Il momento è arrivato. Il 2023 si porta via una delle serie TV più belle e appassionanti del nuovo millennio. Stiamo parlando di Succession, show HBO andato in onda tra il 2018 e il 2023 e giunto alla sua quarta e ultima stagione.
Doverosa premessa al resto dell’articolo: se – imperdonabilmente – non l’avete ancora vista, non proseguite la lettura, ma correte a recuperare questo gioiello della serialità (disponibile su Sky e Now). A voi la scelta se farlo tutto d’un fiato o al ritmo di un episodio ogni sette giorni, replicando l’esperienza piacevolmente logorante dello spettatore settimanale.
Succession 4, la successione (alla fine) è avvenuta
Succession. “Successione”: questo il fulcro da cui prende il nome la serie e intorno al quale orbitano le vite dei personaggi per 39 episodi; questo l’evento a cui tutti guardano; questo il cambiamento che pone fine a tutto. Le vite dei protagonisti continueranno, ma non saranno più affar nostro, perché la lotta per il potere ha avuto il suo – insospettabile – vincitore.
Parliamo di “vincitore” perché quella che si dipana davanti ai nostri occhi è una competizione serrata in cui la posta in palio è solo ed esclusivamente il potere. Si tralascino quindi l’affetto, l’onestà, l’etica, l’amor proprio e altrui. Quelli sono premi di consolazione che ai nostri protagonisti non sono mai importati molto. Fatta eccezione, certo, per l’amore di una sola persona: il padre Logan (Brian Cox): l’amore più desiderato e il più difficile da ottenere, la cui mancanza ha rovinato irrimediabilmente tre vite.
Così, se Connor (Alan Ruck) dichiara che il suo superpotere è non avere bisogno di amore, i discorsi di Kendall (Jeremy Strong), Shiv (Sarah Snook) e Roman (Kieran Culkin) assomigliano a sedute di psicanalisi che – sostenute da scrittura e interpretazioni impeccabili – urlano, ciascuna a proprio modo, “volevo solo essere amato (possibilmente, più dei miei fratelli)”.
Per tre stagioni, quindi, la lotta al potere dei fratelli Roy è stata intrinsecamente legata alla lotta per l’amore di Logan. Ricevere da lui il titolo di CEO avrebbe voluto dire essere riconosciuti degni di stima, degni di affetto, degni di esistere. In Succession 4, però, un avvenimento improvviso rompe i fragili equilibri e cambia le regole del gioco che si fa – se possibile – ancor più spietato: la morte di Logan Roy.
Succession 4, ognuno per sé
Se dopo il micidiale finale toscano della terza stagione, nei primi episodi di Succession 4 un fronte comune sembrava possibile, l’idillio si rompe in un battito di ciglia (o meglio, di cuore). E ora che non è più possibile strappare l’amore del padre, l’unica cosa che sembra poter dare un senso alle esistenze dei protagonisti è ereditare il suo impero. Ma il triumvirato non è un’opzione e se il terzo episodio ci regala uno degli abbracci più rari – e per questo più commoventi – dell’intera serie, dietro le schiene avremmo dovuto intravedere i coltelli. Quando l’ambulanza porta via il corpo senza vita di Logan, Kendall, Shiv e Roman si separano, per non ritrovarsi mai più.
E anche “la cena del re” del decimo episodio, che ha un sapore di liberazione e catarsi, non è altro che l’ennesimo inganno: infatti, in pieno stile Succession, bastano pochi minuti perché tutto cambi di nuovo con il colpo di scena spiazzante e perfetto che mette fine ad una serie spiazzante e perfetta.
Perfetta la scrittura, perfetta la regia, perfette le interpretazioni, perfetta la colonna sonora.
La scrittura di Jesse Armstrong
Succession è stata spesso definita un “trattato sul potere” e questa quarta stagione non fa certo eccezione. Anzi, dopo che la terza si era chiusa con uno dei tradimenti più tragici e contronatura – quello di una madre nei confronti dei propri figli – Jesse Armstrong porta lo spettatore in retroscena ancora più celati e sporchi, in cui noi “persone normali” non potremmo nemmeno immaginare di trovarci, ma in cui ci piace moltissimo sbirciare, purché protetti da uno schermo.
Uffici in cui si influenza l’andamento delle borse mondiali; studi televisivi dove decide il futuro delle nazioni; salotti in cui si parla di affari da miliardi di dollari masticando tartellette al salmone; veglie funebri in cui reprimere le lacrime per non apparire deboli e funerali che diventano una buona occasione per fare due chiacchiere col nuovo Presidente degli Stati Uniti. E ognuno di questi luoghi è pieno di parole, di cui Succession trabocca. Frenetiche, complesse, incessanti e rivelatrici.
Ricordare tutte le battute sembra impossibile, ma al contempo fondamentale, perché ogni cosa che viene detta troverà il modo di tornare più avanti, sottoforma di consiglio, indizio, o profezia. Ne è un esempio emblematico il monito di Gerri (J. Smith-Cameron) ad un arrogante e capriccioso Roman: “Non puoi vincere contro i soldi. I soldi ti spazzeranno via”.
Il fondamentale stile registico di Succession 4
A fare da letto a tale fiume di parole torna anche in Succession 4 la peculiare regia fatta di primi piani, macchina a spalla e piani sequenza. Il senso di agitazione e insicurezza trasmesso dalle vicende e dai dialoghi viene amplificato da una messa in scena che ricorda lo stile documentaristico e che si fa in alcuni tratti schizofrenica, garantendo l’attenzione costante dello spettatore.
La sensazione è che chi sta dietro la macchina da presa non sappia quello che deve succedere, ma lo viva con sorpresa e concitazione insieme ai protagonisti, cercando di coglierne l’insieme e i dettagli, cambiando spesso il focus, indagando i volti con rapidi zoom per non lasciare alcuna emozione non raccontata.
Un siffatto stile registico è possibile e valorizzato anche grazie ad una tipicità della scrittura di Armstrong particolarmente sfruttata in questa stagione: il rispetto delle tre unità aristoteliche (unità di luogo, unità di tempo e unità di azione). I singoli episodi, infatti, possono spesso considerarsi degli atti unici, vere e proprie tragedie nella tragedia.
Le interpretazioni magistrali del cast
I volti sui quali la macchina da presa indugia sono rivelatori, grazie a degli attori strabilianti. Come la morte di Logan chiama in prima linea tutti i fratelli Roy, così la scomparsa dalla scena di Brian Cox lascia spazio a Jeremy Strong – da anni acclamato per il suo ruolo –, Sarah Snook – fiera e ferita (Succession è contemporaneità anche quando esclude una CEO donna e incinta) – e soprattutto a Kieran Culkin, straripante in ogni frame.
I minuti finali dedicati ai loro personaggi sono una finestra sul futuro infelice dei Roy; mentre confidiamo che – nonostante vederli vestire altri panni (probabilmente meno costosi) potrà essere difficile – questi tre attori vedano spalancarsi le porte di altri futuri grandiosi ruoli, di cui si sono meritati le chiavi.
Succession 4 è una stagione particolarmente intensa e drammatica, e bisogna quindi ringraziare Matthew Macfadyen e Nicholas Braun per aver portato sullo schermo una coppia che ci mancherà terribilmente; la coppia forse più disfunzionale di tutte, ma anche quella più capace di strappare sorrisi e di superare davvero ogni difficoltà (al giusto prezzo): Tom e Greg.
Sarebbe poi ingiusto non citare Alexander Skarsgård, che in Succession 4, a colpi di strafottenza e sorrisetti beffardi, dà vita al personaggio probabilmente più detestabile della serie che raccoglie forse il maggior numero di personaggi detestabili della storia della TV.
La colonna sonora di Nicholas Britell
In questa ricetta della perfezione non può poi mancare la colonna sonora di Nicholas Britell, che fin dal primo episodio ha giocato un ruolo fondamentale nel trasmettere gli stati d’animo dei protagonisti, la natura disfunzionale dei rapporti, le tensioni tra i personaggi, la gravità delle trame e sottotrame colme di significati, lo stupore davanti ai repentini colpi di scena.
Efficace nella narrazione e piacevolissima all’ascolto “puro”, entrerà sicuramente a far parte di numerosissime playlist.
Cosa rimarrà di Succession
Succession è finita, ma può essere definita la Serie TV del futuro, perché con lei si dovranno confrontare i prodotti – HBO e non – da qui ai prossimi anni. La creatura di Jesse Armstrong dovrà essere un punto di riferimento e sperare almeno di assomigliarle l’obiettivo comune di chiunque voglia realizzare qualcosa di, semplicemente, bellissimo.
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