenera e immatura Priscilla, alle prese con una vita che venne sbattuta sulla pubblica piazza fin dalla tenera età. Forse è proprio per questo che alla Mostra del cinema di Venezia, dove è stato presentato in anteprima mondiale, il film non ha attecchito per niente tra critica e pubblico.
Priscilla, biopic alla Coppola
Lontano da Elvis, e da quella coppia che funzionava più sulle riviste che nel privato, Priscilla è una romantica narrazione di formazione che probabilmente solo i veri ammiratori di Sofia Coppola possono capire. Il personaggio femminile principale è analizzato e presentato con il solito candore e tatto umano che contraddistingue la filmografia della nostra. Dalla Marie Antoinette, sensuale e letteralmente spogliata di ogni sua innocenza, all’emancipazione come presa di coscienza delle Vergini suicide. Sofia Coppola da sempre, fin da quel Lost in Translation dove una giovane Scarlett Johansson sostiene sulle spalle una storia di incontri e attimi fugaci insieme a Bill Murray, scrive personaggi femminili carichi di sensibilità e tatto (sovra)umano.
Questo la rende senza dubbio una tra le autrici più innovative di Hollywood, da vent’anni a questa parte, sforna piccoli capolavori coraggiosi, tra eccentrica abilità alla regia e dedizione maniacale alle proprie produzioni. Le sue storie non sono mai scontate, neanche quando si tratta dei – ahinoi – dannati biopic, che spesso e volentieri non riescono a superare la prova del tempo, rimanendo semplici documentazioni di ciò che è stato. Segni a matita facili da cancellare, da dimenticare una volta passato il trend del momento.
Uscire dai canoni e dal concetto di biopic
Priscilla esce sicuramente da questo canone: Cailee Spaeny, chiamata a interpretare la protagonista, attrae come un magnete (d’altronde, così ha attratto Elvis al tempo). Si respira l’aria di Graceland, rappresentazione mitica di una terra sacra per ogni americano che si rispetti, spalancando le porte di quello che fino a poco tempo fa era un tempio (artistico e culturale) di Elvis e degli Stati Uniti d’America.
Ma, in fondo, è caratteristico di quella cultura pop di cui si è nutrito il mito statunitense, e di cui Priscilla si impregna facendolo suo, risucchiandolo per poi risputarlo in una forma sempre conosciuta ma nuova. E l’elemento di novità, ovviamente, sta in Priscilla, qui presentata sotto i riflettori rivendicativi e centrali che vogliono raccontare la sua storia, e non quella matrimoniale.
Sembra scontato, ma così non è. Tra i tanti che si sono prodigati a raccontare la sua vita, alla fine, non c’è stato nessuno che ha mai avuto l’interessa di raccontare una Priscilla indipendente; Coppola, sì. Almeno nelle premesse. Perché il film funziona subito, ma, nelle quasi due ore di durata del lungometraggio, si sgonfia piano a piano arrivando a quel finale incompiuto e frettoloso che non riesce ad accontentare.
Cosa non funziona in Priscilla?
Priscilla rappresenta nitidamente la ragazza “tutta casa e chiesa” in un erotismo che fin da subito si fa palpabile. Dagli occhi di Elvis, la prospettiva passa a una più scontata analisi di reportage sugli scandali – che circonderanno la dipendenza da psicofarmaci del cantante – e l’amore fin da subito litigioso tra i due. Ecco che, dunque, l’energia di fondo che il talento di Coppola riesce a trasmettere nel primo atto di Priscilla, lascia il posto a una banale fotografia storica degli eventi.
Al sacrificio della vita di una protagonista troppo chiacchierata negli anni, troppo scandalisticamente analizzata dai media, o forse – ma qui si va nel complottismo – dai retroscena che Coppola ha voluto tragicamente tagliare, il film ha aggiunto ben poco a quello che il pubblico conosce fin troppo bene. Rimane il fatto che la regista americana rappresenta sempre una voce indipendente ed emancipata nella scena internazionale. Con Priscilla non ha mostrato il meglio di sé, è vero. Ma l’energia messa nel riscattare e ritrarre una protagonista che va oltre ai soliti appellativi misogini della stampa è tutta da premiare. Non è un altro Blonde, per fortuna.
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