fbpx
sconosciuti puri gli occhi della dottoressa in sala

Sconosciuti puri e la rivendicazione del diritto all’identità

/
10 minuti di lettura

Il lutto porta spesso con sé un senso di spaesamento. Cosa succede quando oltre al naturale senso di smarrimento c’è l’incertezza, il dubbio che il lutto ci riguardi davvero e che una tragedia abbia effettivamente coinvolto una persona che amiamo? Cosa accade quando non si ha la sicurezza della morte di quella persona e si subisce quella che viene definita una “perdita ambigua”? Qual è il destino dei corpi che vengono restituiti dal mare che li ha inghiottiti?

La ricerca di Cristina Cattaneo, professoressa di Medicina Legale all’Università degli Studi di Milano, è guidata dal tentativo di trovare una risposta a questi interrogativi, di rintracciare l’identità delle vittime dei naufragi.

La sua indagine la porta a scontrarsi quotidianamente con un vuoto normativo che ha ripercussioni concrete, intime e dolorose sulla vita di chi cerca invano i corpi dei propri cari, confrontandosi con l’impossibilità di elaborarne il lutto.

Il documentario Sconosciuti Puri, diretto da Valentina Cicogna e Mattia Colombo e presentato in anteprima milanese al FilmMaker Festival, restituisce un ritratto sincero e rispettoso dell’attività quotidiana dell’antropologa e medico legale.

Le riprese del documentario Sconosciuti Puri, prodotto da Jump Cut, Amka Films e Sisyfos Film, sono durate 8 anni, un periodo dilatato che ha permesso ai registi di entrare in contatto e gradualmente in confidenza con Cristina Cattaneo e le sue instancabili attività di insegnamento, indagine, appelli per ottenere il supporto delle istituzioni.

Le richieste della professoressa Cristina Cattaneo e del Labanof

sconosciuti puri l'identificazione di un cadavere di un naufrago ad opera dei medici in sala

L’attività del Labanof – il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense da fondato proprio da Cattaneo insieme a Marco Grandi – si concentra, tra gli altri ambiti, sull’individuazione dell’identità di quelli che lei chiama Sconosciuti Puri, i corpi a cui non è associata un’identità. Il film segue le operazioni del laboratorio, portando chi osserva a soffermarsi sull’aspetto più ignorato e tralasciato quando si pensa alle migrazioni e alle vittime delle stragi: l’identificazione dei corpi.

La richiesta della studiosa è chiara: è necessario che siano allocati i fondi per la creazione di un database che permetta di identificare i corpi su scala europea. È strumentale che questo sia alimentato a livello internazionale e metta in dialogo le banche dati dei diversi stati, consentendo ricerche capillari e complete. L’ostacolo però è altrettanto chiaro: nessun paese si ritiene responsabile dell’identificazione dei corpi poiché il luogo di ritrovamento è quasi sempre in un altro territorio, quello italiano. 

Sconosciuti Puri, un ritmo incalzante (e instancabile)

sconosciuti puri la mano di un naufrago morto viene esaminata, dettaglio

Il ritmo del film è cadenzato dalle attività didattiche e quelle del laboratorio, punteggiate e intervallate dall’infaticabile stesura di mail, con una particolare attenzione sulle parole chiave, il cuore delle richieste di Cristina Cattaneo agli organi europei. L’incessante battere sulla tastiera è un suono che accompagna l’osservatore e scandisce un alternarsi di rifiuti, insieme alle pause di silenzio che seguono la lettura e il disappunto di Cristina.

A livello visivo, in Sconosciuti Puri coesistono due dimensioni. Da una parte ci sono le grandi città europee – Milano, Berna, Bruxelles – le loro strade, il traffico, gli edifici, la rete urbana dove operano le istituzioni e dove la distanza dai luoghi dei naufragi permette di non percepire il vulnus causato dalla mancata cooperazione delle stesse.

Dall’altra, ci sono pause di sospensione in cui sono presentate vedute del mare che trasmettono un’idea di instabilità e incertezza: le riprese sono a tratti fuori fuoco, le onde sono violente e si infrangono sugli scogli. Queste sequenze contengono quasi sempre un elemento che richiama la dimensione umana e le stragi, un indumento, un pezzo di tessuto, una calzatura.

La finestra sulle tragedie in mare è costantemente aperta. Nel seguire le attività del Labanof, Sconosciuti Puri riporta la cronaca delle stragi, a partire dal naufragio del peschereccio libico nel 2015 a seguito del quale la professoressa Cattaneo trascorse tre mesi dirigendo le operazioni di riconoscimento dei giovanissimi corpi. L’elenco degli oggetti ritrovati sull’imbarcazione richiama una quotidianità che accomuna le vittime e noi – una brioche, una pagella, un orologio, un paio di occhiali, un portafoglio – tanto che i registi giustappongono brevemente all’elenco degli oggetti ritrovati immagini di oggetti quasi identici che appartengono invece ai vivi, i “nostri” oggetti.

Un lavoro di accostamenti dissonanti

Ciò che per noi è scontato, l’associazione ai nostri possessi e la nostra stessa identità, per altri è impossibile. Così accade che il peschereccio venga portato alla Biennale di Venezia e lì si trasformi in un’installazione artistica, dove, venendo decontestualizzato, diviene un relitto privo di valore. Le parole discriminatorie dei passanti veneziani che sono intervistati sui fenomeni migratori stridono con l’opera identificativa di Cattaneo, che conosce nel minimo dettaglio quell’imbarcazione, il numero e il posizionamento dei cadaveri che conteneva.

Così come stride l’opera di ricognizione della reliquia di S. Ambrogio (che indossa paramenti liturgici dorati) a cui sono dedicati importanti fondi e altrettanta cura.

Dalle grandi stragi i registi restringono progressivamente il campo, passando per ricerche singole, arrivando al processo di identificazione di un cadavere specifico, quello di una ragazza albanese i cui resti sono mostrati alla sorella che in più di vent’anni non ha mai smesso di cercarla.

Sconosciuti Puri è un documentario complesso per via della realtà che vuole mostrare ma anche perché sono molte le questioni etiche legate alla rappresentazione con cui i registi hanno dovuto confrontarsi. Valentina Cicogna e Mattia Colombo stessi hanno dichiarato di aver imparato da Cristina Cattaneo cosa mostrare e cosa censurare delle sue attività, le modalità in cui rappresentare un corpo privo di vita senza violarne la dignità, o il dolore di chi scopre della morte di una sorella a distanza di decenni. 

Una svolta illusoria

Infine, Sconosciuti Puri presenta una svolta narrativa, rappresentata dall’arrivo – o così pare – delle prime risposte delle istituzioni. Cristina Cattaneo riesce a entrare in dialogo con la Croce Rossa Svizzera, l’Interpol e, grazie alla collaborazione dell’europarlamentare Pierfrancesco Majorino, viene ricevuta in udienza al Parlamento Europeo. Presenta le istanze e le rivendicazioni di cui le scienze forensi umanitarie si stanno facendo portatrici: il diritto al riconoscimento e all’identità, la restituzione dei corpi, dei possedimenti. Questi appelli però cadono nel vuoto e, come dichiarato nel cartello finale del film, ad oggi le parole di Cristina sono rimaste inascoltate e nulla è cambiato.

Il tema del riconoscimento dei corpi è trasversale a tutte le crisi umanitarie, non solo quella migratoria – pensiamo alle fosse comuni in Ucraina o ai corpi delle vittime tra i civili israeliani e palestinesi – e per questo la lotta di Cristina Cattaneo è e sarà sempre attuale. 

Durante il dibattito conclusivo che ha seguito la proiezione del documentario al FilmMaker Festival 2023, i registi Valentina Cicogna e Mattia Colombo hanno dichiarato che la realizzazione di questo film riflette la loro volontà di dare supporto a una battaglia politica urgente, il documentario è al servizio di un obiettivo comune ed è uno strumento immediato che deve avere uno scopo divulgativo e la massima diffusione. In questo Sconosciuti Puri è molto efficace. Cattaneo aggiunge:

«La realizzazione di un database europeo sarebbe un’impresa semplice, è tutto predisposto e basterebbe un lavoro compilativo». Quindi qual è la motivazione di questa mancata risposta da parte dei governi attuali? Dove sta il cortocircuito? La risposta arriva da Majorino, presente in sala: «è molto semplice: se si iniziano a identificare i morti, bisogna occuparsi dei vivi».


Seguici su InstagramTik TokTwitch e Telegram per sapere sempre cosa guardare!

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club

Nata e cresciuta a Milano, laureata in lettere ed editoria, appassionata e lavoratrice del cinema. Trovo nel documentario in tutte le sue forme e modalità il mezzo ideale per rappresentare, conoscere e riflettere sulla realtà.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.