È uscito su Netflix l’inedito documentario sul regista americano underground Robert Downey Sr., conosciuto ai più per essere il padre di Robert Downey Jr., il noto attore famoso per aver dato vita ad Iron Man nell’Universo Cinematografico Marvel. Il film, ironicamente intitolato Sr., vuole essere molte cose: il tributo di un figlio a suo padre, la celebrazione di un artista, una retrospettiva sui suoi film, un ritratto familiare, l’ultima fatica di un regista da tempo inattivo. Ma, più di tutte, è il tentativo finale di RDJ di legare con suo padre, di conoscerlo meglio, e di creare e condividere gli ultimi ricordi della vita di Sr. insieme.
Documentario o film intimista?
Sin dai primi minuti è evidente che Sr. è un progetto familiare. Non certo amatoriale, visto il coinvolgimento attivo di persone esterne al nucleo familiare, come il regista Chris Smith (che ha già diretto un altro documentario Netflix sul mondo del cinema e della performance: Jim & Andy: The Great Beyond) e il montatore Kevin Ford, che diventano personaggi e parti integranti del documentario.
Il film inizia subito con RDJ che tenta di spiegare quello che ci aspetta. Scopriamo così che padre e figlio hanno scelto di iniziare a girare il documentario senza alcuna idea precisa alla base. Un film senza pretese, che ha alla base il rapporto tra un padre e un figlio, ma anche quello tra due artisti. Sr. infatti coglie l’occasione per fare una retrospettiva su RDS e sulla sua filmografia, ma anche sul suo background familiare: il film fa conoscere a tutti la famiglia Downey, l’educazione artistica impartita ai figli, come questa li ha influenzati fino all’età adulta.
Il film tocca anche, in modo estremamente delicato e veloce, il periodo più buio della vita di RDJ, dove la dipendenza da droghe ed alcool fa da protagonista e viene ricollegata a comportamenti del padre. Nonostante il focus resti sul rapporto tra Robert Downey Jr. e Sr., il vero protagonista è quest’ultimo. Jr., infatti, ripete molte volte che il documentario è nato anche come un modo per far conoscere ad un pubblico più ampio i film realizzati dal padre, e la disanima della sua filmografia si rivela l’argomento più interessante della pellicola.
Un ritratto artistico e personale
In effetti, è risaputo anche ai meno esperti che Robert Downey Sr. è stato un regista, ma sono in pochi a conoscere quali film ha realizzato. Con l’ausilio di interventi esterni da parte di amici dell’artista, come il regista Paul Thomas Anderson e l’attore Alan Arkin, Sr. ripercorre per una buona metà del film la carriera di RDS, a doppio filo con la sua vita privata e la storia familiare.
Veniamo così a conoscenza di film sgangherati e assurdi come Chafed Elbows, descritta dal figlio come “un’ode a Edipo” , Putney Swope, Pound e Greaser’s Palace, questi ultimi due strettamente legati alla storia familiare dei Downey perché vi recitano la moglie Elsie Downey e i figli (Pound è l’esordio di RDJ). Film estremamente artistici, estremamente provocatori, estremamente interessanti, che invogliano alla visione (sarebbe un’ottima idea da parte di Netflix ammettere la filmografia di Robert Downey Sr. nel suo catalogo, visto che è già successo con Five Came Back, serie documentario sui film realizzati dai registi americani durante la Seconda Guerra Mondiale).
Oltre a fare una rassegna dei film di RDS, il documentario cattura molto bene la personalità del regista: il suo senso dell’umorismo spiazzante e pungente, la sua sensibilità e le sue scelte di vita, la sofferenza, i rimorsi. Argomenti che il figlio cerca di trattare, ma che inevitabilmente non vengono mai davvero approfonditi, forse anche per una scelta di riservatezza (curioso, se pensiamo che ci viene mostrata invece una seduta psicoterapeutica di RDJ).
È sempre difficile cercare di realizzare dei documentari familiari, destinati al grande pubblico, che entrino a fondo in argomenti privati delicati e profondi, spesso controversi o dolorosi, specie se i soggetti sono celebrità, e ancor più se sono associati ad una certa immagine pubblica. Sr. non è da meno, anche se gli va riconosciuto che prova ad essere più incisivo di altri film simili grazie alla notorietà della famiglia e al carattere eclettico, simpatico e carismatico di Robert Downey Sr.
Un metafilm mancato
Come anticipato sopra, il concept alla base di Sr. non era mai stato veramente discusso e definito prima di iniziare a girare. Questo dettaglio rischiava di essere un’arma a doppio taglio: in questi casi, non ci sono limiti, ma non ci sono neanche obiettivi da raggiungere, e il rischio è quello di non trovarne affatto o di crearne così tanti da non riuscire a portarli a termine. Si presenta proprio l’ultima circostanza, in particolare per uno dei temi, che avrebbe potuto veramente rendere Sr. un documentario molto più toccante e rilevante dal punto di vista artistico.
Padre e figlio infatti decidono, relativamente presto, di realizzare due versioni dello stesso documentario: quella di Jr. e quella di Sr., una radicalmente diversa dall’altra. Se RDJ vuole realizzare un percorso sulla carriera e sulla vita di suo padre, RDS invece opta per un ritratto artistico, tra momenti di cinéma vérité e clip d’archivio, familiari e non. Il documentario impiega molto tempo nel seguire la realizzazione della versione di Sr., realizzando un vero e proprio making of, tanto che viene data l’impressione che il fulcro principale del documentario sia proprio il confronto tra le versioni del padre e del figlio.
Confronto che, però, non arriva mai, nonostante venga mostrato e celebrato il momento preciso in cui la versione di Sr. ha raggiunto la sua final cut, che ha coinvolto in prima persona il regista nonostante il peggioramento delle sue condizioni dovute al morbo di Parkinson. Sembra un evento speciale: la realizzazione dell’ultimo progetto di uno dei registi più importanti della scena underground americana degli anni ’60 e ’70.
L’infelice scelta di non mostrare quello che è a tutti gli effetti l’ultimo film di Robert Downey Sr. non viene spiegata o giustificata. Forse si è deciso di renderlo un film privato, non destinato al grande pubblico, bensì alle persone più strette nella vita del regista. Se da una parte sembra uno spreco non condividere l’ultimo sforzo artistico di un regista apprezzato da molti, dall’altra, forse, lo lo scopo di Sr. non ha mai voluto essere questo. L’obiettivo, forse, è solo regalare un ritratto dell’artista, compiere un plateale gesto d’amore da figlio a padre, dare un ultimo saluto prima di doverlo lasciare per sempre.
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