Uno dei film in concorso per il Leone D’Oro porta la firma di Valentyn Vasyanovych. Già presente alla 76esima edizione del Festival con Atlantis, il regista ucraino torna a raccontare la sua terra in Vidblysk (Reflection). Un film che arriva nelle sale di Venezia 78 negli ultimi giorni, discostandosi in chiave stilistica da tutte le pellicole precedenti e con una decisa e, a tratti invadente, carica autoriale. Nel suo ultimo lavoro, Vasyanovych intesse una storia familiare con la drammatica guerra russo-ucraina del 2014, un conflitto nato a causa della dichiarazione d’indipendenza della Repubblica Popolare di Doneck, che, con la Repubblica Popolare di Lugansk, diede origine alla Federazione della Nuova Russia.
Il nuovo Stato autocostituitosi non venne riconosciuto dall’Ucraina, poiché percepito come covo di uomini armati affiliati alla Federazione Russa. Le due regioni ucraine, infatti, furono occupate militarmente, diventando zona proibitiva per i cittadini dello Stato libero. Il regista, dunque, sceglie di partire da questa critica vicenda storica per raccontare il suo protagonista, il chirurgo Serhiy, che viene catturato dalle forze armate russe per aver oltrepassato il confine durante un intervento medico sul fronte ucraino. Siamo dunque nel pieno del conflitto in Ucraina orientale, tra le cui ceneri cerca di affiorare la storia di un padre e una figlia, uniti da un amico perduto.
Reflection arriva nelle sale da giovedì 17 marzo, distribuito da Wanted Cinema. Qui l’elenco, in continuo aggiornamento, delle sale aderenti
Tutto ebbe inizio con un piccione alla finestra
Quel padre che Vasyanovych mette in scena in Reflection è una sorta di trasposizione autobiografica. Il regista, infatti, ricalca sulla coppia padre-figlia la sua figura paterna, partendo da un episodio inusuale con protagonista un piccione schiantatosi sulla finestra di casa sua. La sagoma di quest’ultimo, di una bellezza conturbante e funerea che ha incuriosito la figlia, ha anche ispirato la scena centrale della pellicola. È infatti lo stesso episodio, riportato sullo schermo, che avvicina Serhiy e Polina, dopo il drammatico ritorno del padre da un periodo di prigionia. Tuttavia c’è un fantasma nel loro rapporto, un uomo di cui Serhiy non vuole raccontare tutta la verità.
Si tratta di Andriy, nuovo compagno della ex moglie e soldato, scomparso misteriosamente in guerra. Il protagonista e lo spettatore conoscono sin da subito la verità, ma la tengono nascosta a tutta la restante cornice di personaggi fino alla fine del film. Andriy rimane quindi una figura costantemente evocata, ma assente, nelle conversazioni tra padre e figlia. Quell’inconsueto piccione alla finestra diventa quindi un primo passo per riallacciare il loro rapporto nonostante la tragica scomparsa. Ed è suggestivo che l’alone del cadavere, rimasto impresso sul vetro, una volta pulito da Serhiy, lasci spazio alla sagoma di un fantasma.
Due realtà che si riflettono tra le macerie della guerra
Mettendo in relazione l’agiata vita quotidiana nella capitale e la realtà mortale della guerra, si crea un contesto molto intenso per questa storia sulle paure dei bambini e il loro primo incontro con la morte, e si evidenzia l’impotenza degli adulti. È una storia sulla presa di coscienza di un bambino del fatto che la vita è limitata.
Queste le parole che Vasyanovych usa per raccontare Reflection, proiezione di una torbida e crepuscolare guerra che si contrappone al candore dei giochi sulla neve e al torpore dell’appartamento domestico di Serhiy. Perché gli spazi e i loro cromatismi sono veicoli essenziali per trasmettere un binomio di contrapposizioni. Lo stesso accade con l’alternanza tra la cruda violenza dell’ambiente militare e lo squarcio acustico delle mine che esplodono, rispetto al silenzio e l’apatia che accompagnano la vita borghese.
Quest’ultima è portavoce di un’incomunicabilità irrisolta. Serhiy, infatti, non riesce a parlare con la figlia di Andriy, nonostante sia un nome fisso tra i discorsi della ragazza. Al tempo stesso, tra le pareti domestiche non affiora mai la guerra come tema, lasciando che Polina rimanga nella sua gabbia di bambagia non conoscendo la verità. Ed è per questo che l’incontro con la morte, attraverso lo schianto del piccione sul vetro, è per lei il momento in cui si specchia con la violenza, la crudezza e la natura spietata del mondo.
Reflection: dove l’autorialità non tocca il cuore
Reflection è una prova registica impegnativa, dove Vasyanovych adotta una precisa direzione stilistica. Le sue inquadrature, fisse e a campo lungo, lasciano che i personaggi si muovano sulla scena, come se si trattasse di una performance. Un effetto che concentra lo sguardo e lo incanala in una precisa cornice estetica, a tratti documentaristica e quasi totalmente fondata sull’effetto visivo. Certosino e minuzioso come sempre, questo sovrasta il dialogo, che si riduce a poche battute essenziali. Il tutto appare quindi comprensibile allo spettatore, che però fatica a seguire il percorso autoriale del regista.
Non si tratta di un fattore stilistico, quanto di un trasporto emotivo. Vasyanovych, infatti, rende il rapporto d’amore paterno il perno attorno cui costruire la scoperta della natura chiaroscurale del mondo da parte di Polina. Tuttavia i due protagonisti rimangono due pedine su un bellissimo sfondo che non raggiunge il coinvolgimento empatico dello spettatore. Il tocco appare quindi freddo e la guerra nella sua veste più cruda rischia di diventare un pretesto narrativo. Da un punto di vista estetico, però, Vasyanovych tiene alto il suo vessillo.
Seguici su Instagram, Tik Tok, Facebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!