Se solo fossi un orso molte cose potrebbero andare meglio, soprattutto quando bisogna affrontare il lungo, gelido e, soprattutto, spietato inverno della Mongolia. Ed è proprio da qui che prende vita il sensazionale esordio alla regia della regista Pürėvdaš Zolžarga. Se solo fossi un orso non è solo un pensiero bizzarro di uno dei protagonisti di questa storia, ma anche il titolo di una delle opere prime più interessante degli ultimi anni.
Poche volte, infatti, soprattutto nel recente passato, si è assistito a un debutto capace di accendere i fari su un Paese lasciato spesso e volentieri in disparte sulla cartina geopolitica (e artistica) mondiale. Ma adesso con Se solo fossi un orso sembra essere arrivato il momento di raccontare anche la Mongolia, con tutti i suoi problemi e le sue complessità, attraverso la storia di Ulzii.
Se solo fossi un orso, la firma di Zolžarga si sente
Riuscire a raccontare una generazione, un periodo storico e addirittura un Paese intero con un solo film non è cosa da tutti i registi. Ma, soprattutto, farlo alla prima esperienza dietro la cinepresa rende quest’opera una vera e propria impresa artistica, forse anche in grado di sfociare oltre. La memoria riporta indietro al 1995, e cioè a Kids (presentato in concorso al 48º Festival di Cannes), primo film firmato dal fotografo di successo Larry Clarks e sceneggiato dall’allora poco più che adolescente Harmony Korine.
In quel caso, però, veniva descritta quasi come se fosse un documentario la situazione reale, o meglio, realista di una certa gioventù newyorkese. Se solo fossi un orso riesce, anche se con stili e modi differenti, a ereditare la stessa potenza del lungometraggio di Clark, ma lo fa utilizzando un solo protagonista, una sola famiglia, una sola vicenda, trasformandola in una storia nazionale, e forse anche universale. Bisogna anche ammettere che a differenza di Clark, Zolžarga ha optato per uno stile di narrazione e di ripresa piuttosto classico, ma allo stesso tempo capace di risultare innovativo.
Decidere tra la famiglia e le passioni, il dovere e le ambizioni
Se solo fossi un orso è stato presentato in anteprima allo scorso Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regards. Ci troviamo di fronte a un doppio debutto: infatti, l’opera in questione porta per la prima volta nella storia una rappresentanza cinematografica proveniente dalla Mongolia nel palcoscenico quasi elitario della cosiddetta Croisette. Il lungometraggio, infine, è stato realizzato grazie a una produzione che ha visto la collaborazione di vari Paesi, quali la stessa Mongolia, la Francia, la Svizzera e il Qatar.
Ulzii è un adolescente di famiglia povera che vive nei sobborghi di Ulan Bator, capitale della Mongolia. La trama prende vita non solo intorno alla sua difficile situazione familiare (e privata), ma soprattutto orbita intorno alla sua intelligenza fuori dal normale, e alle sue grandi capacità intellettive in fisica. Spronato dal suo maestro, Ulzii decide così di partecipare a un concorso scientifico nazionale, con l’obiettivo di vincere una borsa di studio, sognando magari di svoltare la difficile realtà in cui è costretto a (soprav)vivere.
Il ragazzo, però, nonostante il suo talento, non ha fatto i conti con il difficile inverno mongolo e, soprattutto, con l’abbandono della madre, determinata a lasciare la città perché ha trovato lavoro altrove. Ulzii, insieme ai suoi fratelli più piccoli, decide di non seguire il genitore. Da qui comincia forse la vita da adulto del protagonista, con tempi piuttosto anticipati rispetto al tradizionale corso della vita, costretto a dover scegliere tra la famiglia e le passioni, il dovere e le sue ambizioni.
Se solo fossi un orso, si respira povertà a Ulan Bator
Non è solo un’opera artistica e nemmeno un focus su un Paese spesso bistrattato. Se solo fossi un orso diventa una fotografia di una delle capitali più complicate al mondo e di come si svolge la vita tra le sue “mura”. Il racconto arriva da una persona che in quei sobborghi ci è cresciuta, che ha visto e vissuto cosa vuol dire essere Ulzii e quanto sia impegnativo, per di più in giovane età, riuscire a scegliere tra compromessi tanto difficili.
Ecco, dunque, Pürėvdaš Zolžarga racconta: “Ulan Bator è la capitale più inquinata del mondo, oltre il 60% dei cittadini vive nel Distretto delle Iurte [le case mobili dei nomadi mongoli] dove non sono presenti sistemi di riscaldamento o infrastrutture, e dunque si è costretti a bruciare carbone per sopravvivere alla temperatura di – 35° del brutale inverno mongolo. Ma ciò che respiriamo non è fumo, è povertà“. Quindi, è possibile spiegare e raccontare Se solo fossi un orso con le seguenti poche parole pronunciate dalla regista asiatica: “Volevo che la mia gente capisse, sentisse e abbracciasse ogni lotta e gioia reciproca attraverso questo film”
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