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Prisma serie tv

Prisma, luci e ombre dell’erede mancata di Skam Italia

Disponibile dal 21 settembre 2022 su Prime Video, Prisma è un caso unico in Italia in termini di rappresentatività, ma non è del tutto riuscita

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10 minuti di lettura

Siamo nel pieno di un’ondata seriale italiana che vuole raccontare l’adolescenza caratterizzata da professionisti più consapevoli delle dinamiche che coinvolgono le nuove generazioni e da narrazioni meno paternalistiche e distaccate e più rappresentative, inclusive e universalizzanti. I risultati non sono comunque eccelsi – Baby è tra i prodotti peggiori degli ultimi anni, di Zero si salva quasi solo la fotografia – ma qualcuno è riuscito a distinguersi, nel bene e nel male: stiamo parlando di Ludovico Bessegato.

Classe 1983, Bessegato ha esordito esattamente dieci anni fa come regista, per poi attraversare una fase da produttore e infine tornare nel 2018 dietro la macchina da presa, oltre che nella veste inedita di sceneggiatore, con Skam Italia, remake dell’omonima serie norvegese. L’enorme successo dello Skam nostrano è dipeso da molteplici fattori: l’identità italiana nonostante l’importazione, l’abilità registica, le buone interpretazioni e soprattutto la capacità di parlare ai giovani senza forzature. Non si tratta in ogni caso di un capolavoro, ma è svariate spanne sopra le serie citate poc’anzi, specie nella seconda stagione.

L’ultima fatica di Bessegato, che lo vede ideatore al fianco di Alice Urciolo e ancora al contempo regista, si chiama Prisma, è stata presentata attraverso alcune clip inedite al Giffoni Film Festival lo scorso luglio e poi in anteprima mondiale fuori concorso al Festival di Locarno nel mese successivo, ed è arrivata il 21 settembre su Prime Video. La serie si pone in continuità d’intenti con Skam Italia e racconta l’amore, il sesso e la scoperta di sé principalmente dalla prospettiva di due gemelli adolescenti, tanto simili quanto diversi tra loro.

Prisma è un caso quasi felice nel panorama seriale italiano

Prima Serie TV NPC Magazine
Mattia Carrano (Marco) e Caterina Forza (Nina) in una scena di Prisma

Come già fatto per Skam Italia, in Prisma Bessegato punta su un impianto narrativo in cui prevalgono sensazioni, sguardi e gesti sulle parole; torna inoltre la frammentarietà temporale, più come continuo altalenare tra presente e passato che sotto forma di ellissi e slice of life. Si riconferma la predilezione per la ricerca compositiva e fotografica, ma a rubare la scena è la voluminosa colonna sonora, selezionata con criterio e capace di accontentare ogni tipo di spettatore.

A differenza, ad esempio, di Baby, in cui i brani avevano alle spalle scelte frivolissime (con effetti talvolta grotteschi), qui si vanno davvero ad arricchire sequenze che non sarebbero così potenti senza le voci e le produzioni di Luigi Tenco, Sega Bodega, i Cigarettes After Sex, Andrea Laszlo De Simone e molti altri.

Altro punto a favore di Prisma è l’assoluta normalizzazione della disabilità: il personaggio di Carola, interpretato da Chiara Bordi, non viene fatto coincidere con la protesi che porta alla gamba; anzi, gli viene donata una tridimensionalità inedita. Il merito, a questo proposito, è anche di Sofia Righetti, attivista molto impegnata sul tema che ha fatto da story consultant. In una storia pubblicata su Instagram a ridosso dell’uscita della serie, ha scritto:

Ora che vedo la prima personaggia disabile sessualmente auto-determinata della storia delle serie tv italiane e il mio nome lì un po’ mi commuovo.

Lo stesso discorso vale per Nina (Caterina Forza), lesbica e vegetariana, e per Andrea (Mattia Carrano), bisessuale e transgender. Sembra, insomma, che ci sia un genuino interesse per la rappresentazione dei gruppi minoritari che non scade nei token character, ovvero personaggi inseriti solo per essere superficialmente inclusivi.

Prima Serie TV NPC Magazine
Mattia Carrano (Andrea) in una scena di Prisma

Eppure, qualcosa non va. A partire dal costante bisogno della narrazione del presente di appoggiarsi a flashback espositivi che, oltre a essere sintomo di pigrizia nella scrittura, rimandano a un passato piuttosto vicino in cui sono successi diversi eventi importanti, infragilendo una partenza in medias res che non sa lontanamente reggersi sulle sue gambe. Esordire dal principio e procedere per salti in avanti, come in Skam, sarebbe stata un’idea probabilmente migliore, anche se non avrebbe aggiunto alcun twist alla formula collaudata.

E nonostante l’impegno rappresentativo, sembra di essere solo meri testimoni dei comportamenti dei personaggi, tanto che alcuni punti di svolta della trama sono inaspettati perché non si riesce a decifrare la loro psicologia, a capire cosa provino realmente.

Anche il percorso di Andrea, che non si riconosce nel proprio genere, non possiede grande spessore ed è contornato da sotto trame che, oltre a occupare troppo tempo, non sono granché interessanti o scadono in cliché visti e rivisti, finendo per omologare su vari fronti un prodotto che vorrebbe essere diverso ai teen drama medi.

Considerato il contesto conservatore italiano, comunque, Prisma è una serie sufficiente. Anche gli interpreti fanno un buon lavoro, dal già citato Mattia Carrano, che riesce a impersonare con credibilità entrambi i gemelli, a Lorenzo Zurzolo (Daniele), adattissimo al ruolo affidatogli. Non mancano i momenti emozionanti, costruiti con una sensibilità e una delicatezza davvero ragguardevoli.

Attenzione: da questo punto in poi, l’articolo contiene spoiler!

Di narrazioni trans e omofobia: un’analisi della filosofia dietro Prisma

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Mattia Carrano (Andrea) e Caterina Forza (Nina) in una scena di Prisma

Prisma vuole dirci che l’amore va oltre le apparenze. Concetto assolutamente condivisibile, se non fosse per il fatto che negli ultimi anni abbia iniziato a subire una certa distorsione nell’ambiente LGBT, finendo per relazionarsi al discorso riguardante l’attrazione fisica verso le persone transgender da parte di persone omosessuali cisgender (che si identificano col genere assegnato loro alla nascita).

Il rapporto sessuale tra Andrea e Nina è legato alla sempre più persistente insinuazione che gli uomini gay possano essere attratti anche da corpi femminili e le donne lesbiche anche da corpi maschili: ciò significa, dunque, che Nina ha desiderato Andrea perché ha visto la proiezione astratta della donna che sente di essere. È un ragionamento non solo fallace, ma anche pericoloso. E se sembra un discorso puramente ideologico che rifugge da un’analisi critica dell’opera, si tenga a mente che anche questa è rappresentazione: quale messaggio passa nel vedere una ragazza lesbica fare sesso con una persona che è fisicamente a tutti gli effetti un uomo?

Nel caso del personaggio di Daniele, la narrazione è molto più coerente: trovatosi di fronte a un utente anonimo (sempre Andrea) con cui ha avuto grande piacere nel parlare e per cui ha sviluppato una cotta, capisce che forse non gli importa così tanto che sia un uomo o una donna. Fa parte del processo di scoperta di sé.

Nina, invece, non mette in dubbio neanche per un attimo la sua sessualità nel corso delle otto puntate e, per il discorso di cui sopra, sarebbe miope (se non malizioso) suggerire che la sua sia l’esperienza di una singola persona, senza legami con la più ampia realtà socio-politica in cui viviamo, perché è parecchio in linea con le istanze dell’attuale attivismo queer.

Chiariamoci: il percorso di Andrea, per quanto potesse essere più approfondito, è interessante, fa parte della realtà contemporanea e merita di essere raccontato. Il suo coming out è realmente toccante. Ma nel far risaltare una storia transgender non se ne può alimentare una alla stregua dell’omofobia.


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Classe 1999, pugliese fuorisede a Bologna per studiare al DAMS. Cose che amo: l’estetica neon di Refn, la discografia di Britney Spears e i dipinti di Munch. Cose che odio: il fatto che ci siano ancora persone nel mondo che non hanno visto Mean Girls.

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