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Jasmine Trinca in Profeti

Profeti, il film di Alessio Cremonini è ostaggio di se stesso

7 minuti di lettura

Disponibile nelle sale italiane a partire dal 26 gennaio grazie a Lucky Red, Profeti è il terzo lungometraggio da regista di Alessio Cremonini. Protagoniste della pellicola sono Jasmine Trinca e Isabella Nefar, nei panni rispettivamente di una giornalista italiana rapita in Siria da un gruppo armato e della moglie di uno dei mujahidin che ha attuato il rapimento.

Forte del successo di Sulla mia pelle – il film targato Netflix che racconta l’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi -, Cremonini torna al cinema con una pellicola dal piglio documentaristico, che porta sulle spalle il fardello delle grandi aspettative e procede adagio, gravato da quel peso.

Profeti, Cremonini torna in Medio Oriente

Sara in Profeti

Profeti racconta la storia di Sara, una giornalista italiana, inviata in Siria per un reportage sui conflitti interni tra le forze armate siriane e quelle del Califfato. Sappiamo pochissimo di lei, quando viene improvvisamente rapita, insieme alla sua troupe, da una delle cellule dell’Isis. Inizierà da quel momento una prigionia lunga centinaia di giorni, trascorsi, in un primo momento, in un avamposto diroccato, prima di essere trasferita all’interno di un campo di addestramento con Nur, la moglie di uno dei mujahidin che l’ha rapita, l’unica che, in quanto donna, avrebbe potuto frequentarla.

Anche Nur è una prigioniera – almeno secondo la percezione occidentale -, una prigioniera la cui detenzione si consuma tra le sbarre di un credo a noi incomprensibile: vive segregata tra quattro mura, mentre fuori imperversa la guerra. Ma per la giovane donna è invece un atto di fede estremo: la più totale sottomissione come mezzo per raggiungere la libertà

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Nel tentativo di convertire Sara alla propria causa, Nur svela le sue contraddizioni, ma il rapporto tra le due donne non lascia spazio all’introspezione, non ci permette mai di conoscere realmente chi abbiamo di fronte. Scorrono i minuti, e insieme a loro i giorni di prigionia, ma continuiamo a sapere troppo poco riguardo a Sara – e sarà così fino alla fine -, tanto che la figura con cui risulterà più facile empatizzare sarà, inaspettatamente, quella della carceriera, certamente carnefice, ma soprattutto vittima delle proprie ideologie.

Tra prigionia e religione

Sara e Nur in Profeti di Alessio Cremonini

Con Profeti Cremonini conferma la sua propensione verso un cinema di indagine – lo ha ammesso lui stesso – ma anche di denuncia, dove gli elementi comuni sono la prigionia – c’era in Sulla mia pelle e c’era metaforicamente anche in Border, dove la prigione era la Siria stessa – e le sue conseguenze sull’essere umano, ma anche l’approccio alla religione come rifugio nel momento in cui si perdono le proprie certezze, si teme per la propria vita o si è in punto di morte.

Sulla mia pelle raccontava uno Stefano Cucchi incarcerato, pestato dalle forze dell’ordine e portato successivamente in ospedale, senza che i familiari avessero la possibilità di vederlo o conoscere le sue condizioni di salute. Raccontava di un uomo abbandonato a sé stesso, che ormai esanime cercava un conforto nella religione, e che sentendosi domandare se fosse credente, preferiva definirsi sperante. Come tutti, in fondo.

Profeti racconta invece il rapporto tra una donna fermamente atea, convinta che il male che affligge le nostre vite sia la prova inconfutabile che Dio non esista, e una talmente convinta del contrario da affidargli la sua stessa vita. È proprio nel contrasto tra due figure femminili antitetiche che Profeti trova il suo fulcro. 

“Io non ho un Dio”

“Come puoi dirlo con tanta sicurezza?”

Lo sforzo per cercare di colmare la distanza lo farà Sara, che cercherà di approcciarsi all’Islamismo non tanto per questioni di fede, quanto per la speranza che la sua conversione possa infrangere le sbarre della sua prigionia.

Profeti rimane in superficie

Sara e Nur in Profeti

Profeti procede adagio, a piccoli passi. Cremonini dimostra ancora una volta una grande sicurezza dietro la macchina da presa, ma è la storia a procedere a rilento, figlia di una scrittura che, troppo spesso, relega al non detto e ai piccoli gesti quotidiani l’evoluzione del rapporto tra Sara e Nur, troppo statico per essere l’elemento cardine attorno al quale il film ruota.

Piuttosto che scavare nei personaggi, la scelta sembra quella di affidare all’eccessivo didascalismo dei dialoghi il compito di delineare i tratti del rapporto tra Occidente e Islam, spesso conflittuale a causa di preconcetti e barriere culturali, invece di quello tra le due donne, che rimane troppo superficiale, privando quindi la storia di una maggiore quanto necessaria profondità.

Profeti vuole essere anche, soprattutto, una denuncia nei confronti della condizione della donna. Non è un caso che la sequenza iniziale veda una guerriera curda rivendicare l’oppressione femminile in Medio Oriente, affermando con decisione che sono proprio le donne il principale nemico dell’Isis, in quanto le uniche in grado di estirpare questa mentalità retrograda. Sul finale si fa spazio però un assunto lampante: non c’è spazio per la speranza. Perché se il cinema concede spesso la possibilità di evadere, in Profeti la prigionia sembra invece essere eterna.


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Sono Filippo, ho 22 anni e la mia passione per il cinema inizia in tenera età, quando divorando le videocassette de Il Re Leone, Jurassic Park e Spider-Man 2, ho compreso quanto quelle immagini che scorrevano sullo schermo, sapessero scaldarmi il cuore, donandomi, in termini di emozioni, qualcosa che pensavo fosse irraggiungibile. Si dice che le prime volte siano indimenticabili. La mia al Festival di Venezia lo è stata sicuramente, perché è da quel momento che, finalmente, mi sento vivo.

2 Comments

  1. Il film profeti è stato molto crudo, a momenti pesante. Vedere x 1.30m una realtà che a noi europei nn appartiene, diventa pesante da seguire, tanto che nell’ultimo pezzo a forza di sentire sparare nn ho voluto più seguire, ho chiuso gli occhi, e nn so com’è finito. Li ho riaperti alla fine quando ho sentito Sara ansimare, ed il film terminava. Nn ho capito se poi è morta o è morta nur mi piacerebbe saperlo x dare un senso concreto a tutto il film. Altrimenti mi sembra di aver assistito hai filmati e i racconti del telegiornale!

    • Ciao Maria Cristina, grazie per il commento. Sul finale è Nur a morire, colpita dalle macerie dell’abitazione. Sara invece viene presa con sé dall’esercito iracheno, e quindi nuovamente prigioniera, non sapendo loro che fosse una reporter tenuta in ostaggio.

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