Il Korea Film Fest 2024 ha ospitato una masterclass intitolata L’arte del trasformismo in onore degli ospiti che ne sono stati protagonisti. Stiamo parlando di Song Kang-ho e Kim Jee-woon, il primo, protagonista di numerosi capolavori (tra cui The Host, Memorie di un assassino, e Parasite), il secondo, regista di spessore. Entrambi erano presenti al cinema La Compagnia per presentare la loro ultima collaborazione, Cobweb, il film che ha trionfato alla 22° edizione del Florence Korea Film Fest.
Per Song Kang-ho è stata la seconda volta a Firenze, e per Kim Jee-woon la quarta, addirittura. Entrambi entusiasti di essere tornati In Italia e ancora di più per la calorosa accoglienza, hanno risposto ben volentieri a tutte le domande poste dal pubblico condividendo pensieri, idee, prospettive, finanche aneddoti sul tempo trascorso insieme sui set. E di contro la platea ha risposto con entusiasmo, tanto da riempire nuovamente la sala la stessa sera per la proiezione – in anteprima italiana – di Cobweb.
Song Kang-ho e Kim Jee-woon a Firenze: le diverse prospettive dell’arte di fare cinema
Non adotto un metodo preciso per fare film, ma quando mi trovo nel bel mezzo di una crisi cammino molto, anche stando in casa. Trovo che la stanchezza fisica porti ad uno sblocco mentale.
Kim Ji-woon al Florence Korea Film Fest
La prima domanda rivolta a Song Kang-ho riguarda il suo passato da attore teatrale e i benefici tratti da quel tipo di esperienza. “Non credo di aver iniziato a recitare pensando di diventare un attore cinematografico”, ha dichiarato, “ma piano piano ho realizzato quanto tutto ciò che ho appreso in quegli anni (energia, espressione, capacità di analizzare un testo) sia stato utile per me sul set. In effetti, è qualcosa di cui ancora adesso mi rendo conto”.
Il primo approccio al cinema di Song Kang-ho è stato un piccolo ruolo nel 1995; da allora l’attore ha dato prova del suo talento e preso parte a più di trenta produzioni. Escluso Cobweb, altre quattro di queste (The Quiet Family, The Foul King, The Good, the Bad, the Weird e The Age of Shadows) hanno avuto proprio Kim Jee-woon alla regia: si può quindi affermare senza indugio alcuno che tra i due esista una certa intesa.
“Ho visto Song Kang-ho per la prima volta in teatro e ne sono subito rimasto affascinato, tanto da domandarmi se, nel futuro, avrebbe riscritto lo stile recitativo in Corea”. Sono queste le esatte parole di Kim Jee-woon, la cui stima nei confronti dell’attore è smisurata: “Se dovessi elencare tutte le sue qualità farei nottata […]. Apparentemente ha un’aria molto amichevole, ma è in grado di ghiacciare la stanza con uno sguardo e ribaltare completamente lo stato emotivo con due o tre respiri”.
Non per niente Song Kang-ho ha avuto l’onore di lavorare con altri due celebri registi sudcoreani, considerati tra i più talentuosi del mondo: parliamo di Bong Joon-ho e Park Chan-wook. “Tra di noi”, ha dichiarato Kim Jee-woon, “abbiamo un manuale di istruzioni di Song Kang-ho: a Bong piace costruire su di lui personaggi mediocri, Park ama fargli indossare abiti intellettuali, io invece lo sfrutto per mio puro divertimento”. E, sfumate le risate, è tempo di più complimenti: “Lui riesce sempre a capire che cosa desidero. Quando lo guardo da dietro la macchina da presa non sembra stia recitando, ma solo vivendo il momento”.
Si tratta, evidentemente, di stima reciproca: “Kim Jee-woon è una persona che non cerca di imporre il proprio pensiero”, ha detto Song Kang-ho, “ma lavora sul set in modo che tutti possano godersela. In Corea è tra le pochissime persone capaci di farlo”.
Una volta ho chiesto a Bong Joon-ho perché mi affidasse sempre personaggi così mediocri, e quando poi mi ha scritturato per Parasite credevo avrei interpretato il padre della famiglia ricca. Invece nulla, mi hanno buttato in un sotterraneo.
Song Kang-ho al Florence Korea Film Fest
Nel 2020 il New York Times ha incluso Song Kang-ho tra i venticinque migliori di questo secolo: qualcuno tra il pubblico si domandava, a giusta ragione, con quale criterio scegliesse i ruoli da interpretare. “Non so se siate familiari con il concetto di In-yun […]”, espressione molto utilizzata in Corea del Sud (citata in Past Lives) per esprimere un legame indissolubile tra persone. “Non scelgo mai in base al tipo di personaggio, ma cerco di capire quanta affinità ha con me”.
Cobweb, la satira brillante della realtà
Cobweb è la storia semplice di un regista che, concluse le riprese del suo ultimo film, si rende conto di non amare per niente il finale, e a dispetto di scadenze, budget e censura decide di rigirare parte delle scene per far sì che possa tramutarsi in un masterpiece.
Il vincitore del 22° Florence Korea Film Fest è un film registicamente complesso, strutturato per seguire tutta una serie di sotto trame inglobate in una singola trama più grande. La pellicola di Kim Jee-woon ritrae per sommi capi un bel numero di personaggi e pochi in modo più focalizzato, ma tutti con tono volutamente satirico e tendente alla ridicolezza. Pur non essendo estraneo al dramma esistenziale, Cobweb è un film vibrante che suscita risate e incredulità, essendo così sommerso da controsensi: due ore di scelleratezza dispiegata su un palcoscenico su cui stranezze e peccati di tutti vengono a galla e, per la fortuna del pubblico, vi rimangono.
Il progetto mi è stato proposto in pandemia […]. In quel periodo credevo che l’audiovisivo avrebbe finito per scomparire, e spesso mi domandavo quanto io amassi il cinema. Non credo di essere stato il solo ad avere certi pensieri.
Kim Jee-woon su Cobweb
Come in The Quiet Family e A Tale of Two Sisters, in Cobweb si intravede il tema della famiglia, ricreata all’interno di un set cinematografico. Una presenza giustificata se si considera il passato di Kim Jee-woon: “Per i dieci anni in cui sono stato disoccupato ho conosciuto solo le dinamiche di famiglia, che in fondo è come una piccola società piena di paradossi: in Cobweb ho cercato di ricreare naturalmente quelle dinamiche […]. Volevo portare sullo schermo il concetto secondo cui non sempre la vita va come noi vorremmo”.
Paradossali nel film sono i personaggi femminili, portatrici di humor ma dall’anima femme fatale: “Per scrivere il ruolo della protagonista mi sono ispirato alle attrici anni ’60, in modo da creare una figura elegante e posata; ma poi mi sono chiesto cosa sarebbe successo se questa figura avesse avuto in sé qualcosa di folle”. Il risultato, a detta del regista, è stato qualcosa di inaspettatamente all’avanguardia: “Il gioco, fin dall’inizio, per me consisteva nel cambiare gli schemi”.
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