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Rodeo di Lola Quivoron è il nostro nuovo manifesto femminista

8 minuti di lettura

Dal 6 luglio in sala grazie a I Wonder Pictures, Rodeo è l’inebriante esordio alla regia della francese Lola Quivoron. Con lei, il pubblico si avventura alla scoperta della sottocultura dei motociclisti che vivono nella banlieu parigina, già indagata in Dreaming of Baltimore (Lola Quivoron, 2016). Nei quartieri di periferia, ingrigiti e stanchi, lo street racing è identità culturale.

Si tratta di una pratica codificata: il motociclista è maschio, gareggia di notte, si immerge in evoluzioni acrobatiche ad alto rischio, vive in branco coi suoi fratelli d’anima. Le donne sono implicitamente bandite. Possono, al massimo, sedersi dietro al pilota o restare a piedi, a fare comunella nei pressi delle piste clandestine. Ma l’adrenalina si declina solo al femminile: la protagonista ribelle di Rodeo non poteva che essere una ragazza.

Julie Ledru interpreta Julia, giovane patita di street racing che cerca di farsi accettare in un mondo di uomini. Vuole imparare ad andare in moto come gli altri e, pur essendo una lupa solitaria, avrebbe bisogno di un gruppo di cui sentirsi parte.

Julia è tutto ciò che una donna non dovrebbe essere: ha ucciso l’angelo del focolare e l’ha gettato sull’asfalto rovente sotto le ruote di una motocicletta, determinata a raggiungere il suo obiettivo. Per questo gli esponenti del sesso opposto la guardano storto. Per questo, e perché lei li deruba senza sforzo, non solo di beni materiali ma, ancor peggio, della loro virilità. Infatti, mentre qualcuno la rivolge sguardi incuriositi, altri non accettano che una ragazza possa eguagliarli o addirittura superarli.

Da Julia Ducournau a Lola Quivoron, storie di outsider femministe

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Lola Quivoron scrive una sceneggiatura senza fronzoli. Conosce l’universo motociclistico estremo e clandestino della banlieu, sa come filmarlo (la camera a mano vi farà venire mal di testa nei primi minuti, ma non riuscirà a chiudere in un frame quel fiume in piena che è Julia) e sa come raccontarlo. Da amante e studiosa del cinema degli outsider – da Gioventù Bruciata a Taxi Driver (che riguarda almeno una volta l’anno) -, Quivoron non poteva che girare un film come questo.

Qualcuno ha paragonato Rodeo a Titane di Julia Ducournau: ritroviamo anche qui una donna ai margini in cerca della propria identità, una ribelle che ha un rapporto stretto coi motori e le macchine. È probabile che il recente lavoro di Julia Ducournau abbia avuto un qualche impatto sulla collega Lola Quivoron, ma quest’ultima è riuscita, con un film ugualmente crudo, a trasmettere emozioni intense senza ricorrere ai picchi di sensazionalismo di cui si potrebbe tacciare Titane. Rodeo è un progetto più rudimentale (resta un’opera prima) e potrebbe affondare di più nell’interiorità di alcuni personaggi, ma si aggrappa alla sua essenzialità centrando l’obiettivo.

Se Ducournau rivoluzionava il cinema francese con una pellicola che faceva di Manifesto cyborg (Donna Haraway, 1985) la propria bandiera, stralciando il femminismo tradizionale in favore del superamento del binarismo di genere per raggiungere la figura ibrida del cyborg, Quivoron compie un’operazione ben diversa. In Rodeo, il femminismo va a braccetto con l’esoterismo: è la rivalsa della donna strega, perseguitata perché non conforme alla norma, ma dotata di una mistica spiritualità.

Julia, la protagonista di Rodeo

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Non è un caso che Lola Quivoron (anche sceneggiatrice) costruisca per Julia un personaggio privo di cattiveria. Julia non conosce l’odio, ruba solo per necessità (in questo caso, anche avere una moto è un bisogno: senza, come potrebbe costruire la sua identità?), aiuta chi ne ha bisogno. Per di più, è fortemente empatica e dimostra una sensibilità oltre la media. Eppure, disturba i co-protagonisti e, forse, qualche spettatore. La chiamano strega, mostro. Perché?

Discostarsi dalla tipica rappresentazione femminile è la sua colpa. Julia è vendicativa e dura con chi le manca di rispetto, arriva alle mani con chi la vuole fregare. Quivoron sembra mettere in chiaro fin da subito la natura del personaggio: ce la mostra sveglia, violenta, chiassosa, maleducata, sporca. Insomma, Julia è mille aggettivi e nessuno di essi è convenzionalmente associato al sesso femminile.

Rodeo, Julie Ledru è la strega che distrugge l’angelo del focolare

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L’analogia tra Julia e la figura della strega non resta confinata agli insulti che i suoi antagonisti le rivolgono. Viene riproposta nella capacità della ragazza incontrare sotto forma di visione i defunti coi quali ha avuto una connessione forte in vita, così come nella ritualità di una smudging ceremony – una pratica esoterica, originaria della cultura indigena nordamericana, che prevede l’accensione di salvia bianca per alleviare il dolore mentale o fisico e purificare spazi e individui.

La simbologia del fuoco è però il vero ponte tra Julia e quella dimensione spirituale invisibile agli altri. La sequenza in cui lei si scatena intorno a un falò sulle note di Look At Me! di XXXTentacion è il fulcro di Rodeo: Julia, irriverente e scalmanata, così diversa dalle ragazze imbellettate che partecipano alla festa, si dimena intorno al fuoco come in un rito purificatorio. Il culmine arriva nel finale, surreale e interpretabile soltanto se si intuisce la relazione tra l’elemento fuoco e la rigenerazione dell’anima. Alla fine del suo viaggio, Julia, illuminata dal fuoco – simbolo di saggezza -, ha acquisito una nuova consapevolezza e inizia una nuova vita, sempre in sella a una moto.

Rodeo è già cult: ti conviene guardarlo ora

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Julie Ledru, non a caso migliore attrice al Torino Film Festival 2022, interpreta Julia in modo così autentico che pare recitare nel ruolo di sé stessa. Il casting, si vocifera, si è svolto su Instagram e Quivoron ha voluto solo veri motociclisti nella sua opera prima. Il risultato è la fotografia di un disagio sociale realmente vissuto da chi popola la banlieu, inquadrato senza pietismo, con l’occhio di una documentarista.

Rodeo è già un film di culto, destinato a entrare nella videoteca dei cinefili da MUBI. Non sorprenderebbe: al Festival di Cannes hanno persino istituito il premio speciale Coup de cœur du jury per conferire un riconoscimento all’adrenalinica e intimista opera prima di Lola Quivoron.


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Classe 1998, con una laurea in DAMS. Attualmente studio Cinema, Televisione e Produzione Multimediale a Bologna e mi interesso di comunicazione e marketing. Sempre a corsa tra mille impegni, il cinema resta il vizio a cui non so rinunciare.

1 Comment

  1. L’interpretazione della scena finale come rigenerazione di una nuova identità non è stata una lettura immediata …., per giorni ho continuato ad arrovellarmi sul suo significato……., mi è sembrato ad un certo punto di esserci arrivato …. ma per altra via. Ho pensato anche che potesse essere un espediente della regista per porre le tessere di uno sviluppo cinematografico futuro del personaggio Julia. La tua lettura è assolutamente illuminante, grazie per avermelo raccontato ……

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