Nicolas Cage dà vita su Netflix ad un prodotto fresco, originale ed irriverente. Lanciata il 5 gennaio 2021, la docuserie formato mini Storia delle parolacce attira e intriga lo spettatore con il suo titolo curioso e la sua aria scanzonata, ma nasconde molto di più di alcune banali scurrilità.
Un prodotto comico che si prende sul serio
A fare gli onori di casa all’interno di ogni episodio è un inaspettato Nicolas Cage che ci introduce con ilarità i sei termini inglesi attorno a cui ruota l’intera serie: fuck, shit, bitch, dick, pussy e damn. Il vero e proprio sviluppo della storia e dell’origine di queste parolacce è lasciato però a studiosi ed etimologi, accompagnato dai commenti di alcuni stand-up comedian.
Nonostante l’atmosfera goliardica, l’intento dei creatori Will Ferrell e Adam McKay si dimostra tutt’altro che superficiale. Le parolacce vengono infatti analizzate nel profondo, a partire dalle loro (più o meno precise) radici storiche fino ad arrivare alle varie implicazioni che hanno assunto durante il succedersi dei secoli. Scopriamo così nuove sfaccettature di una lingua che, sebbene non sia la nostra, risulta sempre di un certo interesse.
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Certo, il prodotto non si adatta perfettamente a coloro che non posseggono una buona padronanza dell’idioma, ma d’altronde la serie si rivela interessante proprio per i retroscena culturali che riesce a raccontare attraverso le parole. Politica, sessismo, cinema, musica e persino religione vengono tirati in ballo svelando nuove sfaccettature di parole che possono banalmente sembrare volgari modi di dire, ma racchiudono molto di più.
«Storia delle Parolacce» e il fascino dell’imprecazione
Oltre a provvedere ad una breve panoramica sulla storia dell’etimologia delle singole parole, Storia delle parolacce ci illustra altri affascinanti dettagli sull’intero mondo delle “parole proibite”. Se in alcuni casi, al termine di un episodio, ci sentiamo quasi invogliati ad imprecare, convinti dell’effetto benefico che può avere in alcune situazioni; al termine di altri invece ci sentiamo in colpa e affranti per aver sottovalutato il potere svilente e il carico culturale che alcuni termini portano appresso.
Bitch e pussy sono sicuramente i più sottovalutati ed utilizzati con leggerezza, avendo però alle spalle un peso politico non indifferente. Spesso utilizzati per mortificare e perpetrare la sottomissione di un intero genere sono però tutt’oggi oggetto di una vera e propria rivendicazione non solo in quanto termini ma anche sotto forma di concetti politici e sociali.
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Mentre si promuove una rinnovata attenzione al linguaggio, si procede però anche ad un progressivo sdoganamento di alcune parole, come per esempio fuck o shit, considerate sempre di meno come parolacce (pur rimanendo non troppo eleganti). Ancora diversa è invece la storia di damn che ci parla di religione e di un senso di gravosità derivato dall’implicazione celeste della sua etimologia.
Attraverso divertenti aneddoti, spiegazioni scientifiche ed elementi della cultura pop assistiamo all’evolversi di una lingua che piega i suoi termini sotto il peso degli accadimenti e non possiamo che rimanerne affascinati.
Nicolas Cage come non l’abbiamo mai visto
Pacato, elegante e di classe ma al tempo stesso brioso, frizzante ed incalzante. Nicolas Cage, oltre a prestare il volto a questa serie, si reinventa in onore di essa sfoderando piccoli monologhi e teatrini divertenti e per nulla scontati. Cage si destreggia magistralmente nel ruolo dello scanzonato narratore di indicibili scurrilità a cui riesce a dare un tono ed una credibilità. Attraverso degli sketch studiati ad hoc, l’attore ci presenta i vari argomenti, riassume e tira le fila dei discorsi senza mai scadere nella volgarità. Lo spettatore non si sente mai offeso o disturbato dall’uso insolitamente smodato delle parolacce, utilizzate sia da Cage che da tutti gli altri narratori con spontanea genuinità. Impossibile poi non rimanere colpiti dall’irriverenza e dall’ironia con cui l’attore affronta l’intera serie, regalandoci anche una nuova e perfetta catch phrase: «I’m Nicolas Cage. Have a great fucking night».
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Ironica, dissacrante, geniale, spiritosa e interessante. Questa breve docuserie rappresenta perfettamente il tipo di prodotto che ci piace trovare su una piattaforma come Netflix. Unire informazione e parolacce si è rivelata sicuramente una scelta vincente, tanto per il suo appeal sul pubblico, che per l’apporto culturale inaspettato. Se solitamente la parolaccia viene utilizzata per intrattenere, divertire, enfatizzare e provocare, in questo caso il suo vero scopo è istruire e non c’è niente di meglio che terminare una visone soddisfatti, divertiti e anche un po’ arricchiti.
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