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«Sul Più Bello», una fiaba d’amore già scritta…o forse no

8 minuti di lettura

Alzi la mano chi crede nel lieto fine. Ora, alzi la mano chi crede che la celebre formula del vissero felici e contenti non si racchiuda in una canonica traccia romanzata, ma piuttosto in un piccolo frammento di felicità quotidiana. Magari da gustarsi sullo schermo, con una fiaba d’amore disimpegnata tra una lacrima e un sorriso. E allora perché non guardare Sul più bello, il nuovo film di Alice Filippi tratto dall’omonimo romanzo di Eleonora Gaggero e disponibile dall’8 gennaio su Prime Video.

La storia incornicia l’inusuale, dolce e rocambolesca storia d’amore tra Marta (Ludovica Francesconi) e Arturo (Giuseppe Maggio), già apparso nelle vesti del tenebroso Fiore in Baby. Ma Marta non è una ragazza come le altre, perché affida i suoi giorni di vita alla fortuna. Tutta colpa di una malattia genetica rara, la mucoviscidosi, che può riempirle i polmoni di muco in particolari condizioni climatiche, causando un’infezione mortale. Ed è la stessa protagonista che ci dice subito: «Potrei andarmene, proprio sul più bello».

«Sul Più Bello» cavalca l’onda di un genere di successo

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Ma si sa, le storie d’amore impossibili sono le più avvincenti. È sempre stato così, dagli albori della letteratura fino alla tradizione cinematografica. Pensiamo solo ai più canonici Romeo e Giulietta, la cui relazione è inevitabilmente accompagnata dal fantasma della morte. E questa si interfaccia nella modernità con un tema attuale e pervasivo: la malattia. Così, il mirifico Non lasciarmi (2010) di Mark Romanek inaugura questa strada filmica, sempre più fortunata e amata nella contemporaneità.

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Solo nell’ultimo anno sono usciti Cosa Mi Lasci Di Te e A Un Metro Da Te, con protagonisti maschili due volti teen adult di Riverdale, KJ Apa e Cole Sprouse. Si tratta quindi di un genere che continua a essere indagato sotto diverse sfaccettature e che raccoglie larga approvazione, soprattutto nei figli della Generazione Z. Ma a cosa si deve il successo? Sicuramente alla componente drammatica di un amore calato in una condizione fragile e critica. E, laddove l’ossatura narrativa è sempre la stessa, l’originalità spicca nei piccoli dettagli.

«Sul Più Bello»: le componenti estetiche originali

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Così, nella pellicola di Alice Filippi possiamo da subito apprezzare l’omaggio estetico a Il Favoloso mondo di Amélie (2001). Non solo per la protagonista trasognata dal caschetto sbarazzino, ma anche per le appaganti sfumature cromatiche della scenografia. Le tinte pastello richiamano poi la celebre firma di Wes Anderson, così come le inquadrature frontali, che ci proiettano nel mondo visionario e fiabesco de I Tenenbaum (2001). Le ambientazioni abbandonano quindi le classiche location da tragedia romantica americana di questo tipo, cupe, periferiche o cliniche.

Al loro posto subentra la frenetica Torino, nelle fattezze di un’italica Manhattan. Qui Marta e i suoi scoppiettanti coinquilini condividono un appartamento bazaar. Non hanno una realtà familiare alle spalle e, nonostante i 19 anni, sono già calati nel mondo adulto. Così Marta si conquista quotidianamente i suoi minuti di celebrità alla COOP, dove lavora part time come voce degli annunci. Uno dei momenti più pop del film, in una dimensione rovesciata dell’iconica scena di Paris, Texas (1984) di Wim Wenders.

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Infatti qui è Marta a guardare i suoi clienti da uno schermo, mentre loro ascoltano la sua voce suadente, ma non ne conoscono l’identità. Alcuni ammiratori le lasciano addirittura sotto la porta i numeri di telefono, che finiscono sull’irriverente Muro del Pianto. E in tutti i questi dettagli, il tocco alla regia di Alice Filippi è marcatamente presente. Così la regista, già candidata ai David Di Donatello per il Miglior Documentario nel 2018, con Vai Piano Ma Vinci, fa sentire la sua firma distintiva e originale.

«Sul Più Bello»: l’impianto narrativo tra tradizione e innovazione

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Questa si manifesta con una delicata struttura a cornice. Il film inizia quindi con Marta bambina, di cui non conosciamo ancora la malattia, che gioca a sposarsi con le celebrities hollywoodiane. Un sogno favolistico e aperto all’immaginazione, che ritorna in chiusura con il finto matrimonio tra Marta e Arturo, velato però ora dalla tragica consapevolezza di un esito inevitabile. Così la storia d’amore nasce in maniera inaspettata, con Marta che “stalkerizza” talmente tanto Arturo che questo non può che concederle un appuntamento.

Il centro della trama riflette però la tradizione. La più magica delle avventure romantiche principesche, sfregiata da un elemento topico: Marta non dice all’innamorato della sua malattia. Segue anche un retroscena biografico molto classico. Marta ha perso entrambi i genitori, acuendo la drammaticità del contesto, così come Arturo, pur avendo una ricca e vasta famiglia, non ha mai costruito un rapporto con i propri parenti ed è convinto di dover seguire le orme di famiglia, ma senza felicità. Non ha mai detto «Ti amo» a una ragazza ed è sterile di sentimenti, fino all’incontro con Marta. Insomma, elementi già visti, ma con possibili svolte inaspettate.

«Sul Più Bello»: compendio finale

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Per una valutazione complessiva bisogna quindi unire gli inevitabili tratti topici a un tentativo di svecchiamento del genere. Consideriamo poi che si tratta del primo esempio italiano a proposito e di un’architettura di giovani e, alcuni esordienti, attori, tra cui la stessa Eleonora Gaggero, nella parte di Beatrice. Di conseguenza la scrittura appare a volte fragile, fanciullesca e stereotipata, così come la recitazione ingenua. Ci sono poi alcune ricadute pretenziose, non abbastanza approfondite.

Ma è anche giusto così nella panoramica di un film di questo tipo. Così Marta ci conquista con la sua immancabile ironia, così come gli spettatori più sensibili verseranno di sicuro le loro lacrime in fase di chiusura. Per questo Sul Più Bello si traduce in una fiaba d’amore già scritta, ma non uguale alle altre, in quanto l’estetica e il citazionismo cinefilo, oltre alla regia moderna e ritmata, offrono uno sguardo inedito. Non il film dell’anno, ma sicuramente un esperimento piacevole per chi non ha mai smesso di credere nel lieto fine.


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Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto.
Tra la passione per le serie tv e l'idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie.
Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.