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«Quei bravi ragazzi», ascesa e declino dei gangster

5 minuti di lettura

Il sondaggio della settimana presenziava su Martin Scorsese, che inaugura gli anni ’90 con un gangster-movie destinato a segnare un’epoca: Quei bravi ragazzi (Goodfellas). Tratto dal romanzo Il delitto paga bene di Nicholas Pileggi, co-sceneggiatore del film, ispirato alla vicenda reale del pentito Henry Hill, la pellicola si inserisce di diritto tra i migliori film di tema criminale.

Quei bravi ragazzi

L’indagine sulle radici criminali della periferia newyorkese è tema caro al regista, di cui si può tracciare un fil rouge che parte da Mean Streets (1973), passa per i Goodfellas (1990) e Casino (1995), i quali compongono la trilogia della mafia. Riprenderà poi negli anni ’00 con The Departed (2006), dal formato un po’ diverso, per arrivare alla summa conclusiva recente, The Irishman (2019).

Quei bravi ragazzi, nominato per 6 statuette ai premi Oscar del ’91, vincerà solamente la categoria Miglior attore non protagonista con Joe Pesci, con un’interpretazione stratosferica.

Vale dunque la pena seguire la storia di Quei bravi ragazzi.

«Quei bravi ragazzi», la trama

Quei bravi ragazzi

Brownsville, quartiere malfamato di Brooklyn. Henry Hill (Ray Liotta) già in giovane età si inserisce nella mafia newyorkese insieme a Jimmy Conway (Robert De Niro) e Tommy De Vito (Joe Pesci). Conosce così le regole e le leggi che governano la micro-società criminale. L’omicidio e la violenza sono cardini necessari. Nonostante la fama ed i traffici illeciti, anche Karen (Lorraine Bracco), la moglie di Henry, rimane affascinata e si inserisce nell’ingranaggio.

Il ricordo dei tempi d’oro

Quei bravi ragazzi

La voce fuori campo di Henry Hill, inframezzata da quella di sua moglie Karen, conduce lo spettatore nella galleria dei ricordi. Fin da adolescente, Henry desiderava fare il Gangster. Un riconoscimento sociale che passava per gesti sempre più efferati ed estremi. Ma lo stato parallelo instaurato nel quartiere portava tutte le stigmate di uno stato sociale. Tassazione sui locali, assistenza sociale e sindacale, anche legale all’occorrenza, merci distribuite alla popolazione, sicurezza e rispetto.

Martin Scorsese, con il proprio pennello, disegna un quadro che, se a volte potrebbe sembrare elegiaco, in realtà non lesina di mostrare ogni sfaccettatura, anche la più cruda e malvagia. Il regista, sfuggito a quel mondo dalla propria passione per il cinema, conosce le meccaniche dell’azione, e per questo le scene si caratterizzano da un grande respiro naturale.

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Il fascino che questa società esercita colpisce anche una ricca borghese ebraica come Karen, che sente indigesto il mondo da cui proviene, ed accoglie a braccia aperte una realtà attraente, seppur brutale. Tornare poi ad una realtà quotidiana e legale sembra l’atrofizzazione di un’energia vitale che, sebbene mal direzionata, pure muove la galassia. E lascia cadere, come bossoli appena esplosi, i ricordi di un tempo memorabile, ma concluso.

Un film iconico

Quei bravi ragazzi

I personaggi secondari, come nelle migliori tragedie shakespeariane, sono i più degni di nota e indimenticabili. Tommy De Vito, che consente a Joe Pesci di aggiudicarsi l’Oscar, è una sorta di animale brutale e primitivo, mammone, legato alle tradizioni, violento e audace, istintivo ma amico. Le scene che lo vedono protagonista rimangono negli annali dei film di genere. Jimmy Conway invece è interpretato da Robert De Niro, estremamente a suo agio in questo tipo di ruoli. Razionale e calcolatore, indagatore dell’animo altrui, psicologo per necessità di sopravvivenza, capace di gioire per i successi altrui, capace di voltare le spalle anche al suo più caro amico.

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Martin Scorsese riesce invece ad esibire tutte le sue migliori qualità di regista, nato nel movimento della New Hollywood. L’utilizzo della camera è spesso vertiginoso, focalizzandosi su dettagli scenici e parti corporali.
La colonna sonora è piena di pezzi classici della storia rock americana, ma non si può dimenticare Il cielo in una stanza, cantata in un locale mafioso, con riferimento alle proprie origini italiane.

Chiunque si imbatta nel film, trova le linee direzionali di tutti i prodotti che hanno cercato poi di emularlo. Ma nessuno è più riuscito a catturare l’essenza del mondo dei Goodfellas, “Quei bravi ragazzi che non esistono più.


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Amo le storie. Che siano una partita di calcio, un romanzo, un film o la biografia di qualcuno. Mi piace seguire il lento dispiegarsi di una trama, che sia imprevedibile; le memorie di una vita, o di un giorno. Preferisco il passato al presente, il bianco e nero al colore, ma non disdegno il Technicolor. Bulimico di generi cinematografici, purché pongano domande e dubbi nello spettatore.

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