Ci sono film che cambiano la storia, e Psyco è senza ombra di dubbio uno di questi.
Diretto dal regista britannico Alfred Hitchcock e uscito nelle sale di tutto il mondo nel 1960, Psyco è un’opera paradigmatica capace di scardinare profondamente ogni regola del cinema classico. Ma, soprattutto, apre la strada a moltissimi film con protagonisti serial killer tanto efferati quanto iconici, su cui sembrerebbe fondarsi l’inconscio di un’intera società.
Psyco, sai davvero di che cosa parla?
Marion Crane (Janet Leigh), una giovane segretaria di un’agenzia immobiliare, si ritrova tra le mani una valigetta contenente 40.000 dollari. Invece di andare a depositarli in banca come le era stato ordinato dal suo capo, la donna comincia un viaggio solitario in macchina, indecisa se portare a termine il compito o fuggire con la ragguardevole somma di denaro. Durante una notte piovosa, Marion s’imbatte nel Bates Motel, gestito dal giovane Norman (Antony Perkins) e dalla misteriosa madre di quest’ultimo, allettata nella villa che sorge sinistramente alle spalle della struttura. Norman resta subito affascinato da Marion, al contrario della madre che, sempre invisibile allo spettatore, vorrebbe stroncare sul nascere qualsiasi contatto tra i due.
Passano intanto i giorni. A non molti chilometri di distanza, Lila Crane (Vera Miles) denuncia la scomparsa della sorella, di certo non avvezza a sparizioni così prolungate. Ad aiutarla sono Sam (John Gavin), l’amante di Marion, e l’abile detective Arbogast (Martin Balsam); è quest’ultimo a individuare una traccia che porta proprio al Bates Motel, facendo ricadere ben più di un sospetto sull’eventuale coinvolgimento di Norman sulla scomparsa di Marion. Comincia così, in un susseguirsi di scene magistrali e ricche di suspense, una serrata indagine sulla tragica storia della famiglia Bates. Fino al gran finale, con uno dei colpi di scena più spaventosi e chiacchierati della storia della Settima Arte.
Psyco, una perfetta operazione di marketing cinematografico
Basato sull’omonimo romanzo di Robert Bloch, liberamente ispirato ai terribili delitti commessi dal serial killer Ed Gein, Psyco fu un incredibile successo di pubblico. Con un budget di poco più di 800.000 dollari, il film riuscì a incassare l’enorme cifre di 32 milioni di dollari in madrepatria, rivelandosi uno dei titoli più remunerativi del 1960.
Non suscitò però una reazione totalmente positiva nella critica; sebbene abbia ricevuto 4 nomination agli oscar – compreso quella per la miglior regia allo stesso Hitchcock -, Psyco fu severamente attaccato per la sua violenza, peraltro mai davvero esplicita. Una delusione piuttosto amara per il maestro britannico, che riuscì però a consolarsi con un successo commerciale a dir poco sfolgorante.
Perché il capolavoro di Hitchcock non solo ha cambiato tante cose nella storia del cinema, ma ha anche cambiato il modo di far parlare di un film; si pensi ad esempio alla fase produttiva di Psyco, quando una ragionata campagna di stampa fece circolare la voce della celeberrima scena della doccia, dove violenza ed erotismo si mescolavano in maniera assolutamente scioccante.
Per quanto riguarda la fase più squisitamente distributiva del film, non si può non menzionare una delle più geniali scelte di marketing di sempre: proibire agli spettatori di entrare in sala a film cominciato. Quella del maestro del brivido è dunque una lungimirante rivoluzione copernicana. Una coltellata salvifica nel cuore di un sistema sempre più attento a una spettacolarizzazione tout-court.
Genesi di una scena da antologia
Nel 1960 – la Storia l’ha ampiamente dimostrato – non ci fu affatto un clamore vacuo attorno alla produzione del film. Basti pensare alla suddetta scena della doccia, quando la superstar Janet Leigh fu costretta a girare mezza nuda per quasi una settimana sul set.
L’idea di una sezione del film particolarmente erotica e violenta aveva fatto impazzire la stampa di tutta Hollywood: paparazzi e giornalisti avrebbero giocato carte false per entrare nel teatro degli orrori di Hitchcock e saperne di più sullo scandalo in atto. I guardiani degli studios se la cavarono però alla grande e tennero all’oscuro tutto, con grande gioia del maestro britannico. Psyco poteva già contare su una pubblicità efficacissima, e forse era destino che questa provenisse in larga parte dalla sua scena più rappresentativa.
Inutile sottolineare la difficoltà di girare una scena del genere: oltre alla settimana di riprese e all’incredibile sforzo di tutta la troupe, è obbligatorio soffermarsi sulle impressioni che suscita ancora oggi questo minuto scarso di film. Il corpo di Janet Leigh non si vede mai per intero, e le coltellate inferte sul suo corpo sono reiterate da un susseguirsi furibondo di brevissimi short cuts. Le impressioni di questa scena magistralmente diretta e montata sono intensissime, del tutto capaci di suscistare uno shock profondo che, all’epoca, scandalizzò non poco il pubblico. A grandi onori seguirono grandi accuse: a causa di tale scena Hitchcock fu anche accusato – non per la prima volta nella sua carriera – di misoginia.
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Il trionfo sonoro, il minimalismo indovinato di Bernard Hermann
Se da un punto di vista visivo in Psyco domina un bianco e nero molto espressivo, con una gamma di grigi molto sostanziosa, da un punto di vista sonoro vige un minimalismo assai caratteristico, che ben riflette l’operazione di sottrazione su più livelli voluta dallo stesso Hitchcock.
Dopo film dal budget piuttosto elevato – due su tutti: i dispendiosi Intrigo internazionale e Vertigo -, Psyco è infatti un ritorno voluto a progetti più contenuti, dai costi quasi televisivi. Pertanto, il lavoro del compositore statunitense Bernard Hermann fu veramente decisivo: attraverso una puntuale scarnificazione delle sonorità più tipiche delle produzioni hollywoodiane, Hermann optò per un suono graffiante e stridente, caratterizzato dal solo utilizzo degli archi.
La melodia pensata dal compositore è ormai super conosciuta da cinefili e non; la ritmica centrale, composta da sole tre note, veicola in modo martellante un’angoscia che si fa sempre più profonda, senza la quale Psyco perderebbe molta della sua forza orrorifica. Inoltre, tutto il sonoro acquista un ruolo di centralità: non operando in molto silenzioso o quasi subliminale, le partiture ideate da Hermann – con la stretta supervisione di Hitchcock – prorompono platealmente nella scena valorizzando i suoni della realtà filmata. Un contributo fondamentale, dunque. Una pennellata sonora del leggendario compositore pressoché perfetta per un mosaico ricchissimo, che a distanza di più di sessant’anni non ha perso un briciolo della sua potenza narrativa.
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