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Venezia 80 – Semidei e la necessità della memoria per vivere l’oggi

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6 minuti di lettura

A uno sguardo poco attento inizialmente Semidei, documentario di Fabio Mollo Alessandra Cataleta presentato all’80esima Mosta d’Arte Cinematografica di Venezia durante le Giornate degli Autori (qui il programma di Venezia 80), potrebbe sembrare un film sul ritrovamento dei Bronzi di Riace, avvenuto in Calabria nel 1972. Semidei, prodotto da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra per Palomar Mediawan, è stato infatti realizzato con il sostegno della Regione Calabria in occasione delle celebrazioni dedicate al 50° anniversario del ritrovamento dei Bronzi.

Semidei, non solo ricostruzione storica

Già dalle primissime sequenze, tuttavia, si intuisce che il discorso è più complesso di una semplice ricostruzione storica (che a tratti sfiora il racconto mitologico).

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I registri si intrecciano fin da subito, dagli archivi delle teche Rai sono riproposte le immagini dell’inaugurazione del museo dove le statue sono esposte, le sequenze de I dimenticati di Vittorio De Seta – documentarista che più di ogni altro ha saputo cogliere e restituire lo spirito del Sud Italia nel secondo dopoguerra – mostrano una Calabria isolata e priva di strade e infrastrutture. Queste immagini sono accostate a riprese attuali degli stessi luoghi, voli di drone dall’alto ripercorrono oggi le strade che un tempo erano percorse soltanto da uomini a dorso di mulo. La Calabria di ieri e quella di oggi sono rese plasticamente e con immediatezza.

Semidei, la simbologia dietro ai Bronzi di Riace

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Non ci si ferma alla Calabria però. Dopo un iniziale racconto del ritrovamento (la cui paternità è fortemente dibattuta tra Stefano Mariottini, pescatore subacqueo che si trovava a Monasterace in vacanza, e un gruppo di ragazzi del luogo), passando per la gestione del restauro, e alla definitiva esposizione al pubblico pochi anni dopo il ritrovamento, la narrazione si sposta e affronta un caleidoscopio di tematiche attraverso le voci di testimoni che provengono da contesti diversi. Professori e archeologi analizzano la tecnica di creazione dei bronzi, fanno una stima della provenienza delle opere (che risalgono al IV secolo a.C.), si chiedono cosa rappresentino e come siano finite sul fondale di fronte a Riace. La risposta è che i bronzi fanno parte del gruppo statuario dei Fratricidi di Pitagora di Reggio. Si tratta di Eteocle e Polinice, figli di Edipo, e la loro storia lancia un monito: combattere tra fratelli porta all’inevitabile tragedia.

Da qui il collegamento ad altre storie raccontate nel documentario è immediato: la famiglia di Kherson fuggita dal conflitto in Ucraina e arrivata in Calabria per cercare la pace, Carlotta, ragazza di origine africana discriminata dai compaesani a causa del colore della sua pelle, la strage di Cutro e i morti in mare per omissione di soccorso. E ancora, Mollo e Cataleta mostrano i moti di Reggio durati dal ’70 al ’72, una vera e propria guerra civile che ha creato in quegli anni una grave frattura nella società calabrese.

La scoperta dei Bronzi in Semidei e la scoperta di sé

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È questo il trabocchetto innescato da Semidei: il film sembra andare in una direzione per poi portarci da tutt’altra parte. Il filo conduttore è il rapporto dei protagonisti con i Bronzi. Il ritmo della narrazione è scandito da sequenze in cui i personaggi osservano assorti i Bronzi, con cui instaurano un dialogo silenzioso che porta a riflessioni su loro stessi. È il caso di Cosimo, ragazzo Rom che vive a Gioia Tauro e che fa il musicista in occasione della festa dei santi patroni Cosimo e Damiano.

Le scene che lo riguardano fanno molto pensare alla realtà descritta dal regista Jonas Carpignano in A Ciambra, il ritratto di una vita ai margini che è al contempo molto legata al territorio e alle tradizioni. Le descrizioni del ragazzo sono fiabesche e imaginifiche, i bronzi ai suoi occhi sono corpi di guerrieri realmente esistiti, trasformatisi in statue di bronzo con il passare dei secoli. Il ragazzo riflette sulla sua identità in un dialogo in cui anche il regista parla della propria, del rapporto con la Calabria, della volontà di fuga, della possibilità del ritorno.

Una ricchezza tematica forse eccessiva

Semidei unisce l’analisi archeologica, la conservazione dei beni culturali, il diritto legato alle opere d’arte e al loro traffico illecito, la descrizione della lotta alla mafia, le credenze popolari e il racconto umano per dare forma al ritratto – che si muove su un equilibrio precario – di un territorio.

Semidei è un documentario che se da una parte rende la complessità di una terra respingente e allo stesso tempo ricca di storia e tradizioni, restituendo lo spirito e la varietà dei suoi abitanti; dall’altra risulta a tratti dispersivo. Il film lascia l’osservatore con l’impressione di aver bisogno di prendere il respiro e di fare una pausa per cogliere la relazione tra tutti i fili narrativi che lo compongono, approfondirne alcuni e tralasciarne altri.


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Nata e cresciuta a Milano, laureata in lettere ed editoria, appassionata e lavoratrice del cinema. Trovo nel documentario in tutte le sue forme e modalità il mezzo ideale per rappresentare, conoscere e riflettere sulla realtà.

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