L’aveva detto, l’ha fatto. Natasha Lyonne torna su Netflix con Russian Doll 2, Serie TV disponibile da mercoledì 20 aprile ed esatta metà della sua personalissima trilogia sci-fi. È lei la matrioska di assurdità quantistiche protagonista di questo show in cui una mordace 36enne muore il giorno del proprio compleanno ritrovandosi in un loop temporale che la obbliga a rivivere all’infinito l’ultimo istante funesto.
Una Serie TV esordita nel 2019 ma passata in sordina, in cui Netflix sembra ora credere un po’ di più. Per la sua brevità (8 episodi da soli 30 minuti l’uno, una manciata di ore in binge watching) è facile da recuperare, e siamo certi non ve ne pentirete. La nuova stagione è però più problematica e mostra i fianchi a un “effetto Lost” che può disorientare i più esigenti di spiegazioni e risposte.
Russian Doll 2, l’inferno sono gli altri (ma gli altri sono io)
Saranno tre stagioni. Una trilogia veloce ma intensa. Prima erano i loop, ora i viaggi nel tempo. Chissà cosa ci attende. Con Russian Doll 2 Natasha Lyonne conferma la volontà di fare proprie tutte le antinomia della tradizione sci-fi per riflettere sui grandi temi di sempre. Dolore, esistenza, lutto. L’obiettivo resta ancora l’esplorazione del trauma, ricercato in grandi metafore messe in scena a mo’ di teatrino del dramma: morire senza morire mai diventa adesso vivere senza essere mai nati.
Nella seconda stagione, liberati dal peso di una morte ripetuta e continua che aveva scandito con freschezza quasi impossibile uno schema tanto adoperato, ci riscopriamo incastrati in una nuova stravaganza. La protagonista, ora quarantenne (non c’è numero che esca indenne da un’analisi di significati nascosti sotto traccia), è ormai convinta che l’universo ce l’abbia con lei – “it’s trying to fuck with me” – e sia riuscito nell’arduo compito di trovare “something worse than death”. Qualcosa di peggiore della morte. Il sesto treno di New York conduce infatti Nadia nel 1982, anno in cui nacque tra le disgrazie e le calamità affrontate dalla madre.
Ancora una volta siamo invischiati con l’universo. La vita di Nadia (come la sua morte) si intreccia con un cosmo di strampalate possibilità. La prima stagione cercava un senso, la seconda cavalca l’irragionevole ma impiega un po’ ad accettarlo. Guadagniamo sul fronte del cast e dei personaggi, ora sdoppiati nelle loro versioni del passato.
Nonostante gli insegnamenti del cinema in materia di viaggi nel tempo, Nadia decide di tentare l’impossibile e salvare la propria storia famigliare. Il sesto treno diventa una nuova opportunità, lei che già ne macinò persino troppe tra una morte e l’altra. Alla domanda “cosa è peggio di morire“, la Lyonne risponde certa: nascere.
La seconda stagione risente di questo passaggio antitetico che porta la protagonista a vivere la propria stessa nascita e a incontrare la paranoia del divenire al mondo consapevoli di ciò che ci attende. Il caos controllato che regnava il loop mortale fatica a fare capolino in una stagione più dispersiva e confusa, retta dalla straordinaria forza di una protagonista che orchestra per una seconda volta un one-woman-show da categoria agonistica. Il risultato è dunque meno divertente, perché il gioco della morte diventa il viaggio nel tempo, perdendo molta dell’effervescente spontaneità del primo capitolo.
Forse è meglio morire
Il viaggio nel tempo non ha il fascino di quel primo loop. Russian Doll 2 perde infatti in originalità, pur mantenendo saldo il proprio destino all’indiscutibile carisma della protagonista. Monco anche il rapporto con il compagno di assurdità, Alan (Charlie Barnett). Anche lui viaggia nel tempo, confermando il parallelismo dei due personaggi. A lui si aprono le porte del 1962, quando la nonna, studentessa a Berlino est, aiutò un gruppo di amici a sfuggire al di là del muro.
Se la prima stagione imbracciava lo split screen a modalità narrativa in uno schema binario (su cui, guarda un po’, ora scorre un treno magico), Russian Doll 2 mette Alan un po’ da parte. La condizione di Nadia, nel corpo della madre incinta di lei, è di un livello superiore per poter essere accostato al semplice storicismo di Alan, qui nel ruolo del viaggiatore nel tempo che vorrebbe salvare tutti promettendo: “il muro crollerà, se attendete il 1989 potrete vivere”.
Il suo ruolo è dunque di intreccio con la Storia, mentre Nadia affonda sempre più nel particolare della propria famiglia. Un’immersione (di nuovo in split screen) li riguarderà proprio nell’ultimo episodio, dove giungono alle tubature dell’universo. Qui lo spazio-tempo gocciola in un liminal space che lascia storditi, ma al contempo non concede la forza dirompente di quel finale di stagione che nel 2019 aveva aperto a un wormhole di aspettative.
Natasha Lyonne e quel solletico alla scatola cranica
In entrambe le vicende che riguardano i due sfortunati naviganti di questa danza della realtà – che solo a loro sembra pestare i piedi – si evidenzia l’opportunità di cambiare i destini. La Serie TV continua però a non fornire spiegazioni. La subiamo, come Nadia subisce gli scherzi del destino.
La Lyone prosegue così una recondita parata di LSD, cadenzata dal Personal Jesus dei Depeche Mode che in quattroquarti fanno eco al cosmo e alle sue minacce: “I’ll make you a believer”. Il nichilismo superbo di Nadia non viene meno, anzi: avanza tronfio ora che l’assurdità rientra nel naturale discorrere degli eventi.
Ma l’intellettualismo superbo del personaggio sembra proteggerla sempre meno e non basta qualche latinismo a salvarla dall’idea che l’esistenza sia un diabolico riproporsi di traumi manifesti. Il carattere del personaggio (specchio riflesso della sua caustica attrice) è un piacere tutto intellettuale, che fa della serie un unicum nel catalogo Netflix. Un passatempo forbito e sofisticato (dalle parti di Dark ma meno pretenzioso), capace di rispondere all’assurdo con un compendio antologico di citazioni classiche, afflati grecisti e riscontri nel mondo dell’arte (“Is the hospital actually treating patients today or are we just putting on a Beckett play?”).
Russian Doll 2 è così ancora un percorso tutto intellettualistico e abusivo, che popola i canoni della fantascienza per farne un parco giochi personale. In questo ritorno si fa sentire di più l’intento alto della serie, che è così meno efficace e priva di quel mistero che popolò il suo esordio. Si viaggia nel tempo come nulla fosse, si compie il solito (superfluo) tentativo di cambiare il passato e si giunge alla consueta risposta: Tempus edax rerum, il tempo divora ogni cosa, e forse anche un po’ della vitalità della serie.
Natasha attraverso lo specchio, ma non tutti potrebbero volerla seguire
Se l’intento della Lyone fosse educativo parleremmo di scarsa efficacia, perché la morale sul tempo e il destino è nota e ormai maturata. Ma siamo qui semplici naviganti in cerca di acque profonde e così ci sediamo ai piedi dell’universo e rimaniamo a guardare. Russian Doll riesce a brillare di particolarità anche quando è un pedissequo ripetersi di canoni già noti.
A tenere in piedi l’interesse non è solo il meccanismo ma anche l’abito. Russian Doll è ben vestito, ricco di idee – dai costumi dei personaggi al costume di New York, che cambia pelle in ogni viaggio nel tempo – e spunti visivi. Il legame tra la protagonista e l’attrice crea come un incanto che infonde di vita la serie. Acquista una dimensionalità compiuta e reale, solidale con lo spettatore; invitato a un viaggio che non è solo trip allucinato ma un sostanziale (e meritevole) percorso personale.
Giunti a metà strada ci interroghiamo sulle possibilità dell’ultimo capitolo. Russian Doll segue, come da titolo, la struttura della matrioska. Aperta, svela un altro sé, più piccolo e vicino al centro. L’obiettivo sarà dunque scoprire l’ultima piccolissima bambola posta al cuore di un perfetto meccanismo di ripetizioni dello stesso volto. Sembra scontato immaginare che la maschera rivelerà l’attrice che la indossa, eppure la direzione punta proprio a una possibile svolta meta.
D’altronde, dei numerosi specchi attraverso cui Nadia scopre di volta in volta l’ultima trovata dell’universo, manca proprio lo schermo da cui noi l’osserviamo. Riuscirà Nadia a superare l’invalicabile limite per afferrare il bavero del suo spettatore? La nostra speranza è che oltre quell’ultimo specchio trovi però qualcuno, perché la seconda stagione potrebbe lasciarsi dietro qualche spoglia insoddisfatta da una seconda stagione meno dirompente e più carica di promesse che imprese. Noi ci saremo, solidali fino all’ultimo loop.
In copertina: Artwork by Alessandro Cavaggioni
© Riproduzione riservata
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