«Benvenuti a Suburbicon, città meravigliosa ed entusiasmante! Fondata nel 1947, Suburbicon è stata costruita con la promessa di prosperità per tutti». Il nuovo film diretto da George Clooney, Suburbicon, inizia così. Con una carrellata di personaggi bellissimi, composti e sorridenti, pronti ad elencare le meraviglie di una città perfetta e pronta a regalare felicità e serenità al prossimo abitante.
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I requisiti per far parte di questo paradiso sono pochi e in effetti, ad esser sinceri, si possono riassumere in uno soltanto. Un attributo che non è formalmente specificato da nessuna parte, ma è indispensabile per garantire l’aspetto dignitoso del vicinato tutto: a Suburbicon sono ben accetti soltanto uomini e donne, bambine e bambini bianchi.
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Sono sicuramente comprensibili a tutti i motivi di questa fin troppo ragionevole limitazione. E altrettanto comprensibile dev’essere la preoccupazione degli onesti cittadini quando una famiglia afroamericana, quella dei Meyers, si trasferisce proprio a Suburbicon. Preoccupazione che trova le sue conferme e degenera in fretta quando un paio di delinquenti si introducono a notte fonda nella casa accanto ai nuovi arrivati, con tragiche conseguenze per entrambe le famiglie.
In una cornice distopica, di denuncia alle paure infondate protagoniste degli anni ‘50 americani, a cui troppo in fretta ci stiamo riabituando, si dirama la storia dei Lodge. Gardner e Rose, insieme a zia Margaret e al piccolo Nicky sono l’icona della famiglia modello: onesto padre lavoratore, madre amorevole a cui la sedia a rotelle non impedisce di accudire in ogni modo la famiglia, figlio serio e ubbidiente. Ma l’equilibrio perfetto di casa Lodge è presto scardinato, e la famiglia precipita in un labirinto di sorprese, imprevisti e tensione che aumenta sempre di più, in un equilibrio perfetto tra l’ironico e il grottesco.
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Una piccola perla, la sceneggiatura offerta dai fratelli Coen, a cui la regia di Clooney riesce a rendere giustizia in maniera sorprendente. Due storie parallele, apparentemente estranee l’una all’altra, che segretamente si incontrano e si accordano. Due storie con lo stesso protagonista: la paura degli altri, la paura di se stessi e dell’odio che per natura siamo capaci di provare. La paura che si nasconde dietro steccati perfetti e atmosfere color pastello, maniere educate e sorrisi di plastica. Quella paura infondata di cui nel 2017 anche noi, gli occidentali istruiti, i memori della storia passata, siamo ancora troppo spesso interpreti.
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A film visto, Suburbicon è una denuncia a voce alta e un invito a cambiarci e cambiare. Ma le riflessioni arrivano sul finale di una trama che attrae ed avvince, trascinando il pubblico in un piccolo universo di personaggi accattivanti, ironici, egregiamente caratterizzati e sostenuti da ottimi attori (tra cui Matt Damon, Julian Moore e Oscar Isaac). Insomma, un compromesso ben riuscito e godibile da tutti, amanti della dark comedy, dei moral play, del genere distopico o anche solo di apertura mentale e comprensione.
Marta Mantero
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