La progettazione del suono fu la chiave per la concretizzazione di uno dei più grandi (forse un po’ troppo) universi fantastici della storia del cinema, segnando non solo un traguardo ma anche un modello per il futuro del cinema fantastico. Scopriamo dunque le tappe di una delle grandi rivoluzioni tecniche dalla saga più amata dai nerd del mondo. Ecco come sono nati i suoni di Star Wars!
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Tanto tempo fa, in un cinema lontano lontano…
Con il lento calare della nuova Hollywood ed il sorgere di un nuovo decennio, venne a crearsi una nuova era cinematografica. L’uso sapiente delle strategie commerciali non bastò più per definire una pellicola “di successo”. Le qualità tecniche andarono crescendo, surclassando la media dei costi di produzione, rendendo quasi impossibile (a detta dello stesso George Lucas) qualsiasi produzione al di sotto dei 10 milioni di dollari…Roger Corman a parte.
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La storia del suono di Star Wars affonda una delle sue tante radici proprio nel cinema a basso costo di Roger Corman, di preciso in un film da lui prodotto intitolato Anno 2000 – La corsa della morte. Pellicola diretta da Paul Bartel con protagonisti David Carradine ed un novello Sylvester Stallone, che al botteghino incassò una cifra simile al budget di partenza del noto film di Lucas. Cosa accomuna quindi i due film? Semplice, condividono lo stesso ingegnere del suono: Ben Burtt, che da lì a poco sarebbe diventato il pioniere del sound design moderno, nonché autore del termine stesso.
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Ben Burtt e «The Star Wars»: dagli Wookie alle spade laser
Dopo il conseguimento di una laurea magistrale presso la USC “University of Southern California” ed un primo approccio al mondo del filmaking con una pellicola intitolata Yankee Squadron, Ben Burtt venne contattato dal giovane George Lucas, il quale gli propose un lavoro come ingegnere del suono per un fantasy ad ambientazione spaziale, ancora in fase embrionale, intitolato: The Star Wars.
La space opera di George Lucas non vide la luce prima del 1977, ma già nel ’75 la pre-produzione iniziò a prendere forma, muovendo i primi passi verso quella che sarebbe stata una delle saghe fantastiche più amate di sempre. Lucas mantenne fin da subito uno sguardo diffidente nei confronti delle recenti tecniche di produzione, secondo lui troppo meccaniche e poco realistiche, privilegiando un approccio visionario sia per gli effetti speciali che per il comparto sonoro, soundtrack compresa.
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La prima scelta di Burtt fu quella di affidarsi alle sensazioni trasmesse dal soggetto e dagli sketch a disposizione, utilizzando l’immaginazione come mezzo creativo per unire quella “galassia lontana lontana” ad un’intera libreria sonora da lui stesso registrata. Burtt si dedicò così ad un’assidua ricerca di suoni, ricoprendo agilmente tutti i ruoli della produzione sonora, supervisionando ogni fase: dalla registrazione sino al missaggio.
Il missaggio rappresentò una fase fondamentale per la fusione e la creazione di nuovi suoni (la voce di Chewbecca si basa su centinaia di registrazioni di versi animali, mixati e montati in base alle emozioni del Wookiee), spingendo il sonoro e l’ingegno verso nuovi confini. Uno dei primi suoni ad essere ricreati grazie a questa tecnica fu quello dell’oggetto simbolo di Star Wars: la spada laser. Ben Burtt, leggendo la sceneggiatura ed osservando alcuni dipinti di Ralph McQuarrie (concept artist del film), collegò automaticamente il suono descritto da Lucas a quello di un vecchio proiettore 35mm che utilizzava durante il suo apprendistato da proiezionista, sempre presso la USC. L’accensione di un proiettore e l’interferenza tra un microfono ed un vecchio televisore rappresentarono la prima fonte d’ispirazione per la massima icona sonora del film.
La scelta dell’analogico
Il rifiuto degli strumenti tecnologici e l’uso esclusivo di mezzi analogici determinarono la riuscita di un universo vivo e credibile, enfatizzando la già eccelsa effettistica del film.
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Un’eccezione è stata fatta per il caratteristico mormorio di R2-D2 (il nostro C1-P8), unendo la voce distorta dello stesso Burtt al leggendario ARP 2600: un sintetizzatore semi-modulare capace di ricreare suoni elettronici di altissimo livello. Strumento che successivamente venne riutilizzato da Burtt per I Predatori dell’Arca Perduta di Steven Spielberg, prodotto dalla Lucasfilm.
“L’urlo di Wilhelm”
Ben Burtt non solo diede vita ad alcuni dei suoni più famosi della saga ma si divertì ad inserirne altri per puro divertimento: un tocco personale. Uno fra tutti è il famigerato “Wilhelm Scream“, effetto sonoro di pubblico dominio conosciuto per essere stato usato in quasi 500 produzioni audiovisive. Le sue origini risalgono al 1951, fu utilizzato per la prima volta nel film Tamburi Lontani di Raoul Walsh, e non è altro che la riproduzione di un urlo di agonia, breve ma intenso.
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Burtt, spulciando nella ricca libreria della Warner Brothers, trovò la lista completa dei doppiatori del film di Walsh e riconobbe Sheb Whooley come autore dell’urlo. Successivamente ribattezzò il celebre suono come “Wilhelm Scream” (Urlo di Wilhelm), ispirandosi ad un urlo simile presente nel film L’indiana Bianca di Gordon Douglas, dando così il via ad un vero e propirio easter egg che tutt’ora tormenta le produzioni, non solo cinematografiche.
John Williams e «Star Wars» in musica
John Williams al tempo era già un nome noto, con ben due Academy Awards alle spalle ed un’amicizia ormai consolidata con Steven Spielberg. Fu proprio quest’ultimo a consigliare a Lucas il famoso autore, già compositore della colonna sonora de Lo Squalo (film campione di incassi in quel periodo, superato solo da Star Wars due anni dopo), con la quale si aggiudicò la seconda statuetta. Williams operò in modo personale, consegnando a Lucas una colonna sonora basata su molteplici leitmotiv di stampo classico-europeo, da Strauss a Wagner, in grado di incastrarsi perfettamente con le ambientazioni e i personaggi del film postmoderno.
Con Star Wars, John Williams fu in grado di staccarsi dalle voglie operistiche di Lucas, restituendo al film le giuste note avventurose e drammatiche (ma anche citazioniste) di cui aveva bisogno per poter entrare nel cuore di ogni spettatore, dando vita ad uno di quei pochi progetti cinematografici capaci di convivere con ogni generazione.
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